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Abruzzo. Il giorno del dolore, della fiducia, della speranza


Come un immenso rincorrersi di aiuole, punteggiate dei colori più brillanti, dal bianco candido delle rose, al rosso-violaceo dei tulipani, al giallo-aranciato delle fresie che con il loro inequivocabile profumo preludono ad un’estasi celeste, mi è apparsa la distesa lunga e stretta delle bare di acero biondo, sovrastate dalle corone variopinte e allineate davanti al piazzale dove si celebra l’addio ultimo.

E’ una visione che non può essere definita soltanto triste
.

E’ vero, ci sono le facce sconvolte che accompagnano il rito, volti dagli occhi dilatati dalla paura di chi ha vegliato accanto al proprio caro defunto, per proteggerlo dal brivido della notte e dal ripetersi spaventoso degli scuotimenti della terra. Sono facce disfatte dal dolore di chi ancora non si rende conto di quello che è accaduto e, incredulo, si chiede dove sia sparita la sua casa, i suoi ricordi più cari, dove la terra sconquassata abbia sepolto un pezzo della vita passata.
Eppure su quelle facce non vedo l’ira di chi si sente tradito dagli eventi, non c’è ribellione. C’è piuttosto un’ombra di orgoglio ferito, sì, quello sì. Un orgoglio che ha radici solide e lontane, piantate in una terra forte, che risalgono a storie di donne e uomini forti abituati alla fatica. Ma non alla rassegnazione.
 
Su queste facce si legge la vita, quella voglia instancabile di vita che affiora e diventa imperiosa proprio nei momenti in cui la vita sembra voler abbandonare.
E’ questo che colpisce di più nel giorno del dolore e della sepoltura. Colpisce l’invincibile desiderio di non soccombere, alimentato dal fuoco della speranza e dalla luce della fiducia in se stessi e in chi sta attorno e aiuta, soccorre, consola.
Tra le bare di acero biondo sovrastate da un tripudio di fiori, una spicca in particolare.

Non per la fattura, né per il colore, perché questi sono tutti uguali. Appoggiata sulla bara più grande spicca invece una piccolissima bara tutta bianca. Come una culla, accoglie un bimbo di pochi mesi di vita e lo si immagina, quel bimbo, aggrappato alle spalle della mamma in cerca di protezione.
 
Forse, così accolto e confortato nel calore del seno materno, quel bimbo non ha sofferto dolore, non ha avvertito l’orrore che stava invadendo tutto il suo mondo.

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