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Commento di Fabio Montermini

su Risposta alla lettera aperta di Roberto Saviano


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Fabio Montermini Fabio Montermini 17 dicembre 2010 22:53

Molto interessante sia l’articolo che i commenti, ma, cavoli!, nessuno che gli sia venuto in mente che è normale che Saviano stia dalla parte della polizia e dei carabinieri? Avete presente che Saviano, a differenza di me e di voi, da più di quattro anni vive 24 ore al giorno gomito a gomito con i carabinieri della sua scorta? Forse, in questo contesto, è anche comprensibile che veda le forze dell’ordine come (anche) uno strumento di difesa, no? O vogliamo dire che i carabinieri che difendono Saviano sono buoni e invece quelli che c’erano per strada martedì a Roma sono tutti degli stronzi? O vogliamo dire che anche le minacce contro Saviano sono tutte bufale e tutta pubblicità per Mondadori? O che è un venduto a farsi difendere da "questi" carabinieri, e che meglio farsi sparacchiare da Sandokan che scendere a patti con sti bastardi?

Trovo invece che il nostro Roberto abbia mostrato una grande lucidità nel saper fare i suoi distinguo e riconoscere che in un conflitto, come quello di Roma, gli errori, le provocazioni, gli stronzi stanno da tutte e due le parti. 
Bizzarra idea, in realtà, che bruciare una macchina o spaccare una vetrina sia un atto rivoluzionario. E’ prima di tutto un atto contro quel poveraccio che la macchina non ce l’ha più e quel negoziante che è costretto a pagare la vetrina. Certo, possiamo anche sognare un mondo in cui non esista più la proprietà privata dei veicoli né i negozianti, ma penso che stiamo parlando di cose serie. Se stiamo parlando di cose serie, rendiamoci conto che bruciare quella macchina o spaccare quella vetrina non lo si fa per l’atto in sé, è un atto simbolico. Ma che simbolo mi rappresentano quella macchina e quella vetrina? A questo punto, tutto diventa un simbolo del potere, del capitale, del complotto bancario-finanziario mondiale ed è legittimo spaccarlo. L’importante è che i contorni di questo potere rimangano vaghi e gli obiettivi ancora di più, perché altrimenti noi e gli altri rischieremmo di accorgerci della vacuità dei nostri atti. L’idea che si ha da fuori è che quei violenti avessero una voglia matta di spaccare la faccia a Berlusconi (e Dio sa quanto questa voglia sia legittima e condivisa), ma, non potendolo fare, si sono accaniti contro quello che gli capitava a tiro, non solo camionette della polizia, ma automobili, vetrine, fermate dell’autobus, cassonetti, insomma qualsiasi cosa fosse vulnerabile alla loro rabbia che non poteva raggiungere il suo vero obiettivo. Vi confesso che se fossi stato uno dei proprietari di quelle macchine bruciate per gioco e per frustrazione mi sarebbero girati notevolmente i cosiddetti, e mi sarei sentito doppiamente vittima di un abuso: vittima della violenza (certo che esiste!) di un governo guidato da un malato mentale grave e composto da un insieme di ipocriti in malafede che non possono permettersi (o non hanno ancora voglia) di riconoscere pubblicamente la malattia del loro boss; e vittima di una serie di persone che non sono in grado di incanalare in maniera razionale e costruttiva la violenza che umanamente tutti ci portiamo dentro. Bell’affare davvero!
Un’esperienza personale: in Italia si sa poco, ma in Francia - dove abito - le manifestazioni, senza raggiungere sempre i livelli di martedì a Roma, sono assai più violente, in media che in Italia. Nel 2009, durante le manifestazioni per la riforma dell’università, un gruppo di studenti ha invaso, tra le altre cose, l’edificio dell’università nel quale lavoro, incominciando a gettare dalla finestra materiale, sedie, computer, fotocopiatrici, e cercando di rubare altre cose. Bé, posso dirvi che mi sono sentito esattamente così: doppiamente vittima, tra l’incudine di un governo in malafede e il martello di manifestanti esagitati e vacui nella loro violenza. Se dico che mi sono girate le balle, sono un borghesucolo benpensante? E sia... Sarebbe però meno fastidioso essere trattato come tale se mi si spiegasse la razionalità di tali gesti, la progettualità che ne sta alla base e, insomma, cosa si vuole ottenere. Perché l’argomentazione principale di Marco (mi permetto di chiamarti per nome) si può riassumere così: ci fanno incazzare, ci provocano, è normale che reagiamo. Sarà anche vero, caro Marco, ma c’è anche molta gente che la sua incazzatura e la violenza che ha dentro riesce ad incanalarla e a razionalizzarla con parole e azioni che, magari, non sono neanche loro molto efficaci, o non lo sono sempre, ma almeno hanno il vantaggio (e non è da poco!) di non disonorare chi le pratica. La violenza, invece, è sempre votata alla sconfitta. 
La dimostrazione è che quei manifestanti violenti sono tutti sempre nascosti, incappucciati, incascati. Mettiamo pure che abbiano un progetto. Secondo me, lo ripeto, sono solo persone che vogliono far casino e spaccare qualcosa perché gli sembra un buon modo per scaricare il disagio che hanno dentro. Ma mettiamo che abbiano un progetto, e che questo progetto sia di migliorare la società in cui viviamo. Bé, io temo che in una società che è stata costruita dalle azioni di persone che non hanno neanche le palle di farmi vedere la loro faccia non vorrei proprio viverci. E’ uno dei punti più riusciti della lettera di Saviano: " Bisognerebbe smettere di indossare i caschi. La testa serve per pensare non per fare l’ariete". Possiamo amarlo o no, ma non possiamo dire che Saviano la faccia non ce la metta, anzi c’è chi lo accusa di mettercela troppo. 
Di violenti che hanno tante cose da nascondere ne ho già uno al governo, perché dovrei preferire i bruciamacchine spaccavetrine?

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