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Aspettando la riforma della Giustizia – Politicizzazione

Sempre aspettando la riforma della Giustizia e sempre continuando la lettura di Giustizia – La parola ai magistrati, coordinato da Livio Pepino, ex Presidente di Magistratura Democratica, il vostro cronista è giunto al “pezzo forte” del libro, ossia al saggio Politicizzazione, scritto dallo stesso Pepino con il chiaro obiettivo di confutare le accuse a taluni magistrati di perseguire l’attuale premier per ragioni esclusivamente di contrapposizione politica.

Il dottor Pepino, dati alla mano, contesta che la Magistratura odierna sia più vicina al potere politico di quanto non lo fosse durante la fase monarchica, quando essa era fortemente assoggettata prima alla Casa dei Savoia e poi al fascismo. Individua poi nelle grandi novità introdotte dalla Costituzione repubblicana, anzi in quella che chiama una vera e propria “rivoluzione copernicana” della Costituzione repubblicana, le ragioni che hanno portato alle frizioni fra magistratura e politica. Infatti è con essa che si è giunti a quella contrapposizione fra i poteri dello Stato auspicata da Montesquieu e, da ciò, la possibilità di conflitti e di contrasti. Il magistrato oggi deve radicarsi nella società e non più nei poteri costituiti; l’art. 101 comma 2 della Costituzione recita che «I giudici sono soggetti soltanto alla legge» e, da ciò, deriva anche la loro disobbedienza ai potentati economici, al pasoliniano «palazzo», alla stessa interpretazione della legge degli altri giudici, sino a realizzare un pieno pluralismo interpretativo.

Questa disanima, sia detto con franchezza, lascia alquanto perplessi.

Innanzitutto, se la separazione e la contrapposizione dei poteri dello Stato montesquieana non è esistita prima della Costituzione e, forse, è inattuata ancor oggi, ciò ha un nome soltanto: arretratezza. Il nostro è un Paese dove i principi dell’Illuminismo, a due secoli e più dalla Rivoluzione Francese, non sono ancora del tutto pervenuti. Il nostro Paese è stato caratterizzato in passato da una forte arretratezza culturale, economica, sociale, politica, e così via; e non è che si sia del tutto evoluto ai giorni nostri, come dimostrano il persistere del problema meridionale, del clientelismo politico, della corruzione, della malavita organizzata, e così via.

Prima o poi dovremmo giungere alla separazione ed all’equilibrio fra le tre funzioni dello Stato, quella legislativa, quelle esecutiva e quella giudiziaria; ma, perché ciò avvenga, deve anche cessare l’attuale vergognosa compressione della funzione legislativa ad opera di quella esecutiva grazie alla famigerata legge elettorale, comunemente denominata “porcellum”. Per quanto possa sembra strano, senza questo “riequilibrio”, che passa attraverso l’abbandono del sistema delle “liste bloccate”, non è possibile alcuna incisiva riforma del sistema giudiziario. Senza equilibrio fra le tre funzioni, lo Stato moderno e democratico non può esistere.

Riguardo, poi, la “politicizzazione” della Magistratura, ebbene le cose, ad avviso del vostro cronista, dovrebbero essere viste al contrario: non è un problema della Magistratura, ma un problema della politica. Come per legge di natura, non esiste potere più corruttivo di quello della politica quando essa viene fatta dalle sue proprie sedi istituzionali. Lo vediamo in tutte le associazioni sindacali quando finiscono per sorreggere i vessilli di una qualche parte politica; lo vediamo nella stampa, quando trapassa da informazione a propaganda; lo vediamo nello stesso attuale modo di far cronaca politica dei TG, non raccontando i discorsi pronunziati dai politici alle Camere, ma raccogliendo le loro scontatissime dichiarazioni in una sequela di banalità, cui vi è un unico oggettivo che sembra adeguato, “osceno”; e così via. La politica dovrebbe esser fatta propriamente nel Parlamento, nei Consigli Regionali, nei Consigli provinciali e nei Consigli comunali e nei rispettivi Esecutivi.

Quanto, infine, all’ipotesi di un pluralismo nell’operato della magistratura, orbene sembra proprio un’idea stravagante. Ogni cittadino, uscendo di casa la mattino, deve ben sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato fare. Abbiamo bisogno di principi, criteri ed indirizzi ben noti a tutti. Più che il pluralismo, dovremmo, forse, auspicare una convergenza dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni.

Anche di tutto quanto sopra, cosa ne penserà il legislatore della riforma della Giustizia prossima ventura? Attendiamo con ansia di saperlo.

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