(dis) Lessico >
Il
dettato Costituzionale non delinea i caratteri di una “morte dignitosa”. Vi si
afferma che tutti i cittadini hanno “pari dignità sociale” in quanto membri di
una stessa società che detta comuni norme di convivenza. Il lavoratore ha
diritto ad una retribuzione che assicuri “un’esistenza libera e dignitosa”.
L’attività economica privata non può recare danno alla “dignità umana”.
E’
evidente che detta “dignità” implica un adeguato ambito di libertà nell’agire e
gestire, in autonomia, i propri interessi e rapporti personali.
Mentre l’ergastolo
è la pena che, per definizione, commina il regime di carcerazione per la
restante parte della vita. Per contro.
NON si tratta di essere rinchiusi in un
angusto cubicolo, appena rischiarato da una feritoia, avendo per suppellettile
solo un pitale. A nessun carcerato possono essere negate le cure medico-sanitarie
di cui necessiti.
In pratica non si possono adottare “trattamenti contrari al
senso di umanità” (art.27).
Ciò detto.
Tutt’altra cosa è rivendicare per un
pluriomicida gli arresti domiciliari e/o il soggiorno presso una normale
struttura ospedaliera in nome di un “preteso” diritto a una “morte dignitosa”.
Dove “dignità” significa solo il non voler morire in carcere.
Postilla.
CAPITA
di morire in carcere anche senza essere degli ergastolani pluriomicidi.
Ossia.
Se al posto dell’ergastolo venisse comminato un numero definito (e consistente)
di anni di detenzione, questo non eviterebbe il riproporsi di casi analoghi.
Troppo semplice è inneggiare alla “dignità” facendo appello al buonismo di
tanti.
Meglio “setacciare” la portata di certi Riflessi e Riflessioni calibrate
per scopi …