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Australia e India anticipano la Federal Reserve

Le manovre della Fed sono molto chiare. A chi le sa leggere.

L’Australia e l’India, per anticipare la Fed nel suo piano di riattivazione dell’inflazione, hanno appena proceduto ad aumentare i tassi di interesse per rallentare l’inflazione e il surriscaldamento della ripresa. Il decoupling fra quei Paesi che godono di una ripresa anche fin troppo vigorosa e quelli dove ancora c’è bisogno di stimoli si allarga ancora.

L’India ha già agito a rialzo sui tassi sei volte quest’anno, allo scopo di raffreddare la crescita e con il risultato di far rivalutare progressivamente la propria moneta. E anche il rapporto fra Dollaro Australiano e Dollaro americano è aumentato del 20% da giugno a oggi. E le decisioni di questi giorni faranno inevitabilmente aumentare l’afflusso di capitali in queste economie a scapito degli USA. Vi rammento le ragioni dell’intervento della Fed, vista l’anomalia di una Banca Centrale che cerca l’inflazione (o per lo meno che lo dice apertamente): dopo aver agito sui tassi di breve per stimolare la ripresa (taglio dei tassi, ovvero la manovra convenzionale in recessione) la Fed è passata, in assenza di ripresa, alle manovre non convenzionali, cioé il Quantitative Easing: comprare asset obbligazionari, facendo scendere i rendimenti. mancando ancora il risultato della ripresa, ed essendoci margini molto ridotti per veder scendere ancora i rendimenti obbligazionari, il nuovo Quantitative Easing (QE2) viene erogato per generare aspettative di inflazione.

Perché? Quello che si desidera è la riattivazione dei consumi, che negli USA da anni si basavano sul credito. Per questo ridurre i tassi, prima brevi, e poi anche medio-lunghi, avrebbe potuto funzionare: il credito sarebbe costato meno e quindi il consumatore avrebbe potuto consumare di più. Purtroppo le famiglie sono però in una fase di deleveraging o “riconciliazione del bilancio familiare“, come spesso l’ho chiamato nei numeri di Mese Alieno. Significa che di fronte a tutto quello che è successo, alla perdita dei posti di lavoro, ecc… il consumatore americano sta cercando prima di tutto di ridurre i propri debiti, non è più concentrato sui consumi. Ma che c’entra tutto questo con la Fed e l’inflazione? Non potendo più spingere gran che sulla discesa dei tassi, la Fed intende generare aspettative di inflazione: se ho paura che i miei risparmi verranno erosi più rapidamente, sarò infatti orientato a consumare di più: una miscela di bassi costi di finanziamento e prezzi crescenti sperano serva ad evitare la sindrome giapponese e a riportare i cittadini a consumare. E’ presto per sapere se ce la faranno, quello che è certo è che se l’inflazione poi scapperà di mano (e i presupposti ci sono tutti) il rischio di doverla combattere a colpi di rialzi dei tassi sarà concreto, attivando una spirale rialzista tassi-inflazione. Proprio per questo viene sottolineata, nella strategia comunicativa della Fed, la volontà di accendere le aspettative di inflazione, non l’inflazione tout-court.

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