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 Home page > Tribuna Libera > Declino e caduta dell’impero romano secondo me stesso medesimo

Declino e caduta dell’impero romano secondo me stesso medesimo

Dopo il vice presidente del Centro Nazionale per le Ricerche, professor De Mattei, che ha attribuito ai gay la causa della caduta dell’impero romano, anch’io provo a dire la mia sull’argomento.

Certo, la mia ipotesi è meno affascinante (vi ricordo, a mia scusante, che sono sì analfabeta, ma solo a metà, e che molto devo ancora disimparare per arrivare al livello dell’illustre cattedratico), ma, approfittando di questa splendida stagione di libertà, che consente anche ai mentecatti di sedere in parlamento, ve la offro.

Il declino che precedette la caduta dell'impero romano iniziò con il diffondersi dell'abitudine di parcheggiare le bighe in seconda fila, senza curarsi del fastidio arrecato agli altri cittadini, nella sicurezza, quasi assoluta, dell'impunità, perché i vigili urbani non facevano, ormai, il proprio dovere.

Questo fenomeno, quest'anarchia della circolazione stradale, era a sua volta solo la più evidente manifestazione di una generale corruzione dei costumi; di un degrado del vivere civile che seguì l'arrivo entro i confini imperiali della più subdola tra le tribù barbariche: quella dei Furbi.

Non esisteva il diritto, presso i Furbi, ma il favore; non era considerato degno di lode il merito, disprezzato come cosa indegna d'un vero furbo, mentre erano premiati i comportamenti servili, erano tenute in gran conto le amicizie e, ancora di più, le parentele.

Anche il dovere era ignoto ai Furbi; meglio ancora: lo conoscevano, ma solo per evitarlo.

Un vero Furbo non pagava le tasse, e di questo menava gran vanto, come non faceva mai a dovere quel che per dovere, appunto, avrebbe dovuto fare; ottenere quello a cui non avrebbe avuto diritto, truffando la comunità, poi, era la sua massima aspirazione.

I cittadini si fecero irretire dall'esempio dei Furbi e presero ad imitarli: sembrava così confortevole il modo di vivere dei Furbi; così, a modo suo, civilizzato e infinitamente superiore all'arido bilanciarsi di diritti e doveri previsto dalle leggi dell'impero.

Ogni individuo, presso i Furbi, pareva essere rispettato; libero di seguire le proprie inclinazioni e soggetto solo alle proprier passioni.

"Se sei furbo", diceva il Furbo, "fai quello che vuoi".

Quando i cittadini iniziarono a comprendere che i Furbi in realtà erano degli schiavi; che il prezzo che pagavano a quelle piccole libertà senza importanza, che tanto si gloriavano di possedere, era proprio la rinuncia alla Libertà, era ormai troppo tardi; restavano troppo pochi di loro per permettere alla società di continuare a funzionare in modo fisiologico.

I Furbi, da quei parassiti che erano, dopo aver infiltrato i tessuti dell'impero cominciarono a disgregarli. Non erano stupidi, capivano che comportandosi a quel modo avrebbero distrutto l'impero e, alla fine, anche se stessi, ma non potevano fare diversamente: era l'unico modo di comportarsi che conoscessero; lo scopo ultimo della loro esistenza. Erano Furbi, poveretti.

Dite che non è andata così? Avete letto la versione ridotta di Gibbon, proposta da una primaria casa editrice nazionale (a proposito; e Guerra e Pace? Riduciamo anche lui: cento pagine possono bastare; inutile sprecare alberi e tempo) e vi pare che dica altro?

Secondo me l’avete letta male; troppo di fretta.

O siete dei Furbi anche voi.

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