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Anna Politkovskaja, donna non rieducabile

Basta poco per sentirsi un nulla, basta poco per essere un’eroina dei nostri giorni. Anna Politkovskaja, giornalista russa uccisa 5 anni fa, il 7 ottobre 2006, era una donna qualunque. Diceva: “Non posso smettere di scrivere. Non posso evitare di vedere la realtà, di descrivere i fatti. Sono una giornalista”. E poi: “mi continuano a dare fogli e foglietti, informazioni, lettere..e mi dicono ‘lo scriva, lo scriva, mi raccomando. Scriva che la notte, qui a Groznyi i militari russi e la guerriglia cecena saccheggiano i villaggi, violentano le donne, uccidono chi fa resistenza. La prego, lo scriva! Quando torna, lo scriva!’ “. E così Anna Politkovskaja scriveva, scriveva così tanto e riportava tutto con tanta fedeltà che ad un certo punto l’hanno dovuta far smettere: bisogna silenziare una ‘donna non rieducabile’.

In anteprima alla sala Arrigoni dell’ex Cinema Palazzo di San Lorenzo – stabile occupato da un gruppo di cittadini per evitare la costruzione di un casinò – Ottavia Piccolo ha recitato alcuni brani dello spettacolo che andrà in scena dal 7 al 9 ottobre al Teatro India di Roma.

La potenza del messaggio della Politkovskaja, in “Donna non rieducabile” di Stefano Massini, arriva dritta allo stomaco, come un pugno. Il pugno che Anna sente quando scopre un cadavere caldo accanto a lei sull’aereo militare dove era stata sbattuta, dopo un lungo interrogatorio, per essere ricondotta dalla Cecenia in Russia.

Il pugno allo spettatore, che grazie alla resa teatrale dell’attrice Ottavia Piccolo, sente le parole palpabili della Politkovskaja e ‘vede’ le immagini, la descrizione di un’ingiustizia senza fondo.

“Voi lo avete mai visto un corpo dopo un’esplosione? ..Un pezzo di lamiera, due sportelli, una scarpa, una testa mozzata; vomito, cacca, un volante, due cani morti, un pezzo di ferro, calcinacci, vomito; due braccia, un tettino di un camion, brandelli di vestiti, cacca, vomito. Il sangue..e la neve.”

Il senso di sconfitta che si prova nel sentire le parole della Politkovskaja, il senso di impotenza che si ha nel percepire l’esistenza di un’umanità spietata, fatta di oppressori, è immenso.

Una società di giusti e di sbagliati, di giudicanti e giudicati: un potere intimidatorio forte, quello del governo russo, affiancato alla propaganda mediatica che crea nell’opinione pubblica l’idea che i ceceni siano il nemico da abbattere. Sono pochi dunque, a ‘con-muoversi’ per un popolo in balia di una guerra senza regole, pochi quelli come Anna Politkovskaja e i suoi colleghi della Novaya Gazeta: “Signora ma lei, da che parte sta, esercito russo o ribelli ceceni? Deve prendere una posizione, da che parte sta? E’ intelligente prendere una posizione.”

Le persone intelligenti – s’interroga Anna – devono schierarsi. “Ah già, giusto… devo prendere una posizione, è intelligente prendere una posizione. Allora vediamo: meglio i ribelli ceceni che hanno preso in ostaggio dei bambini di dieci anni, li hanno rinchiusi nella loro scuola e gli davano da bere urina calda, o meglio i militari russi che hanno fatto incursione nella scuola di Beslan con gas e armi non convenzionali?”

Meglio gli stupri e le razzie dei ribelli ceceni, o quelle dei militari russi? La domanda rimane là, appesa, insignificante e piena di ragioni. Eppure, Anna, devi prendere una posizione, le persone intelligenti prendono una posizione.
Dopo la performance dal vivo di Ottavia Piccolo, la proiezione de “Il sangue e la neve” – versione cinematografica dello spettacolo teatrale “Donna non rieducabile” dall’ottima regia di Felice Cappa - ci fa rimanere così, come una delle cruente immagini iniziali recitate agli spettatori della sala Arrigoni.
È la descrizione che fa la Politkovskaya di una delle sue prime visite in Cecenia: una testa mozzata, pendente e gocciolante; sotto, una pozza di sangue a cui si aggiungono, ticchettando, gocce su gocce, in un piccolo lago marrone. I soldati russi più in là se la ridono. “Era un ribelle ceceno” le spiegano “siamo in guerra, vi stiamo proteggendo..stiamo salvando la patria.”

E noi lì, spettatrici in sala, rimaniamo così: appese.

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