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Acta: il problema non sta solo nel diritto ma nella politica

Da quel che si legge in rete, la decisione della Commissione Europea di sottoporre l’accordo Acta, il nuovo trattato globale anticontraffazione e contro la pirateria on line, al giudizio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per verificarne la sua compatibilità con le libertà fondamentali sancite nella UE, ha suscitato un certo entusiasmo da parte degli oppositori, che vedono in questo passaggio una delegittimazione dell’accordo e un primo passo verso la sua archiviazione. Insomma, un successo per tutti coloro che si sono mobilitati, in rete e nelle piazze.

Se non si può negare l’implicita ammissione che i timori erano fondati, sembra quantomeno evidente l’intenzione “propagandistica” della Commissione che mostra in questo modo un atteggiamento di apertura al dialogo e si presenta come difensore delle libertà in rete. E della tasparenza. “Credo che la Commissione Europea abbia la responsabilità di fornire ai membri del Parlamento e alla più vasta opinione pubblica le più dettagliate e accurate informazioni disponibili” ha detto il commissario Karel De Gucht nel comunicato in cui si compiace della decisione della Commissione di appoggiare la sua iniziativa dinanzia la Corte di Giustizia. Affermazione azzardata vista la segretezza che ha caratterizzato gran parte della fase di negoziazione del trattato. La prima bozza venne rese pubblica grazie a Wikileaks, e fu addirittura necessaria una mozione firmata da oltre trecento membri del Parlamento Europeo proprio per chiedere un dibattito più trasparente.

Era, inoltre, noto da tempo che Acta poteva risultare incompatibile con alcuni diritti fondamentali sanciti nella Convenzione europea sui diritti umani e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. L’allarme era stato lanciato alcuni mesi fa da due giuristi che, in uno studio commissionato dal gruppo dei Verdi, mettevano in guardia sulle ricadute che Acta potrebbe avere sul diritto alla riservatezza, il diritto al giusto processo e il diritto all’informazione. Ciononostante, e nonostante gli autorevoli giudizi critici emersi già in precedenza, la Commissione non ha mai ritenuto necessario studiare e verificare le possibili consguenze di Acta sui principi che dovrebbero essere alla base del diritto dell’Unione.

Gli attivisti francesi della Quadrature du Net hanno subito messo in evidenza queste contaddizioni, rilevando come i problemi posti da Acta non siano solo di natura giuridica. Un’eventuale pronunciamento favorevole da parte della Corte di Giustizia non potrà ad ogni modo legttimare un accordo che pone problemi anche e soprattutto di carattere politico. Nel loro comunicato, pongono alcune domande che riguardano il merito (le disposizioni previste da Acta) e il metodo (il modo in cui Acta è stato negoziato):

Una interpretazione massimilista delle sanzioni penali incluse in Acta (per “aiutare e facilitare” le infrazioni “su scala commerciale”) potrà essere usata dall’industria dell’entertainment come un’arma di intimidazione, per spingere i player della rete a dispiegare misure contrattuali repressive?

Il riferimento è alla formulazione vaga del trattato. In esso, la “scala commerciale” per definire la diffusione di opere tutelate dal diritto d’autore perseguibile penalmente, viene identificata con tutte le attività che possono comportare un vantaggio, economico e commerciale, diretto o indiretto. In sostanza, si tratta di una formulazione troppo ampia che si potrebbe prestare a intepretazioni draconiane non solo contro chi commercia opere contraffatte in maniera sistematica e che quindi potrebbe spingere gli Isp a tutelarsi nei confronti degli utenti.

Quali saranno le conseguenze sul dibattito pubblico e sulle politiche pubbliche europee di una definitiva legittimazione delle attuali misure repressive per le quali aspettiamo ancora uno studio di impatto, e che sono fortemente criticate (come la EUCD e la IPRED)?

Le disposizioni che riguardano il processo decisionale europeo, la libera circolazione delle informazioni e la libertà di fare impresa su internet possono essere negoziate, invece che essere democratimente dibattute, e essere considerate quindi legittime?

Questa domanda mette in evidenza il processo negoziale di Acta. Il fatto che sia stato presentato come un semplice accordo commerciale ha di fatto estromesso i Parlamenti Europei (chiamati esclusivamente alla ratifica) dalla discussione inerente la sua formulazione. Un procedimento giudicato non pienamente legittimo vista la delicatezza degli ambiti sui quali Acta potrebbe incidere.

Infine, la questione più importante, quella che chiama in causa una riflessione sulle nuove, e ormai ampiamente diffuse, pratiche culturali relative allo sharing, alla condivisione di opere dell’ingegno tutelate dal copyright.

E’ necessario Acta nel momento in cui assistiamo ad un conflitto evidente tra le politiche repressive del diritto d’autore e le libertà fondamentali, mentre altre strade sarebbero percorribili, come quella di una riforma positiva che tenga realmente conto delle nuove pratiche culturali?

Una riflessione che tarda ormai ad affermarsi come priorità per gli attori dell’industria culturale, i quali fingono di non avere consapevolezza del mutato contesto di diffusione dei beni intellettuali e continuano a perorare la loro causa quasi esclusivamente tramite la promozione di nuove e più dure misure repressive. Finora rivelatesi del tutto inutili.

 

VEDI ANCHE: Acta: Anonymous contro i siti del governo Usa.

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