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Berlusconi vuole la crisi?

 

L’argomento del giorno che appassiona chi si interessa di politica è la rottura fra Berlusconi e Fini. Azzardo qualche valutazione osservando gli avvenimenti degli ultimi due giorni.
 
Il premier ha evitato ancora una volta il confronto all’interno del PDL disertando la promessa di convocare il congresso del partito. Il congresso del PDL non poteva essere occultato ai mezzi di informazione che lo avrebbero diffuso in diretta. Agli occhi degli elettori sarebbero giunti contenuti e immagini scomode. Il pubblico infatti sarebbe potuto arrivare a conclusioni, giuste o sbagliate, comunque dannose. Fini avrebbe evidenziato ciò che ha annunciato nella conferenza stampa del 30 luglio: i finiani proseguiranno a sostenere il governo per quelle iniziative strettamente contenute nel programma concordato al momento della richiesta di mandato elettorale. Contrasteranno invece ciò che dovesse risultare ingiusto e diverso da quanto concordato.
 
Tale affermazione mette in evidenza il fatto che i finiani hanno fin ora mosso critiche a quelle iniziative del governo ritenute ingiuste, come nel caso del DDL intercettazioni (legge bavaglio) e che non corrispondono nei contenuti a quanto promesso nel programma elettorale. Componenti della maggioranza si arrogano il diritto-dovere di legiferare in virtù del voto ricevuto. Gli elettori però non hanno votato PdL per sostenere tutte quelle leggi approvate con colpi di “fiducia”: la legge bavaglio, il lodo Alfano, lo scudo fiscale, il processo breve, immunità e garantismo a ministri indagati o addirittura già condannati e tutte le altre leggi ad personam ed i privilegi per le alte cariche dello stato così come non hanno votato a favore delle centrali nucleari e della privatizzazione dell’acqua. La maggior parte degli elettori del PdL probabilmente non intendeva sostenere i tagli alla scuola, alla ricerca, alla giustizia, al pubblico impiego e non ha voluto sostenere una politica che ha portato a licenziamenti, a cassintegrati, a disoccupazione fino a casi di suicidio, ad aumento dell’incertezza lavorativa e del precariato, al trasferimento di grandi aziende all’estero.
 
Sono in aumento gli elettori del centro-destra delusi dalla politica che ha prima nascosto una evidente crisi per poi doverla ammettere facendone pagare le conseguenze a chi ha sempre pagato e proteggendo i soliti intoccabili. Risulta poco credibile un governo che si attribuisce vittorie nella lotta contro la mafia quando nello stesso tempo accusa i magistrati, i PM e le forze dell’ordine di essere comunisti politicizzati ogni volta che scoprono una cricca o che compiono arresti. Non conciliano i meriti pretesi dal governo con i tagli alla giustizia, con le leggi per il processo breve e per le intercettazioni, con i mezzi e gli stipendi ridotti alle forze dell’ordine e alle magistrature. Con tutta probabilità un congresso di partito avrebbe evidenziato molti di questi guasti e contraddizioni. Il congresso avrebbe anche messo in risalto il problema della legalità puntando il dito sui componenti già condannati o indagati che conservano incarichi politici. E’ probabile che Berlusconi di fronte a tali rischi ha preferito la rottura ed affrontare una eventuale crisi.
 
Dopo aver rinviato a settembre la discussione sul DDL intercettazioni tornarne a parlare in tutta fretta in aula e contemporaneamente all’avvenuta rottura con i finiani, può avere due significati:
 
1) Può essere una sfida ai finiani a votare contro prendendosi la responsabilità di aver fatto cadere il governo.
 
2) Provocare la crisi in tempi molto rapidi per andare a nuove elezioni e per ottenere un nuovo mandato dagli elettori. Berlusconi potrebbe così esercitare il proprio potere incontrastato più di prima contando sul “contropiede”. Imminenti nuove elezioni troverebbero infatti impreparate e disorganizzate sia le opposizione che gli stessi finiani con notevole vantaggio per la rielezione dello stesso premier.

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