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Diavoli e angeli, l’Italia che scorre lungo i binari e quel messaggio da L’Aquila

Diavoli e angeli in questo pomeriggio d’autunno mentre scorre l’Italia lungo le rotaie. Treno fatiscente simbolo di questo paese allo sbando, ricattato, umiliato, reso deserto da un nuovo ventennio senza olio di ricino e manganello ma violentemente incarnato in un sorriso falso e taroccato stampato in un manifesto sei per sei. Che qualcuno abbia pietà di noi.

Diavoli e angeli in questo mio presente dissanguato, Anima a brandelli e una vecchia canzone del Boss che accompagna la mia ritirata. Sconfitta e troppa stanchezza per riuscire ad avere la voglia di ricominciare, di mettersi di nuovo in gioco. Le parole vengono su facili, come sempre per chi di mestiere ne fa uso e schermo. Ma perdono senso appena compaiono sul monitor. Perdono senso mentre fuori dal finestrino, lurido, tramonta il sole sulla campagna. Quella campagna tanto amata, temuta e desiderata. Quella campagna fatta di tanti pezzi d’Italia che di tanto in tanto ridanno senso a questa roba che insistiamo a chiamare “Paese”. Siamo qua, e non ci basta.

Diavoli e angeli in un autobus affollato di italiani medi che commentano la rimonta del Milan mentre due migranti, una ragazza rumena e un uomo tunisino, parlano della crisi economica e dell’Italia presa per culo spietatamente e pubblicamente dall’Europa dei nuovi padroni, la Merkel e Sarkozy. E le due persone che sembrano capire cosa stia accadendo a questa Patria non loro, in questo autobus di italioti diretti inconsapevolmente verso il baratro, parlano. E parlano nell’unica lingua che hanno in comune, un italiano colorato da mille sfumature. Una lingua nuova, e un’antica passione per la polis, che un giorno o l’altro saremo costretti ad imparare. Di nuovo, da zero.


Diavoli e angeli in questo silenzio di solitudini claustofobiche, relazioni implose, anime perdute. Dove una risata è una cosa rara e un desiderio lusso. Dove chi ci riesce si batte ancora, ma solo per salvare se stesso. Nel deserto di sentimenti e impegno dissipato in mille rivoli di innumerevoli sconfitte. Non si è più neanche resistenti. Si coprono gli specchi con drappi scuri per non incrociare con lo sguardo, per malaugurato caso il proprio profilo.

Diavoli e angeli, dicendo addio a una città incupita di cui ho ancorai segno nella pronuncia e nel senso di fatale indolenza. Diavoli e angeli quando la donna somala mi incrocia e mi dice “assomigli a un mio paesano”. Ridiamo. Un lampo di allegria, quanto basta per ritrovare la forza di salire sul treno.
Diavoli e angeli. E ferocia. E stupidità di uno Stato di raccapricciante idiozia nella propria solerzia a senso unico. Di una legalità che sempre più spesso non è giustizia. Ricevo un sms che è talmente assurdo da riuscirlo a commentare.

“Sono Stefania Pezzopane Ass Comune AQ, assieme ad altre 14 persone sono indagata.Il reato è… interruzione di pubblico servizio… avendo a giugno 2010 assieme a 20000 persone manifestato contro il governo x la sospensione tasse e quindi ostacolato il traffico sull’autostrada. Incredibile ma vero. Volevo informarvi”. Stefania, allora presidente della provincia, segnata dai troppi parenti persi a Onna. Una città e un pezzo d’Italia che governo, media e pigrizia ci hanno indotto a rimuovere. Ma che esiste, congelato. Da troppo tempo. E ora questa beffa. Quest’insulto. Schifo. Nausea.

Andiamo via. Dove ci portano i binari. Andiamo via. Dove i diavoli e gli angeli riprendono il loro vero aspetto. Quello di persone.

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