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Educare alle differenze#1: il teatro che dibatte col pubblico

Il 20 settembre Un altro genere di Comunicazione parteciperà, come blog collettivo alla giornata “Educare alle differenze”, organizzata da Scosse, Il progetto Alice e Stonewall oltre ad altre decine di realtà co-promotrici dell’iniziativa.  Sarà un’occasione di scambio e di progettazione di un percorso di educazione al genere rivolto all’infanzia e all’adolescenza.

Sarà il primo passo di un progetto ci auguriamo più ampio di uno scambio di vedute, ma che porti alla costruzione di una solida politica educativa di genere, a progetti mirati alla comunicazione nelle scuole, al coinvolgimento di bambin* e ragazz* nella questione di genere, anche attraverso altri canali di apprendimento che non quelli prettamente scolastici.

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In vista di questo appuntamento, abbiamo deciso di lanciare una serie di contributi in merito proprio all’educazione di genere, a cosa voglia dire e come si sperimenti. Per farlo, abbiamo pensato di intervistare alcune di quelle realtà che incontreremo il 20 settembre e che, come noi, vedono in questa data una possibilità di crescita.

Tra le realtà co-promotrici ci sono comitati di genitori, insegnanti, ma anche associazioni culturali, centri antiviolenza, collettivi queer, noi. Abbiamo scelto alcune di queste compagne di viaggio e abbiamo provato a conoscerle meglio, indagando le ragioni di ognuna nell’augurarsi un’educazione differente.

Le prime che conosciamo sono Elena Fazio e Angela Sajeva che, insieme a Leonardo Gambardella, gestiscono l’associazione culturale ACT, agire col teatro. L’associazione nasce nel 2009 a Scalea (Cosenza) dove, come ci raccontano, il contesto culturale non era certo uno dei più vivaci, ma dove per origini o per caso si sono trovate ad operare e a chiedersi cosa volesse dire fare teatro con un territorio.educare

“Cercavamo un modo di creare un vero contatto tra pubblico e teatro. Non volevamo proporre una rappresentazione su cui lavorare solo il tempo in cui il sipario è aperto, ma al contrario, spettacoli su cui iniziare a ragionare quando il sipario si chiude. Uno strumento e un pretesto per lavorare con la comunità”

Che tipo di risposta avete avuto?

“Siamo riuscite a fidelizzare il nostro pubblico. Quindi una risposta positiva. I nostri spettatori vogliono vedere cosa faremo l’anno prossimo, vogliono riconfermare il desiderio di quello che gli abbiamo proposto, la loro aspettativa è una grande spinta e un successo per noi”

Tra gli spettacoli che avete messo in scena con questa progettualità di lavoro sul territorio, siete riuscite a toccare anche i temi di genere?

“Uno dei nostri progetti cardine è “Voci di Desdemona”, spettacolo che nasce da testimonianze raccolte in centri antiviolenza di Bolzano e Merano, insomma dalla viva voce delle donne vittime di violenza domestica. A queste voci abbiamo unito stralci di testi molto noti o figure iconiche come appunto la Desdemona del titolo, perché ci aiutassero a raccontare una storia di donne. Dura 45 minuti. La abbiamo pensata breve perché è parte integrante dello spettacolo la possibilità di interagire con il pubblico, dopo la messa in scena. E la risposta del pubblico è sempre stupefacente per la vera e propria necessità di parlare di questi temi, di parlare di violenza domestica, di non tenerla chiusa dentro casa.”

Negli ultimi anni le occasioni di parlare di violenza sembrano aumentate, persino le pubblicità di intimo ci dicono di combattere la violenza sulle donne. Credete che questo aiuti la questione?

“Ultimamente la violenza sulle donne va tristemente molto “di moda”, passateci l’espressione. Per noi però è importante anche come si parla di violenza, non solo che se ne parli. Per questo abbiamo sempre cercato di associarci con realtà con cui condividevamo il modo di percepire e voler affrontare il tema, come BeFree, che ci è stata vicina anche nel portare “Voci di Desdemona” a Roma, a teatro per i ragazzi e le ragazze del liceo. Per parlare di violenza e di genere abbiamo studiato, abbiamo fatto corsi da operatrici antiviolenza e poi abbiamo cercato di mettere a punto un linguaggio utile a comunicare senza voler indottrinare, ma suggestionando e parlando alla pancia di chi ci ascolta. Insomma, è importante trovare il modo davvero rivoluzionario di trattare questi temi, senza sostituire uno stereotipo con un altro o un ruolo imposto con un altro.
Per noi la questione di genere è stata anche utile ad entrare in contatto con la vita quotidiana degli spettatori, ci ha dato la possibilità di partire dalla percezione di noi, dei nostri corpi, del rispetto, anche per parlare di altro, dalla disabilità alla lotta alla mafia.”

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Perché un’associazione che si occupa di teatro partecipa a una giornata sull’educazione di genere? Perché credete sia importante?

“Non è solo importante, è imprescindibile parlare di genere oggi.
Nel 2014, a parità di competenze, spesso una donna viene ancora pagata meno del suo corrispettivo maschile. Dobbiamo scardinare questa mentalità, questo sistema culturale. Dobbiamo farlo partendo dall’infanzia, perché a 6 anni i bambini hanno già dei pregiudizi e delle categorie sessiste fortemente radicate.
Lo vediamo con i nostri corsi di formazione teatrale, nelle scuole primarie. Quella però è anche l’età in cui si recepisce di più il cambiamento. Se diciamo “tutti e tutte“, invece di parlare solo al maschile, magari le maestre non danno peso a queste parole, ma i bambini, le bambine soprattutto, sì. Si accorgono della differenza. Iniziano ad usare queste parole.
Crediamo che lavorare con questa fascia d’età sia fondamentale per offrire dei modelli culturali alternativi alle bambine quanto ai bambini, a cui, nella loro identità maschile manca spesso il coinvolgimento nelle discussioni di genere.”

Cosa vi aspettate dalla giornata del 20 settembre? Cosa sperate di trovare?

“Sicuramente siamo partite dalla necessità di conoscere realtà che si occupano delle nostre stesse tematiche. Per fare rete e per riuscire a crescere anche noi grazie agli stimoli di altre esperienze. L’esigenza poi per noi nasce anche dal personale, una volta iniziato questo percorso, non possiamo tornare indietro, ma solo cercare nuovi modi di proseguire. Speriamo insomma di incontrare realtà anche più preparate o inserite in circuiti educativi di noi, così da poterci confrontare sui progetti futuri. Vorremmo poter continuare il nostro percorso e ampliarlo.
Perché non basta mettere tot ministre al governo per risolvere il problema di genere in Italia. Soprattutto se poi si disinteressano dellle Pari Opportunità, se continuano a togliere fondi ai centri antiviolenza, se non esiste educazione di genere… se non si agisce fortemente sulla cultura, possiamo anche fregarcene delle quote rosa.”

Questo articolo è stato pubblicato qui

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