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Bronzi di Riace: simboli dissacrati

Un fotografo di fama mondiale, una soprintendente archeologica, le due più belle statue bronzee che mai museo abbia potuto custodire. Il fotografo si chiama Gerald Bruneau, allievo di Andy Warhol; la soprintendente è Simonetta Bonomi, padovana, massimo responsabile dell’archeologia calabrese dal 2009; le statue sono i “Bronzi di Riace”.

Dopo il restauro dei preziosi reperti bronzei, completato di recente, e la loro ricollocazione nel museo di Reggio Calabria a dicembre scorso, c’è l’esigenza di avviare una campagna di comunicazione intorno all’evento e, in qualche modo, come è sempre stato, a fare dei “Bronzi” gli ambasciatori della Calabria nel mondo. Tra i grandi fotografi invitati dalla Regione Calabria a immortalare, da abbastanza vicino, le statue nell’inverno scorso, c’è Gerald Bruneau; egli fa quel che deve fare, cioè gli scatti che gli servono per il suo reportage, e tutto finisce lì.

Ma a fine luglio di quest’anno, su Dagospia i due guerrieri di bronzo appaiono orrendamente addobbati con tanga leopardato, boa color fucsia e da un vistoso velo nuziale. In altri termini, i “Bronzi” sono acconciati da gay capricciosi. Per il fotografo si tratta della reiterazione di un proprio vezzo, o ispirazione artistica che dir si voglia, giacché in passato aveva ammantato di un drappo rosso fuoco la statua di Paolina Borghese custodita nel museo nazionale di Roma. Questa interpretazione di un’opera artistica non era affatto dispiaciuta ad alcuno, tantomeno, stando alle dichiarazioni rilasciate all’Ansa, alla stessa Simonetta Bonomi che però mai avrebbe immaginato che il fotografo sarebbe andato così oltre il tulle bianco previsto e pattuito con cui addobbare i Bronzi.

 

Non ne sapeva nulla dunque la soprintendente, quantomeno di tanga leopardati e boa fucsia che Bruneau custodiva in valigia, né avrebbe mai potuto immaginare che i poveri guerrieri avrebbero potuto inconsapevolmente prestarsi per delle pose così ammiccanti all’universo gay del terzo millennio; quando la possanza di un corpo nudo da sola non basta più. Adesso, a scandalo consumato, si pongono molte questioni e se ne ripropongono altre, quali l’opportunità di portare le celeberrime statue di origine greca in giro per musei ed esposizioni, a cominciare da quella di Milano 2015. A provarci, ai tempi in cui le due statue furono destinate definitivamente al museo di Reggio Calabria, era stato addirittura la buonanima di Sandro Pertini, che avrebbe voluto portare con sé le statue durante le olimpiadi di Los Angeles nel 1984. Ne nacque una querelle che Giorgio Forattini sintetizzò ritraendo i Bronzi acconciati da n’dranghetisti, coppola in testa e lupara sottobraccio; ma era solo un disegno.

Dal mare di Riace sino a Firenze per essere restaurati e da lì a Roma, per un breve soggiorno espositivo; ultima destinazione fu Reggio Calabria dove adesso giacciono sontuosi su piedistalli antisismici, in sala deumidificata e con accesso al pubblico scaglionato. In questo percorso dei Bronzi manca però il tratto iniziale, che va dalla Grecia sino alla costa calabra, e manca pure un dato certo sulla loro identità; posto che quella attribuitagli dal fotografo Gerald Bruneau, all’insaputa della soprintendente Simonetta Bonomi, è davvero fuori luogo. Si può solo immaginare, e dunque ipotizzare, una identità plausibile con la storia, per i Bronzi di Riace. Ma che essi siano, e restino per sempre, la rappresentazione più palpabile, viva e vigorosa di una civiltà sottomessa e sacrificata sull’altare della globalizzazione e delle logiche di abbattimento delle sovranità nazionali, è principio incontrovertibile, molto, ma davvero molto al di là delle considerazioni europeiste che oggi abbiamo circa la loro terra d’origine che è la Grecia. Ed è davvero siderale la distanza che esiste tra la creazione artificiosa, e di pessimo gusto, di una coppia di testimonial dei diritti gay e il concepimento di quelle magnifiche statue in onore di qualcosa o di qualcuno.

Lo storico greco Tucidide raccontava delle vicende del re spartano Pausania; celebrato prima come eroe della guerra contro i barbari, successivamente accusato di medismo e infine braccato nel tempio di Atena Calcieca. Sul punto di morire per sete e fame, Pausania fu condotto fuori dal tempio, e lì spirò. Gli efori spartani, interrogato l’oracolo per conoscere quale avrebbe dovuto essere il luogo di sepoltura di colui che era stato un valoroso re, vincitore della battaglia di Platea, optarono per il vestibolo del tempio. Ma di sacrilegio si era però trattato e bisognava rimediare, espiare la colpa e offrire sacrifici alla dea. Alla fine, secondo il racconto di Tucidide, l’oracolo impose agli spartani di restituire alla dea Atena due statue in bronzo in luogo del corpo di Pausania. Fu così che vennero erette e dedicate alla dea due sontuose statue in bronzo.

Comunque sia, con le sculture bronzee custodite a Reggio Calabria, sacrilegio c’è stato, a opera di un fotografo in cerca di provocazioni artistiche; c’è da domandarsi chi debba espiare equa pena per questa grave colpa. Forse un ritorno a casa per chi ha lavorato tanti anni a oltre mille chilometri di distanza potrebbe bastare, almeno per il momento, e sarebbe anche ora.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.110) 8 agosto 2014 18:25

    La unica osservazione che farei e’ perche’ assumere come sovraintendente una persona proveniente da Padova. Non c’ erano forse in Calabria esperti in grado di amministrare questo tesoro? Per la dissacrazione non farei uno scandalo. Anzi puo’ uno stimolo per l’ immaginazione. Vedere il contrasto tra cio’ che fu e cio’ che puo’ essere. Anzi e’ una valorizzazione proprio per il fatto che danno spunto a varie composizioni umane grazie alla loro ricchezza. Si potrebbe suggerire di svolgere questo tipo di valorizzazione anche al David di Michelangelo. Relativizzare puo’ far bene.















    • Di (---.---.---.59) 9 agosto 2014 10:31

      Si, relativizzare è cosa che serve, ma dipende dai casi, ovvero dall’oggetto o dalla forma da mettere in relazione. I Bronzi, così come gli affreschi della Cappella Sistina oppure il David, si possono mettere in relazione soltanto al sublime, poiché dall’effimero e dalle miserie umane essi si sono liberati così come dal fuoco i Bronzi; dalla sabbia le tempere del Giudizio universale e dal marmo il David.Condivido però appieno la considerazione fatta sulla provenienza veneta della soprintendente della Calabria. Nelle sue vene credo che scorra più "sangue di cemento" che fuoco della passione. 

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