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Contro lo scempio, le "Cancellature" di Isgrò

Nella seconda metà del secolo scorso tra gli innovatori del linguaggio artistico italiano, con Lucio Fontana e Piero Manzoni, spicca il nome di Emilio Isgrò.

Superpremiato in Italia e all’estero per l’originalità ed eccletticità della sue opere, invitato più volte alla Biennale di Venezia, Isgrò è l’inventore negli anni Sessanta della ‘Cancellatura’, una forma artistica tuttora viva e vitale per la sua potenza ribellistica.

Con la mostra “La Costituzione cancellata” allo Studio BoxArt di Verona dal 27 novembre 2010 al 29 gennaio 2011 Emilio Isgrò lancia “un grido di dolore per l’Italia che si sfascia”. Sull’attualità delle “cancellature” abbiamo rivolto a Isgrò tre domande.

Vedi cancellata la Costituzione: scempio, incomprensione dei suoi valori, o adeguamento ai nostri tempi?

La mostra porta un sottotitolo - "rappresentazione di un crimine" - ed è l'annuncio di un'Italia che rischia di sfaldarsi, mentre tutti gli altri Paesi del mondo serrano le fila per meglio resistere alle pressioni di una globalizzazione che, oltre ai suoi pregi, mostra sempre più i suoi limiti. Non è stato facile per me accingermi all'impresa. Temevo che essa venisse scambiata per una inutile provocazione. Mentre io, leggendo la nostra Costituzione, sono stato toccato soprattutto da due cose. Primo, dalla lingua, un italiano fluido e disadorno che non ha niente a che vedere con il "burocratese" al quale ormai siamo abituati. Secondo, dall'altezza dei princìpi ai quali i padri costituenti improntarono il loro testo. Ne è venuta fuori un'opera di poesia, frutto di uno struggimento civile e di una grande pietà per questo povero Paese che forse non merita il destino che gli è stato assegnato.

Sei stato il primo artista a proporre, quarant’anni fa o anche più, le cancellature come atto di protesta e ribellione, mi pare, contro la scrittura. Oggi le riproponi e sono sicura che la proposta viene capita anche da chi un tempo la snobbava come in-interessante. Perché oggi?

Proprio oggi la comunicazione mediatica si è fatta incredibilmente invadente e aggressiva, e cancellarla è il modo più semplice per contrastare un meccanismo che quasi sempre lascia poco spazio alla libertà umana di essere e di pensare. Più si informa e più si disinforma. E questo avviene sia con le parole sia con le immagini. Avere la possibilità di interrompere di tanto in tanto questo bombardamento incessante di notizie è di fatto una forma di igiene mentale del linguaggio. Sia pure con qualche decennio di ritardo - come è naturale davanti alle innovazioni dell'arte - alla fine il pubblico l'ha capito.

Per il fatto che le “cancellature” sono quanto mai appropriate contro una parola vuota di significato? O che altro?

Non solo le parole, ma anche le immagini sono vuote. Tanto è vero che a un certo punto sono stato costretto a cancellare anche quelle. Ricordo, per esempio, che nel 1970 progettai di realizzare anche un film cancellato e i giornali di tutto il mondo si scatenarono. Il film poi non si fece per mancanza di soldi, ma già il titolo era tanto misterioso quanto esplicito: "La jena più ne ha e più ne vuole". Credo non ci sia bisogno di precisare che la "jena" è proprio il nostro mondo che divora le informazioni false con la stessa voracità di quelle vere.

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