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 Home page > Attualità > Cultura > A Miriam Makeba: la Mama Africa che ho nel cuore

A Miriam Makeba: la Mama Africa che ho nel cuore

Me la voglio ricordare così, mentre canta in un locale che non c’è più a Newtown, oppure mentre parla alle sue genti al The Rock a Soweto. O ancora in uno degli sheebeen di Yeoville, mentre canta il suo Pata Pata. 

La voglio ricordare così Miriam Makeba, nella sua Johannesburg.

Ci siamo sfiorati tante volte senza conoscerci. Ha incrociato me, o l’altra metà di me, ovunque nel mondo: Irkutzk, Jo’Burg, Castelvolturno, ma non ho mai potuto ascoltare un tuo Pata Pata.

Le tue lotte, la tua voce: eri l’Africa. L’Africa che non si arrende. L’Africa che non vuole lasciare la tua Yeoville nelle mani di alcune pistole.

Yeoville, sheebeen e fuochi agli angoli delle strade. Yeoville, l’ultima volta che ho avuto una pistola puntata in faccia. Yeoville che era il cuore della musica sudafricana, quel jazz che scende per Louis Botha Av., gira per Commissioner St. e si getta nel cuore di Newtown. Quel jazz che l’apartheid aveva sottratto alla tua città.

Quei suoni che viaggiavano per Jo’burg, veloci, rapidi, come i tuoi occhi, sfuggenti. Occhi di chi ne ha viste tante e non si fa imbrigliare da nessuno.

Hai voluto esserci. Hai voluto essere a Castelvolturno, tra le persone per le quali ti sei sempre battuta. Tu che eri mezza swazi e mezza xhosa... Tu con le tue vocali che sbattono sul palato e con il tuo inglese rivoluzionario. Madiba ti volle al suo fianco per celebrare la fine dell’incubo, ma tu sapevi che la lotta non era finita, che nel mondo e nel tuo Sud Africa c’era tanto, troppo da fare e allora sei ripartita con la migliore arma che ti era stata data: la tua voce.

Hai fatto cantare e ballare il mondo ai suoni della tua terra. Ci spiegavi che una donna può essere il simbolo di un continente ma sono tutti gli uomini e le donne d’Africa che lo devono cambiare, insieme.

Vorrei partire ora, andare a Jo’burg. Sedermi, guardare la nuova piazza di Newton, restituita alla città e alla musica. Vorrei distendermi a terra davanti al megaschermo a guardare un incontro di calcio dei Pirates o un meta degli Springboks, per poi rinchiudermi in uno di quei bar, che sono solo un vago ricordo dei vecchi sheebeen, dove le tue foto sono appese per ricordare a tutti chi era e chi sarà, per sempre, Miriam Makeba.

Seduto, ascoltandoti, ordinerei del pap e sorriderei. Sorriderei a te, come se fossi lì, che mi guardi. Ti chiederei di Alexandra e di Soweto e tu di camorra e Castelvolturno. Ci scambieremmo dolori e gioie, lotte, vittorie e sconfitte.

Mi racconteresti del concerto su quel lago... Il Baikal al confine tra Russia e Mongolia. Ti chiederei chi era il tuo pubblico lì, nel cuore della Siberia.

Ti chiederei per chi cantavi mentre fuori era solo freddo e bianco, con la tua pelle color ebano intenso che risalta sul silenzio della neve.

Ti chiederei degli ultimi pensieri a Castelvolturno, di Maria Nazionale e della gente che ballava. Vorrei che mi raccontassi cosa guidava quel sorriso e quella rabbia.

Ti sei spenta così, insegnandoci, ancora una volta che la vita vale la pena di essere vissuta fino in fondo, che se crediamo e vogliamo qualcosa ce la dobbiamo andare a prendere per quanto dura e impossibile possa sembrare. Tu che hai ridato l’Africa a sè stessa e ci ricorderai, ogni giorno, che non bisogna arrendersi. Mai.


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