• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

I pifferai di Hamelin dell’uscita dall’Euro

Di (---.---.---.44) 14 novembre 2014 17:21

Questo articolo è superficiale.

Vi si afferma che la spesa pubblica è sempre pagata da qualcuno, e questo è vero.
E’ lapalissiano e non ci sarebbe bisogno di dirlo.
L’articolo poi prosegue parlando dell’inflazione come un male assoluto, e cita perfino gli anni passati come esempio di come le cose andassero male. Io però ricordo benissimo come andavano "male" le cose: relativa abbondanza di lavoro, ricchezza privata elevata, situazione pensionistica infinatamente migliore di quella attuale, livello di tassazione elevato ma non come oggi. CHE COSA C’ERA CHE NON ANDAVA? Un generale mal funzionamento dello Stato, che però non è migliorato minimamente. Se, negli anni passati, avessimo avuto uno Stato migliore, adesso saremmo i primi d’Europa, con o senza Euro.

Ma ormai è acqua passata e bisogna guardare al presente. Un presente dove l’euro non ci consente di svalutare, e quindi l’Italia non è competitiva. Le fabbriche chiudono, manca lavoro, la gente non ha soldi, i consumi calano, le fabbriche chiudono, manca lavoro, la gente non ha soldi... un circolo perverso. Occorrerebbe abbassare le tasse, per rendere le aziende competitive e incrementare il potere di acquisto dei consumatori. NON SI PUO’ FARE, perché dobbiamo rispettare i vincoli di bilancio. Non è un caso che la pressione fiscale sia elevatissima, E NON E’ ANCORA FINITA, perché sta aumentando in questi giorni e continuerà a farlo, con aumenti dell’IVA fino al 25,5%, accise su sigarette, carburanti, tassazioni sulle "rendite finanziarie" quasi raddoppiate, aumento di tasse locali e compagnia cantante.

Egregio sig. Bernardo: ha presente questa situazione? Sì? Quale sarebbe il suo suggerimento?

L’uscita dall’Euro è l’unica soluzione. Con una moneta nazionale cadrebbero gl’impegni a ripagare il debito a colpi di 50 miliardi l’anno. Si potrebbe svalutare e rendere le nostre aziende più competitive (quelle che ancora ci sono rimaste). Quando le aziende lavorano, aumenta l’occupazione e aumentano i consumi, che a loro volta incrementano la richiesta di lavoro. La svalutazione della moneta, inoltre, rende il debito pubblico più leggero, con e una moneta nazionale gl’interessi sono controllati dallo Stato, non da un mercato affamato.

E’ vero che con una moneta svalutata pagheremmo più care le materie prime, ma questo svantaggio è più che compensato dal vantaggio di vendere all’estero. Perché quando un acquirente estero compra un nostro prodotto, ne paga la materia prima, la manodopera e le tasse (che ammontano a un buon 50%). Supponiamo che il costo della materia prima sia il 20% del prodotto finito, e che il prodotto finito si venda a 100: l’acquirente paga 100, 50 se ne vanno in tasse, 20 sono le spese della materia prima, e 30 la ricchezza prodotta e distribuita a impresa e lavoratori. Se la moneta viene svalutata del 25%, la materia prima costa 27 invece di 20. Il costo totale del bene diventa perciò 107 invece di 100, ma all’acquirente estero, che vede il prezzo svalutato del 25%, costa solo 80. Per quanto concerne gli affari interni, la svalutazione percepita è decisamente minore: il 7%. E poi, una moneta svalutata attira le aziende estere ad aprire stabilimenti, perché ci sono minori costi (rilocalizzazione).

Ho semplificato molto, ma il meccanismo è questo.

Capito sig. Bernardo? Se lei ha una strategia migliore, la spieghi.

Saluti,

Gottardo


Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox