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Angela Davis, tra attivismo e accademia

Un resoconto dell'incontro tra l'attivista e accademica Angela Davis e gli studenti dell'Università di Bologna del 15 marzo 2016.

Angela Davis entra nell’aula di Via Zamboni e si siede sorridente davanti a una folla di studenti. Ha la stessa chioma che la rese icona quando militava nelle Pantere Nere e uno sguardo, infuocato e pacato insieme, che abbraccia tutta la stanza. È qui per parlare del dialogo costante tra ricerca accademica e attivismo politico, di quell’andirivieni tra teoria e prassi che è stata la sua straordinaria vita; perché, chiarisce subito, “la conoscenza ha valore solo se fa la differenza nel mondo reale”.

Nasce nel 1944 nel quartiere Dynamite Hill di Birmingham, Alabama, in una quotidianità scandita dai continui attacchi del Ku Klux Klan ai danni della comunità afroamericana. S’iscrive alla Brandeis University, facoltà di letteratura francese, e a 19 anni è in Francia per frequentare i corsi di filosofia di Herbert Marcuse alla Sorbona. Trova in lui un maestro, una metafora vivente del connubio tra speculazione teorica e attivismo politico che lei stessa incarnerà negli anni. È Marcuse a convincerla a trasferirsi a Francoforte per studiare teoria critica con Theodor Adorno. Una volta in Germania, Angela non esiterà a tornare negli Stati Uniti appena scoppia il movimento per i diritti civili degli afroamericani, nonostante lo scetticismo di Adorno che non supporta la sua decisione. Poi, la detenzione in carcere con l’accusa di responsabilità nell’uccisione di un giudice da parte delle Pantere Nere e l’assoluzione un anno e mezzo dopo. Da allora la sua esistenza è un alternarsi di militanza politica e analisi teorica.

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Angela Davis

L’incontro è aperto agli studenti dell’Alma Mater che per un paio d’ore pongono domande a Davis. Alla prima studentessa che interviene per spiegarle la recente polemica scoppiata all’Università di Bologna, dove un collettivo ha impedito al politologo Panebianco di fare lezione in seguito a un suo editoriale in favore dell’intervento militare in Libia sul Corriere della Sera, Davis chiede: “State cercando di raccogliere una comunità più ampia possibile intorno alla vostra causa anti-bellicista? Vi state guardando intorno per allargare la base che vi sostiene?”. Fuori dal cortile delle lotte studentesche esistono mondi su cui affacciarsi, altri gruppi con cui stringere legami. E racconta un aneddoto risalente ai tempi della sua militanza universitaria, quando insieme ad altri studenti afroamericani riuscì ad allearsi con i latinoamericani e i lavoratori per fondare il “College Lumumba-Zapata”, unendo identità diverse in un’unica anima politica. Anche e soprattutto in politica, insomma, il tutto è più della somma delle sue parti.

A uno studente che le chiede come fare per comprendere l’odierna crisi dei rifugiati in Europa Davis da una risposta netta: stiamo assistendo alle conseguenze contemporanee del colonialismo. I fenomeni storici hanno conseguenze a lungo termine e affidarsi al senso del tempo del capitalismo – un tempo del mercato, del profitto – non ci aiuta a capirli. Durante un recente incontro con una comunità di rifugiati a Berlino, Davis ha dichiarato che "il movimento dei migranti è il movimento del ventunesimo secolo, è il movimento che sta sfidando gli effetti del capitalismo globale, è il movimento che reclama i diritti civili per tutti gli esseri umani".

Per dimostrare che nessun evento storico nasce dal nulla, ma emerge dalla concatenazione di eventi precedenti, Davis ripercorre la genesi del movimento Black Lives Matter che negli Stati Uniti sta ampliando e rivoluzionando l’attivismo afroamericano. Non si tratta di sporadiche proteste contro la violenza della polizia, spiega, ma di un’alleanza complessa che mette insieme percorsi politici diversi. Il valore aggiunto di Black Lives Matter è duplice: l’apertura ai non-afroamericani, perché il razzismo ci attraversa tutti e struttura le nostre relazioni, e il coinvolgimento di queer, trans, disabili, migranti, donne e tutti soggetti marginalizzati non solo nella società ma anche all’interno degli stessi movimenti (come si legge nel manifesto del movimento).

Meraviglia e rassicura sentire Davis, emblema di attivismo e azione, dire che un movimento ci mette tempo a costruirsi, che organizzare è faticoso, che l’impazienza di vedere conseguenze immediate è controproducente. Il mantra dell’attivista dovrebbe essere una rivisitazione in chiave engagée dell’imperativo categorico kantiano: agisci come se fosse possibile cambiare il mondo oggi, sapendo che non esiste certezza che le conseguenze delle tue azioni saranno immediatamente percettibili.

Infine, l’ex Pantera chiarisce il senso del rapporto tra ricerca e militanza che è il tema di questo incontro. La conoscenza prodotta dentro le istituzioni accademiche è rappresentata - specie in epoca neoliberista - come astratta e disconnessa dalla vita reale. Ma pensare studio e attivismo in quanto sfere separate impedisce di coglierne la naturale continuità: da un lato eclissa il potenziale trasformativo della conoscenza accademica, dall’altro svilisce il valore della conoscenza prodotta in spazi non accademici.

Studiare non è un’attività prudente, al contrario è un’impresa pericolosa, conclude Davis. Le idee sconvolgenti vanno affrontate, sviscerate, smontate e rimontate; il turbamento generato dallo studio è la sola forza che può rendere la conoscenza produttiva. Perché è nel momento in cui non ci sentiamo più in pericolo che la conoscenza si ferma e ci mettiamo nella posizione di non poter cambiare la realtà.

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