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Che mattone: storie dal Nepal

Bakthapur era una delle tre antiche capitali dei regni che dividevano la Valle di Kathmandu. Fu costruita sul pendio di una bassa collina e ricorda una conchiglia, uno dei simboli di Vishnu, divinità cara ai sovrani che l’edificarono dal 1200. E’ stata splendidamente restaurata negli anni ‘70 dalla cooperazione tedesca e fu set del film di Bertolucci, Piccolo Buddha. Bella e quasi intatta: le macchine non possono entrarci e i turisti pagano una bella sommetta (25 dollari) per visitarla. Parte dei soldi raccolti è destinata al mantenimento dei monumenti, costruiti da dinastie di regnanti arricchiti con i dazi e balzelli delle carovane che da qui passavano per raggiungere il Tibet.

Vi soggiornarono, all’inizio del 1700, i gruppi di missionari italiani (gesuiti e capuccini) che cercarono con scarso successo di convertire i nepalesi ma ci lasciarono, in compenso, bellissimi racconti di quei tempi. I poveretti abitavano in una casa donata loro dal sovrano e curavano più i corpi che l’anima degli abitanti “queste genti avevano in orrore l’abito turchino oscuro o nero che portavamo e il cappuccio del quale dicevano che portavamo il naso d’elefante dietro le spalle, rendevamo terrore a tutti quanti anche agli animali. E per questo motivo ci davano delle grandissime ingiurie. Anche la barba non piace ai nepalesi che considerano i monaci quali musulmani e, perciò malvisti” racconta uno di quegli strani ed eroici viaggiatori.

Bakthapur s’estende oltre la parte antica, fino ad allungarsi nelle strada supertrafficata (e in fase d’allargamento con finanziamenti cinesi) che porta a Dhulikel a da lì ai confini del Tibet (Kodari Road). Fino agli inizi degli anni ’80 si passava in una galleria d’alberi e si poteva viaggiare in filobus. Alberi e fili, tagliati e sostituti da costruzioni fatiscenti, polverose, inquinate. Sempre in quegli anni, il paesaggio (vallate ondulate di risaie) iniziò ad essere riempito di alte ciminiere fumose in cui cuociono i mattoni pieni, fatti d’argilla, per il boom edilizio di Kathmandu. Questa nuova attività si collega allo storico artigianato della zona (particolarmente della cittadina di Thimi) specializzato nella produzione di vasi e manufatti. In questa parte della Valle il terreno è rosso ed è facile l’estrazionela d’argilla .

Nel corso degli anni le fabbrichette di mattoni sono moltiplicate e un esercito di formiche sta erodendo piane e colline per estrarre il materiale. Tant’è che la gente di Bakthapur è stufa ed ha iniziato a protestare “150 houses of Kalitar and local Gyan Jyoti Lower Secondary School were at risk of landslide following the excessive excavation of the soil”. Raccontano di scavi abusivi che mettono a rischio le case che sprofondano, dei fumi che inquinano la valle, del continuo movimento di grossi e fumosi camions che salgono e scendo fra le strade medioevali. Insomma un grande business incontrollato che inizia a creare problemi.

Oltre all’ambiente e alla sicurezza del suolo, la costruzione di mattoni è un enorme sfruttamento di donne e bambini. Le fabbriche iniziano a lavorare a pieno ritmo dopo i monsoni, nella stagione secca (da ottobre-novembre, katik in nepalese) quando i raccolti nei campi sono terminati. Dai villaggi delle colline (io ricordo Kavre), scendono a Bakthapur intere famiglie per scavare l’argilla, cuocere e trasportare i mattoni. A maggio-giugno, con l’inizio delle piogge, i migranti se ne tornano ai loro campi per prepararli ai raccolti. Costo del mattone circa 6 rupie; guadagno medio di una famiglia di 4 persone (compresi i bambini) circa 10.000 rupie (euro 100) al mese. Ogni 1000 mattoni prodotti ricevono circa 500 rupie (5 euro); prodotti di norma in un giorno da una famiglia (media procapite 300-350 mattoni). Se il mattone si rompe la paga è dimezzata (un tempo non veniva pagato) Possiamo immaginarci dove vivono, cosa mangiano e se i bambini vanno a scuola. Si lavora a tempo, senza contratti, andando e tornando dai villaggi quando non c'è lavoro.

Sono contate circa 500 fabbriche di mattoni (in massima parte concentrate nelle vicinanze di Bakthapur, che impiegano 400.000 lavoratori di cui, si dice, l’8% sono minori (una parte degli oltre 1.000.000 di bambini dai 6-14 anni che lavora). Nella “filiera di produzione” i bambini sono impiegati per riempire le forme e timbrare il mattone, portare il tè ai lavoratori (dalle quattro di mattino), portare legna per i forni, trasportare i mattoni, fare da mangiare (le donne producono). E’ stimato che un ragazzino (o ragazzina) guadagna al mese 1800 rupie (euro 18). Il movimento di lavoratori è organizzato da un intermediario (naiki) che anticipa\presta parte del salario nei villaggi. Il reddito agricolo basta a mantenere una famiglia per 6-8 mesi, nella norma (senza malattie, spese straordinarie, matrimoni). Chi non riesce\vuole emigrare dai villaggi di Kavre finisce qui o s’indebita.

Ovviamente ci sono volumi di leggi, convenzioni internazionali, comitati che dovrebbero regolare il lavoro minorile (e non solo) ma niente sembra cambiare. Come scrive nel suo ultimo rapporto l’UNCTAD (agenzia delle NU per il commercio) the assistance extended by developed countries for the economic growth and development of least developed countries (LDCs) has failed to yield concrete results. Si era provato a proporre l’attivazione di scuole ed asili per i bambini dei lavoratori, la sperimentazione di forme meno inquinanti per produrre mattoni (Compressed Earth Blocks-CEB) ma ricercare percorsi diversi costa fatica.

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