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Autismo, lockdown e i nuovi dati USA sugli adulti nello spettro

È stata pubblicata la prima stima USA sugli adulti autistici: un over 18 ogni 45 è nello spettro. Dati importanti per ampliare la conversazione sulla prevalenza e rispondere ai bisogni di tutte le fasce d'età (anche nei momenti di emergenza come il Covid-19).

di Eleonora Degano

 

È la prima volta. I ricercatori dei Centers for Disease Control and Prevention, organismo di controllo per la sanità pubblica USA, hanno pubblicato sul Journal of Autism and Developmental Disorders una stima del numero di adulti americani autistici: più di 5,4 milioni di persone, il 2,21% della popolazione maggiorenne. Un over 18 ogni 45 è nello spettro.

Perché è importante? Perché di autismo si parla soprattutto riferendosi all’età evolutiva, e concentrandosi sull’importanza di una diagnosi precoce per poter cominciare con interventi mirati fin da subito con quei bambini che potrebbero trarne giovamento. Ma si dimentica spesso che quei bambini diventeranno adolescenti, giovani adulti, adulti, anziani – la fascia d’età più dimenticata: non esistono ancora studi sistemici per gli over 65 -. Molti di loro potrebbero trarre benefici da servizi, supporto, consapevolezza, ambienti e condizioni di lavoro più autism-friendly e soprattutto accettazione da parte della società.

La mancanza di informazioni porta molti adulti a non approfondire la propria diversità anche quando vi convivono da decenni, invecchiando magari con il dubbio di essere neurodiversi – in un mondo spesso ostile e che sembra progettato per metterci in difficoltà – ma non cercando mai un vero riconoscimento. Se non magari, come accade a molti, dopo la diagnosi di un figlio. Lo stesso vale quando si volge lo sguardo ai professionisti della salute: porre l’accento sui numeri dell’autismo negli adulti può aumentare la consapevolezza anche in psicologi e psichiatri del bisogno di formarsi rispetto a diverse fasce d’età, e di saper riconoscere la diversità anche quando è ben celata sotto una maschera di “tipicità” costruita in anni di cammuffamento (masking autistico), comorbilità o imitazione di comportamenti altrui.

Non solo bambini: i bisogni degli adulti autistici

Avere questi numeri permette di ampliare la conversazione quando si parla di prevalenza dell’autismo. Il dato che troviamo in genere citato – sempre sugli USA, dall’Autism and Developmental Disabilities Monitoring Network sui bambini di 8 anni – è di un bambino ogni 54. Ora possiamo parlare di un adulto ogni 45. “Una delle cose che più mi colpiscono è che 5 milioni di persone sono tantissime persone, e che [avere questi dati] può essere utile per anticipare non solo i bisogni futuri, ma capire quali sono quei bisogni già oggi”, commenta Matt Maenner, epidemiologo CDC che ha contribuito alla raccolta dei dati.

Bisogni che per tanti vanno oltre le esigenze genericamente intese come mediche, ma sono più orientati verso una miglior qualità della vita, per “[…] riaffermare la centralità del benessere e delle aspettative di crescita e gratificazione delle persone” neurodiverse (e qui ho preso in prestito le parole di Rodogno, Krause-Jensen ed E. Ashcroft in «Autism and the good life: A new approach to the study of well-being», Journal of Medical Ethics, tradotto in italiano nel libro L’autismo oltre lo sguardo medico, a cura di Enrico Valtellina, Edizioni Erickson 2020).

Lo studio è solo un punto di partenza, ma colma un gap nei dati USA perché non c’è un sistema di monitoraggio che raccolga le informazioni attraverso tutti gli stati. E i servizi, che si tratti di professionisti formati sull’autismo o di terapie, non sono distribuiti in modo omogeneo sul territorio. La mappa interattiva GapMap dell’Università di Stanford, elaborata proprio per identificare le zone “dimenticate”, aveva già mostrato il problema: in oltre l’80% dei distretti statunitensi non ci sono centri dedicati e ottenere una diagnosi/ servizi è estremamente difficile.

Una situazione che si è esacerbata con la pandemia di Covid-19 (in fondo all’articolo troverete le testimonianze di un gruppo di adulti autistici da tutto il mondo che mi hanno raccontato il loro lockdown): da settimane gli esperti si confrontano sulle possibili modalità per diagnosticare in modo efficace da remoto e fare terapia a distanza, sulla validità di questa modalità e – negli Stati Uniti – su come far sì che questo tipo di diagnosi venga riconosciuto come valido dalle compagnie assicurative. A livello mondiale il lockdown ha impattato duramente l’accesso ai servizi per gli autistici, di tutte le età.

Il sondaggio SPARK
famiglie

Secondo un sondaggio del progetto SPARK, Simons Foundation Powering Autism Research, lanciato negli USA il 20 marzo, a subirlo di più sono stati fin da subito i bambini, per a chiusura delle scuole e lo stop ai servizi come la logopedia, e le donne – nota: molte persone nello spettro, così come quelle neurotipiche, non necessariamente si identificano come uomo/donna ma i dati del sondaggio non riportano altre opzioni di genere – . Le versioni del questionario erano due: una dedicata alle famiglie, cui hanno risposto 8.000 genitori riguardo ai propri figli (età media 12 anni) e una destinata direttamente agli adulti, cui hanno risposto 636 persone (età media 36 anni).

Il 60% delle famiglie ha risposto che i servizi per i figli avevano subito interruzioni notevoli. Il 36% dei bambini stava seguendo un percorso terapeutico a distanza, ma solo la metà – secondo quanto riportato dai genitori – sembrava trarne effettivo beneficio. I cambiamenti alla vita quotidiana causati dal virus hanno reso complicato anche per queste famiglie conciliare tempi lavorativi e personali, così come mantenere routine e rituali che svolgono un’importanza cruciale per le persone nello spettro, di qualsiasi età.

Tra gli aspetti positivi, l’aver beneficiato di più tempo in famiglia per concentrarsi sugli hobby ed esplorare nuove attività. E per alcuni bambini e ragazzi, la scuola a distanza ha funzionato meglio di quella in presenza: meno distrazioni, possibilità di imparare a un ritmo più adatto, meno ansia. Ma non ha funzionato per tutti: alcune famiglie più in difficoltà avevano semplicemente accettato di avere poco controllo sulla nuova situazione e hanno risposto che si stavano concentrando “su ciò che è possibile controllare, un giorno alla volta”.

Il sondaggio SPARK
adulti

Anche per gli adulti il Covid-19 ha portato alti e bassi. Molti di quelli che hanno risposto al questionario stavano usando il tempo in modo “positivo” dedicandosi alle pulizie di casa, al giardinaggio, alle camminate in solitaria (quando possibili). Alcuni erano contenti di poter ridurre le interazioni sociali, altri hanno detto che stavano parlando molto più di prima con famiglia e amici perché potevano farlo via video chat e non di persona. Ma il ritiro sociale obbligato non è stato positivo per tutti e gli impatti negativi non sono mancati: il 97% dei rispondenti ha detto che la sua vita sociale era stata impattata negativamente. In molti la pensavano così anche per quella domestica e lavorativa: l’89% delle persone che ha subito cambiamenti professionali a causa del Covid-19 ha detto che erano in negativo.

Tra gli adulti che hanno risposto la percentuale di donne era leggermente più alta (59%) e ne è emerso che, arrivati a fine marzo, avevano risentito di più: riportavano peggioramenti più importanti nella vita sociale, domestica, nelle finanze, nonché dal punto di vista della salute mentale ed emotiva. Per molti uomini autistici, al contrario, il lockdown ha significato meno nervosismo e ansia, nonché meno reazioni fisiche legate allo stress rispetto a quelle riportate dalle donne.

Ma come scrive Enrico Valtellina, filosofo ed esperto in Disability Studies “[…] l’autismo/sindrome di Asperger è un vettore di differenziazione, non di omologazione, per cui un discorso affermativo collettivo finisce per perdere lo specifico della condizione, la singolarità”. Lo ho messo in pratica chiedendo ad altri adulti autistici da tutto il mondo, alcuni dei quali genitori di bambini a loro volta nello spettro, come hanno vissuto e stanno ancora vivendo la pandemia.


Alyce, 22 anni – Per me è stato orrendo. Avevo appena imparato a uscire di casa (sono agorafobica) ed ecco che è obbligatoria la mascherina; non posso indossarle per via di difficoltà sensoriali. Anche con terapie e farmaci sta peggiorando. Sono perlopiù non-verbale e divento praticamente muta, a parte piccoli momenti di lucidità in cui Alyce riesce a parlare; solo per iscritto. Questo mi ha impedito di fare terapia a distanza. Le videocamere mi fanno sentire ancor più osservata degli occhi umani. Telefoni e video si basano sul parlato. Prima del lockdown avevo passato un mese a documentare tutto sul mio diario, volevo semplicemente darlo al terapista e aspettare là, nel mio mondo. Ora non posso fare un bel niente. E i miei dottori si stanno comportando in modo abilista, non cooperano nonostante il mio compagno abbia scritto loro (dai miei account) che non parlo. Hanno provato a telefonare dopo ogni e-mail. 10 volte in due giorni. Un attacco di panico ogni volta. Alla fine ce l’ho fatta e ho potuto avere le mie medicine […].

Jo, 47 anni – Il distanziamento sociale mi sta piacendo molto, ma ho avuto grosse difficoltà per la totale mancanza di routine. Sono stata congedata dal lavoro e qualsiasi cosa fuori casa mi metteva ansia, al punto che non riuscivo nemmeno a uscire per gettare le immondizie finché c’era luce. È andata meglio aumentando le medicine e grazie all’aiuto di un’amica preziosa che – quando il lockdown è stato allentato – mi ha convinta a incontrarci per far passeggiare i cani. Senza di lei probabilmente non sarei più uscita di casa.

Vi, 18 anni – Per certi sensi è stato difficile, ma anche molto positivo. Non mi turba troppo la perdita di contatti sociali, se posso contattare gli amici più stretti tramite social media e videochiamate. La cosa più importante che è arrivata con il lockdown è stata la possibilità di lavorare su quelle abilità che non ho tempo di coltivare nella frenesia della vita normale. Dopo una giornata che è già di per sé sfiancante, sistemare la casa o imparare a cucinare qualcosa di nuovo è troppo per me. Ma ora mi ci sono abituata e mi sento tranquilla a svolgere queste attività, spero di continuare a migliorare. Sono diventata più indipendente e mi sento pronta ad andare a vivere da sola.

Lorenzo, 40 anni – Io ho patito molto il lockdown, sia per il dover stare chiuso in casa sia perché il contatto sociale con i miei familiari era più prolungato e senza i momenti di “stacco” a cui ero abituato. Inoltre non c’e stata per me la possibilità né di mantenere una routine né di stabilirne delle altre.

Marissa, 40 anni – Non mi pesa la mancanza di interazioni sociali fuori casa, significa spendere meno tempo a sfiancarmi facendo masking. Non devo più fare finta costantemente, il che è un sollievo enorme. La cosa più stressante è il fatto che vivo con una persona poco preoccupata rispetto al rischio di ammalarsi, e che ha continuato ad andare al lavoro ogni giorno. Il suo approccio è diverso dal mio rispetto al mantenere il distanziamento sociale e disinfettare, pensa che io sia “nevrotica” quando mi attengo alle raccomandazioni di epidemiologi e virologi. Sono anche frustrata dalla mia famiglia che la vede allo stesso modo; anche se penso di stare facendo le cose nel modo giusto per stare al sicuro (e semplicemente seguo le linee guida CDC), subisco gaslighting e mi viene detto che sono “eccessiva”. Lo attribuisco al fatto che l’America non ha davvero realizzato quanto è pericoloso il virus, ma il fatto che le persone intorno a me non considerino grave la situazione mi provoca ulteriore ansia.

Angie, 43 anni – Ero davvero esaurita da lavoro, lezioni e dalla responsabilità dei miei figli, perciò il distanziamento sociale mi ha dato sollievo. Mio marito fa parte del personale essenziale quindi abbiamo comunque un’entrata, anche se meno del solito. Perciò posso passare molto tempo con lui ma non ci stiamo stancando l’uno dell’altra, come ho sentito sta accadendo a molte coppie. I miei bambini sono un’ottima compagnia. Mi piace passare tempo con loro… uno alla volta. Insieme non fanno che litigare ed è più di quanto io possa gestire ora. La sera mi è capitato di stare sveglia fino a molto tardi, quando i bambini sono a letto e mio marito al lavoro, per poter passare del tempo con me stessa e godermi un po’ di solitudine.

Laura, 33 anni – Durante la quarantena sono stata benissimo. Ero ormai alla frutta dal mio burnout nel 2013 e, per la prima volta in anni, ho sentito di avere le energie per attività di piacere. Sono verbale e sembro neurotipica abbastanza da tenermi un lavoro. Ma non ho tempo per recuperare, quando non lavoro sto ricaricandomi dal lavoro. Hobby e interessi sono lussi per i quali non ho energie. In marzo sono stata congedata e ho trascorso gli ultimi due mesi a fare torte e lavorare al mio libro: cose che adoro, ma che non ho le forze di fare quando devo lavorare. La ‘normalità’ era il mio incubo, e il pensiero di doverci tornare mi terrorizza.

Sabine, 50 anni – Sono una mamma single e lavoro a tempo pieno. Appena le scuole hanno chiuso e ho inziato a lavorare da casa abbiamo stabilito nuove routine. È stato un periodo meraviglioso, ho dormito in modo sano e mi sentivo piena di energie. È aumentata la creatività e mi sono tenuta in forma. La mia vita sociale è inesistente e questo non è cambiato, ma non c’era più pressione al riguardo. Posso continuare così? Me la cavo benissimo con gli amici online.

Fabiano, 37 anni – All’inizio sono stato male soprattutto perché il drastico cambiamento di routine mi ha destabilizzato molto. Poi gli unici problemi sono diventati i fastidi sensoriali della mascherina e del gel disinfettante per le mani, perché per il resto mi sono trovato molto bene: telelavoro, quindi niente viaggi di ore, niente uffici affollati, niente rumore, nessuna distrazione. È stata anche adorabile l’estrema diminuzione del traffico sotto casa, che ci ha permesso di goderci il canto degli uccellini in pieno centro come mai prima. Inoltre mia moglie, pur non avendo diagnosi, ha molti tratti in comune con me, quindi ci siamo trovati bene nella situazione, a parte gli ovvi disagi. Spero rimanga almeno il senso del rispetto dello spazio personale negli spazi chiusi, anche se ne dubito.

Serena, 51 anni – È stato rigenerante, una condizione “artificiale” ma che mi ha permesso di capire come sarebbe una vita sensorialmente adatta a me. Ho studiato, pensato, dormito come non mi capitava veramente da tantissimo tempo. Adesso che sono di nuovo circondata da rumore, confusione etc. è bruttissimo. Mio figlio (15 anni) si è trovato molto bene con la didattica a distanza, non doversi svegliare, preparare, uscire di casa ma poter stare nella sua stanza, senza tutta l’iper-stimolazione sensoriale che a scuola gli provoca molti problemi. Insomma, anche per lui una dimensione congeniale. Per la sorella minore (10 anni) invece la DaD non ha funzionato, d’altra parte anche la didattica in presenza non è che sia mai stata un granché per lei, ora è solo diventato più evidente.

Agostina, 39 anni – Siamo stati bene quasi tutti, sia io che i figli,10 e 5 anni, tutti nello spettro, la femmina anche ad Alto Potenziale Cognitivo. All’inizio ho passato tre giorni di incredulità mista a paura. Poi abbiamo iniziato a costruire delle routine, a cercare di fare delle cose piacevoli, insieme.

Sandra, 40 anni – È andata benissimo tranne un paio di volte in cui mi è pesato non poter uscire a cena fuori; durante il lockdown ero sempre tra i fornelli, mentre di solito cucino una volta al giorno. Ho capito tutta la fatica che facevo prima, e ora che le amicizie ritornano a farsi vive un po’ mi pesa.

Orietta, 47 anni – Io sto bene, ho perso il senso di colpa rispetto al non uscire e non vedere gente. A mio figlio, che ha 15 anni e frequenta l’Istituto tecnico informatico, non è parso vero poter fare lezioni da casa – fatte salve le comprensibili difficoltà nell’organizzazione della DaD e il tempo necessario per mettere a punto questo nuovo modo di fare lezione -. Non gli manca il contatto con i compagni. E lavora, eh. Non perde un colpo.

Mireya, 61 anni – Dopo un primo momento di ansia – ho iniziato prima l’isolamento per contatto con una persona risultata positiva -, mi sono sentita molto bene. Ho creato un’organizzazione della giornata che mi ha dato una grande pace. Avevo il tempo per dedicarmi a ciò che desideravo, poi ho iniziato a lavorare da casa con un ritmo umano, veramente un periodo diverso ma interessante.

Susanna, 59 anni – Per me non è cambiato nulla. Io non esco mai, solo a volte la sera, l’unica scocciatura è stata non poter usufruire della spesa a casa delle attese infinite, ma è solo un’abitudine, ci è andato mio marito. Mi sono mancati i figli ma per il resto, stando in campagna, c’era il solito santo silenzio.

Daniel, 30 anni – All’inizio il lockdown per me è stato molto positivo, poi è finita la novità! Volevo vedere gli amici e ritornare al lavoro. Vedere sempre le stesse quattro pareti era diventato pesante. A dirla tutta, la mia situazione finanziaria ne ha beneficiato, ma la salute mentale ne ha risentito parecchio.

Elizabeth, 29 anni – La completa mancanza di routine è stata la cosa più difficile. Mi servono indizi esterni anche solo per ricordare di mangiare, senza una routine annaspo e non sono mai riuscita a impostarne una – o darmi una scadenza – da sola. E seppur sia introversa, ho bisogno di interazione sociale. Messaggi, telefonate e videochiamate non fanno per me. I miei linguaggi preferiti sono tempo di qualità e contatto fisico, entrambi richiedono di stare con qualcuno dal vivo. Vado avanti e indietro dal mio appartamento vuoto e casa dei miei. Nel mio appartamento c’è silenzio e posso fare ciò che voglio, ma non ci sono elementi che mi aiutino a star bene (e questo causa problemi con l’alimentazione). Dai miei genitori ho compagnia e indicazioni, ma è più facile incappare in trigger. C’è molto rumore e per la maggior parte non posso controllarlo […]. Inoltre la consegna dei diplomi virtuale è stata triste, dopo i due anni di fatica e sfide emotive e fisiche affrontate per conquistare il titolo.

Alice, 41 anni – Per me e per mio figlio di 10 anni è stato un periodo davvero rigenerante. Lo studio in DaD, senza lo stress della componente sociale, lo ha aiutato a tirare fuori molte potenzialità. Io ho studiato e letto e non prendevo più i farmaci per ansia e insonnia.

Laura, 36 anni – Best time of my life. Finalmente giustificata per stare a casa e occuparmi dei mie interessi. Pagata, ma non dover andare a lavorare. Nessuno per strada, poter però uscire tranquillamente coi cagnolini. Nessun rumore per strada, la casa era più tranquilla e ho dormito molto bene. Nessuna attività sociale a cui dover partecipare, bar chiusi… un paradiso. Peccato solo che non si potesse andare in spiaggia. Ho cercato di prediligere gli acquisti on-line. Malissimo però gli sguardi terrificanti incorniciati dalle mascherine. Ho avuto modo di organizzarmi meglio e continuare a portare avanti una routine migliore.

Roberta, 39 anni – Sono stata male all’inizio, perché sono molto attiva e ciò mi consente di scaricare ansia e tensione nervosa. Quindi ho avuto qualche attacco di panico… poi avevo paura di andare nel prato condominiale per muovermi un po’, perché era il periodo degli insulti dai balconi. Per fortuna qui non è successo, quindi ho trovato un giusto equilibrio, sfruttando anche il balcone per fare ginnastica. Nel giro di due o tre settimane mi sono abituata e ho iniziato a stare meglio di prima. Con la ripresa della libertà, ho avuto attacchi di panico le prime volte che entravo in macchina. Mi sono dovuta riabituare gradualmente a uscire, allontanarmi da casa, entrare nei supermercati… diciamo che in una decina di giorni la cosa si è risolta. L’unica cosa che mi è rimasta è che ho meno spinta di prima a fare cose fuori casa. Non per paura, ma perché non ne ho voglia… penso che anche questo tornerà alla normalità.

Roberta, 35 anni – A me è mancato molto non poter camminare, faccio 5 km ogni giorno in campagna e mi rilassa tanto. Ho molti stimming mentali che devo sfogare in qualche modo senza far credere alla gente che parlo da sola. Ma è anche vero che non ho avuto sovraccarichi, quindi non ne ho sentito troppo la mancanza, era più abitudine che altro. Per il resto sono stata benissimo: lucidissima, sveglia, piena di forze, ho seguito la mia solita routine e ho aggiunto cose che sto riuscendo a mantenere anche oggi.

 

Fotografia: Pixabay 

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