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Amnesty: Israele ha dimostrato uno "scioccante disprezzo" per la vita dei civili palestinesi

Sono passati alcuni mesi dal 26 agosto, data di conclusione dell'operazione Margine Protettivo che ha causato la morte di oltre 2000 palestinesi, in larga parte civili, ed il ferimento di altri 11.000. La campagna militare è durata 50 giorni, con ripetuti attacchi dal cielo ed incursioni via terra dell'esercito israeliano.

Un nuovo rapporto di Amnesty International analizza il conflitto e conclude che Israele ha più volte infranto “sfacciatamente” il diritto internazionale, per l'alto numero di vittime civili causato.

Analizzando otto attacchi aerei, Amnesty afferma che le forze israeliane hanno preso di mira abitazioni nelle quali era noto o presumibile che abitasse un gran numero di civili. Negli otto casi presi in esame, i bombardamenti hanno causato 111 vittime, 104 delle quali erano semplici cittadini della Striscia. In questi otto casi, Israele non ha neanche provato a mettere in guardia gli abitanti dei caseggiati, come invece avvenuto in altri frangenti, attraverso chiamate telefoniche, l'invio di sms o con la discussa pratica del roof knocking.

Philip Luther, direttore di Amnesty per il Medio-Oriente e l'Africa nel Nord, ha così commentato le evidenze emerse dal rapporto: “Le forze israeliane hanno sfacciatamente trasgredito il diritto umanitario internazionale portando una serie di attacchi su case civili e mostrando spietata indifferenza per i massacri causati. Il report – ha continuato – rivela una strategia di attacco sulle abitazioni civili, da parte delle forze di difesa israeliane, che mostra un disprezzo scioccante per le vite dei civili palestinesi, ai quali non è stato dato alcun preavviso e che non hanno avuto nessuna possibilità di fuggire”.

La possibilità che in guerra ci siano vittime civili non è esclusa del tutto dal diritto internazionale, ma devono quantomeno essere rispettati i principi di proporzionalità, distinzione e precauzione. Israele non ha rispettato tali principi, secondo Amnesty, come si evince dall'uso di un numero sproporzionato di munizioni, tra cui ordigni esplosivi teleguidati da 900 kg, in aree densamente popolate allo scopo di colpire miliziani nemici e le postazioni di lancio dei razzi palestinesi. In questo modo, l'IDF non ha di fatto operato nessuna distinzione tattica tra obiettivi militari e civili, violando anche il principio di precauzione, lì dove ha raso al suolo edifici interi nei quali abitavano molti persone non coinvolte nel conflitto, tra cui donne e bambini. Anche prendere di mira un miliziano nemico, nel momento in cui è insieme alla sua famiglia, mette in pericolo, in modo inaccettabile, la vita di persone innocenti. Di fatto, è scritto nel report, “attacchi diretti contro civili o obiettivi civili, oppure attacchi condotti in modo sproporzionato e indiscriminato che causano vittime civili, sono crimini di guerra”.

Il rapporto è stato redatto con il contributo essenziale di due collaboratori esterni di Amnesty, che dal 2012 non ha più accesso alla Striscia su ordine del governo israeliano. Gli analisti hanno visitato i luoghi degli otto attacchi ed hanno raccolto diverse testimonianze di testimoni diretti e sopravvissuti.

L'analisi ha preso in esame anche l'attacco condotto dall'aviazione ebraica il 29 luglio contro un edificio di Khan Younis. Le bombe hanno causato la morte di 36 civili, tra cui 18 bambini, in quello che è stato il massacro più sanguinoso di tutta l'operazione Margine Protettivo. L'attacco, portato alle 7,30 del mattino, ha letteralmente raso al suolo l'intero edificio con le 37 persone che in quel momento si trovavano al suo interno. Un esperto militare interpellato da Amnesty ipotizza che, in quel frangente, sia stato usato un ordigno gigantesco, da 1800 chilogrammi.

Non è chiaro il motivo che ha spinto Israele a condurre un attacco tanto devastante contro un obiettivo civile. Alcuni testimoni hanno ipotizzato che all'interno del palazzo vi fosse la sede di un ufficio di un membro della jihad islamica palestinese. Un residente del palazzo, inoltre, sarebbe stato membro delle Brigate al-Quds. Tanto sarebbe bastato per autorizzare il massacro, ai piani alti dell'esercito israeliano.

Il principio in questione è sempre quello della proporzionalità. Se poteva essere giustificato un attacco mirato contro l'ufficio del gruppo islamista o il rifugio di un miliziano, non è giustificabile il ricorso ad un ordigno di dimensioni tali da assicurare l'uccisione di tutti i civili presenti nel fabbricato. Non si tratterebbe di errore dunque, ma di decisioni consapevoli e ponderate.

In un altro caso preso in esame dal rapporto, sembrerebbe che la famiglia colpita dalle armi israeliane non avesse nessun legame con i gruppi armati. Il 20 agosto, Mustafa Mahmoud al-Louh, sua moglie incinta e i loro tre bambini sono stati uccisi da una bomba mentre si trovavano tra le mura di casa. La sua colpa? Essere andato nel campo vicino all'abitazione per verificare la presenza di un razzo inesploso lanciato da una milizia palestinese della zona. L'IDF ha deciso che quel razzo fosse una sua responsabilità e, indirettamente, la “colpa” è costata la vita alla sua intera famiglia.

 

FotoUK Ministry of Defence, Flickr

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