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Alla Omsa di Faenza... gambe che debbono smettere di tremare

OMSA, acronimo di Orsi Mangelli Società Anonima, possiede a Faenza (Ra) un grande calzificio che dà lavoro a circa 500 persone, ma meglio è dire che "dava lavoro a tante donne operaie". Da oltre un mese è cessata improvvisamente la produzione di calze e collant, in quanto la proprietà ha comunicato di non dover continuare a produrre su questo sito "beni dove in Serbia il costo del lavoro è pagato meno di un terzo". E qui comincia la bagarre...

Alla Omsa di Faenza... gambe che debbono smettere di tremare

Faenza - Domenica pomeriggio 24 gennaio ho voluto rendermi conto di come stanno veramente le cose. Tanti fuochi dentro a grossi bidoni riscaldano tutto intorno alla tenda delle lavoratrici che presidiano lo stabilimento, sorto nella nuova zona industriale faentina.
 
C’è un clima di forte solidarietà da parte di tutta la cittadinanza manfreda. Infatti nelle due ore trascorse con le operaie in lotta e per presidiare lo stablimento, "al fine che i macchinari non vengano smontati per essere poi esportati in Serbia, noi vigiliamo non stop, davanti a questi cancelli, dandoci cambi regolari, come quando si effettuava la turnazione in fabbrica", parole di Clara, una lavoratrice che spiattella con arguzia di particolari tutta la vicenda dal periodo delle vacche grasse a quello attuale.
 
Tornando alla solidarietà, come dicevo, nelle due ore trascorse sono arrivati camioncini con legna da ardere e bancali da bruciare nei bidoni, ancora un vettura con una signora che consegna una grande torta con su scritto "Auguri a voi tutte... ce la farete!".
 
Vino e panettoni abbondano dentro la tenda, ma è un via vai continuo quello che serve a rifornire le donne in lotta.
 
Donne in lotta, anche se lo stabiimento è occupato anche da uomini; costoro infatti non sono in tanti al presidio, ma provvedono a quei grossi lavori manuali, quali il taglio della legna, la spaccatura dei bancali, lo scarico dei viveri di sussistenza che arrivano in continuo.
 
Per chi scrive queste note, pare di essere tornato alle lotte sindacali al Petrolchimico Eni di Ravenna degli anni ’64 e ’67 del secolo scorso. Stesse metodologie e stessi sistemi logistici, anche se allora si lottava per migliorare i salari e ci si riuscì tenendo duro un minuto in più della proprietà, che in questo caso era pubblica.
 
Una nota curiosa infine: le lavoratrici in lotta hanno creato e pubblicato dentro la tenda un sistemone per l’Enalotto intitolato guarda caso "FORZA OMSA", l’intero sistema è suddiviso in quote vendibili ad € 39,00 ciascuna. Chissà che la cabala non sia a favore delle lavoratrici in lotta per un sacrosanto diritto, quello della conservazione del loro posto di lavoro.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.178)  0:0

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    Chissà che la cabala non sia a favore delle lavoratrici in lotta per un sacrosanto diritto, quello della conservazione del loro posto di lavoro.
    =================================================

    L’art. 1 della Carta dice:
    L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

    Peccato non dica pure chi "deve" creare questo lavoro: Visto il "sacrosanto diritto" forse la Chiesa?
    Poi la pretesa di conservarlo anche a vita...

    Ognuno può divenire datore di lavoro di sé medesimo... "demose da fa’" disse Papa Wojtyla.

     

    Ecco una mia lettera
    pubblicata su "Il Gazzettino"
    venerdì 5 Maggio 2006
    nel fascicolo del Friuli

    L’Italia consegnata ai sindacalisti

    Uno comunista, l’altro catto­lico. Entrambi alla terza e alla seconda carica dello Stato, manca solo un Presidente della repubblica nato nel centro stu­di della Cgil e ci sarà il cappot­to. Avete fatto caso alla campa­gna elettorale? Nessuno ha det­to come fare per aumentare la torta (la ricchezza prodotta). Tutti si sono posti solo il pro­blema di come dividerla.
    Renzo Riva
    Buja

    ed un’altra in data 11 dicembre 2004
    stessa rubrica delle lettere e stesso fascicolo


    UDINE

    Troppa gente

    alle dipendenze

    dello Stato

    Bisogna ridurre il personale in esubero nell’amministrazione pubblica, per liberare le risorse necessarie al finanziamento delle politiche per la riduzione dell’insostenibile pressione fiscale, per la ricerca e lo sviluppo. Bloccare il turnover quale toccasana per conseguire i risultati sopraddetti è velleitario e propagandistico. Il fattore "tempo" è sfavorevole, perché la dinamica del turnover è troppo lenta nel produrre i benefici ricercati, poiché i risultati si conseguiranno solo nel lungo termine. Inoltre le necessità di reperire le nuove professionalità sconsiglia quella che potrebbe configurarsi come una nuova rigidità nel mercato del lavoro.

    Ricordo che durante il governo dei sinistri "Prodi-D’Alema-Amato", l’apparato alle dipendenze statali fu sfoltito di 290.000 unità, alla chetichella, senza contrasti sindacali, perché le stesse unità furono poste sul groppone del contribuente, lavoratore o detentore di capitali; nella migliore continuità dell’Iri di Prodiana memoria, con prepensionamenti e incentivi. Si doveva invece licenziare e dare un reddito minimo di sussistenza, come normalmente assicurano molti Stati nostri competitori, europei o extra-europei e taluni anche senza corrispondere alcunché.

    Invece, fino ad oggi, questo governo ha assunto circa 119.000 unità d’impiegati sta-tali (non so se lavoratori). L’industria privata non assistita, che compete nel mercato mondiale, sarebbe fuori mercato qualora applicasse la ricetta statale.

    Ripeto: chiunque sia al governo dovrà tagliare le spese improduttive per liberare risorse finanziarie, indispensabili per l’innovazione dei nuovi processi produttivi e la ricerca, i soli che possano permettere la competizione nel mercato internazionale e che potranno coadiuvare politiche di riduzione della pressione fiscale. Invece si continua nel vecchio malvezzo dell’assistenzialismo ad attività fuori mercato, con costi grandemente maggiori delle politiche di sussistenza per chi sarà interessato dalla chiusura delle stesse. E intanto il mercato del vero lavoro langue; quello assistito prospera, compreso l’intra- e l’extra-comunitario.

    Un appunto alle sofferenze industriali del nostro Friuli.

    Le odierne vicende delle car-tiera Burgo di Tolmezzo ed Ermolli di Moggio Udinese, che operano fuori mercato. In Finlandia sono prodotte bobine di carta con un fronte di 11,60 metri (hanno materia prima, acqua a volontà, centrali nucleari). E giù a far finta di finanziare depuratori che poi non sono realizzati; una maniera surrettizia di finanziare i livelli occupazionali. Altro per l’ex-Manifattura di Gemona.

    Ricordiamo ancora i nomi: Cumini? Comello? Patriarca? Dilapidarono miliardi di Lire d’intervento pubblico, per poi chiudere. E poi ci vengono a dire che serve importare manodopera! Facendo mente alla Zona Industriale di Osoppo, dicono niente le esperienze industriali dei gruppi Pittini e Fantoni? Nel "Gruppo Pittini" nell’ anno 1973 si producevano circa 180.000 tonnellate di vergella; nell’anno 1979 circa 360.000 tonnellate, con circa 1500 unità lavorative; nell’anno 1989 circa 700.000 tonnellate con circa 1100 unità lavorative; oggi anno 2004 circa 1.000.000 tonnel-late con circa 700 addetti. Per non dire di tutte le piccole aziende che operano senza particolari aiuti.

    Nell’apparato statale invece, nonostante "pensionati baby", scivolamenti, svii e deragliamenti, procedure informatizzate ed altre diavolerie moderne, prosperano i "lavori socialmente inutili". Sempre per la nota teoria: e poi chi vota chi?
    Renzo RIVA
    Buia

     

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