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Di un libro che ho letto e di un pianeta allo sbando

Sono in quella fase della mia vita dove cerco nei libri la verità assoluta. Raramente si trova in un libro ed io, per quanto mi sforzi, sono ben lontano dal trovarla. Cerco almeno di ricavarne il meglio e di metterlo in pratica.

Caro Piero,

ho finito questa mattina di leggere il libro che hai lasciato a casa mia, Se niente importa. Ho ritrovato cose che già conoscevo, qualche numero in più e un punto di vista, quello dell’autore (già nella prefazione avverte che è un vegetariano convinto) che non condivido appieno, ma in alcuni punti concordo e apprezzo che non si sia lasciato andare in facili anatemi. Volendo, delle quasi trecento pagine si potrebbero leggere solo i corsivi: a mio parere sono già significativi della situazione dell’industrializzazione della alimentazione dell’uomo.

Noi stiamo dall’altra parte della filiera, in fondo, dove ci sono le bocche aperte e gli occhi chiusi su tutto quello che avviene prima dei nostri piatti. In mezzo, invalicabili come il muro di un carcere, similitudine voluta, le multinazionali e, dall’altra parte, chi produce realmente, sporcandosi le mani.

Oggi sono andato a prendere il pane; sul bancone c’era un pezzo di speck in offerta, e l’ho preso. Quando ce l’ho avuto in mano ho iniziato a pensare: lo speck si fa con il maiale, da dove arriva il maiale che ha prodotto questo pezzo di carne? La bocca mi si è asciugata e ho realizzato che prendendo quel pezzo di carne e portandomelo a casa ho alimentato la catena dell’industrializzazione, pure io che mi faccio mille paturnie sulla filiera corta, sul chilometro zero, sull’acquisto di ciò che è solo veramente necessario. È stato veramente molto semplice cadere nel tranello e tutt’altro che semplice sarà uscirne.

Abbiamo, per anni, drogato il mercato del cibo con fiumi di finanziamenti ad allevatori e agricoltori, abbiamo permesso che producessero a basso costo e abbiamo fatto in modo che, di fatto, nessuno sia più in grado di procurarsi ciò di cui ha bisogno per mangiare senza passare da un supermercato. Ci provo e ci riprovo continuamente, ma non ci riesco. Non foss’altro che per la farina, le uova e le altre materie prime, ammesso che si abbia la capacità e il tempo per preparare tutto in casa.

L’allevamento industriale sta distruggendo il pianeta, non da solo, ma ci sta mettendo del suo; in compagnia dell’agricoltura, delle automobili, dei telefonini e computer e tutto il resto che praticamente ogni giorno prendiamo in mano. Secondo uno studio recente, la Terra ha finito le risorse rinnovabili per il 2010 in questi giorni, il che vuol dire che tutti gli inquinanti che produciamo da qui al 31 dicembre, ricadranno a debito sull’anno prossimo o su quello dopo o dopo ancora, finché non si troverà il modo di andare a credito.

Fino a trent’anni fa si credeva che presto si sarebbero esaurite le fonti di energia non rinnovabili, petrolio e chi per esso, che ne avevamo, se tutto andava bene per un altro secolo. Invece, con somma sorpresa, si sono esauriti prima i sistemi rinnovabili: il pianeta in cui viviamo, io e te, non è più in grado di compensare (assorbire e ritrasformare) le tonnellate di immondizia che produciamo. Stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità. E se prima ci scaricavamo sul resto del mondo, da quando si sono industrializzate anche Cina, India, Brasile, Messico e tutti gli atri a ruota, ci viene rimandato tutto. Fino a non molto tempo fa, il nostro inquinamento, di Europa e nord America, veniva compensato dal resto del mondo, adesso che il resto del mondo inquina come noi, se non di più, chi ci compenserà? Siamo come quelle persone che non riescono a smettere di giocare d’azzardo: andiamo a zero con lo stipendio, chiediamo alla moglie, poi alla mamma, poi piccoli furti ed in fine i debiti con gli strozzini. Solo che ad un certo punto, quando la corda è ben stretta intorno al collo, gli strozzini vengono a chiedere il conto. Se sei fortunato vieni salvato dal buon samaritano di turno, sia prete o poliziotto. Noi chi ci salverà? Aspettiamo forse che arrivi qualcuno dallo spazio o pensiamo di andarci noi, magari su Marte; se anche così capitasse, si salveranno solo quelli pieni di soldi che hanno conciato così la Terra, non noi poveri cristi che possiamo poco o nulla.

Ho ancora in mano il mio speck con cui riempio la pancia di qualche industriale, con cui ho condannato ad una vita d’inferno un maiale, per cui non ho pagato adeguatamente l’allevatore, ma che si rifarà con le mie tasse (finché il giochino dura) e le tasse di tutti gli altri, anche i vegani.

Ti sembra logico tutto ciò? Non ne sto facendo una questione etica sulla vita e la morte dei maiali o polli, o vacche o altro. Ne sto facendo un discorso strettamente economico: i danni ambientali costano, e tanto, solo che in fattura leggiamo chemioterapia per leucemia infantile, morte per alluvione, allagamento delle coste per scioglimento dei ghiacciai. Ecco, prova a tradurre in cifre queste voci, e su internet è facilissimo trovare dati a riguardo, e vedrai che non sto parlando di cose astratte, di concetti teorici che non ci riguardano; sto parlando della cosa che tutti hanno più a cuore: i soldi.

Se preferisci possiamo parlare di auto: in Europa si producono migliaia di automobili in più di quello che serve. A nessuno viene in mente di dire a Marchionne di non rompere più, di chiudere la FIAT e di andarsene tranquillamente in Serbia a fare in quello che vuole? Di auto ce n’è troppe, nessuno le vuole più. Perché continuiamo a sbattere la testa su un ramo morto? Perché ci sono gli operai, perché c’è l’indotto, il pil. E nessun governo ha la forza di mandare tutti a casa dicendogli che lavorano per un cadavere e che è ora che si trovino un altro modo di guadagnare. Non è un problema solo italiano, Germania e USA ci fanno compagnia. C’è qualcuno che rimpiange i posti di lavoro dell’industria del carbone? Eppure una volta era prosperissima. I tempi cambiano, ma noi gli andiamo dietro solo a patto di poterci dare la zappa sui piedi, altrimenti rimaniamo dove stiamo... a zapparci i piedi.

Mi prende lo scoramento se penso a dove sono e cosa lascerò alle mie figlie, mi dispero per il sistema economico attuale e non so da dove iniziare per provare a cambiarlo. Ci ho provato, da solo o con altri, ma senza risultato, nemmeno su microscala. Sembra che agli altri non interessi affrontare la cosa da un punto di vista pratico. In linea teorica ci sono un mucchio di pacche sulle spalle, poi se gli dici che la verdura puoi prenderla a metà costo, direttamente dal contadino purché compri solo roba di stagione, ti ridono in faccia.

Vorrei essere ateo e senza figli, in modo da arrivare in punto di morte e mandare tutti, serenamente, a cagare.

Tuo, Ambrogio

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