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Che mondo sarebbe senza le donne

Cinquant'anni fa nasceva Fluxus, quell'arte non-arte, quel movimento non movimento, interdisciplinare e indisciplinato, che ha coinvolto musica, danza, teatro, performance, di cui ora viene presentata una versione tutta al femminile in una mostra a Reggio Emilia (aperta ancora fino al 10 febbraio a Palazzo Magnani). Perché qui? Perché negli anni Settanta proprio Reggio Emilia è stata toccata da questa esperienza. Non erano presenti solo donne all'interno di Fluxus, anzi. Ma proprio queste artiste donne hanno attuato una rivoluzione. La tradizione artistica aveva obbligato il corpo femminile alla passività: con le loro performance lo hanno emancipato, ostentando la nudità, la sessualità, l'interpretazione ironica di pratiche artistiche fino ad allora appartenute al mondo maschile. C'era chi suonava il corpo del suo partner artistico come fosse un violoncello e chi dondolava nuda appesa a un gancio disegnando sulla superficie sotto il proprio corpo.

Dopo cinquant'anni gli intenti di Fluxus, sociali più che estetici, globali più che elitari, sembrano trovare seguito nelle azioni di gruppi di attiviste politiche assolutamente fuori dal sistema dell'arte. Ho letto tempo fa di un collettivo punk russo che a febbraio dello scorso anno, con passamontagna colorati in viso, cantava contro Putin nella cattedrale moscovita di Cristo Salvatore. O di Femen, femministe ucraine che, impegnate in battaglie contro lo stupro, lo strapotere dei potenti, la negazione dei diritti delle donne, entravano in topless alle partite del Campionato europeo di calcio.

D'altra parte, anche Fluxus prendeva spunto dalla quotidianità per poi reinterpretarla e ricombinarla in una nuova realtà.



Semi gettati ieri, oggi, per raccogliere frutti, domani.

Lo ha detto anche Van Gogh: l'artista è il seminatore del raccolto che altri, mercanti, contadini, artigiani, si impegneranno a raccogliere.

E intanto, che mondo sarebbe senza le donne?

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