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Commento di Gabriele Bariletti

su Scontro Fini- Berlusconi: chi è alle corde?


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Gabriele Bariletti Gabriele Bariletti 27 settembre 2010 15:44

Intanto complimenti per l’articolo del quale condivido sia la evidente speranza che la analisi condotta con criteri di sano pragmatismo.


Vorrei però uscire proprio dalla visione obbiettiva della realtà italiana per acceder al mondo onirico di quello che potremmo essere se divenissimo un paese normale.

Uno degli argomenti dei berluscones riguardo alla necessità delle dimissioni per Fini è che un Ministro, mi sembra svedese, ebbe a dimettersi per avere acquistato con i soldi dello Stato un scatola di sigari. Questo significherebbe che anche quello che dovesse apparire un peccato veniale sarebbe meritevole della massima sanzione politica se commesso da colui che dovrebbe rappresentare un modello per la società, come un uomo di Stato, appunto.

La cosa che sfugge a chi svolge un siffatto ragionamento sta proprio nella diversa lunghezza d’onda alla quale avvengono determinati fenomeni in Italia (Paese cattolico, incline al perdono mediante la confessione auricolare segreta dei propri peccati ad un proprio simile, il prete) e in Svezia (Paese luterano ove i credenti hanno la certezza di essere costantemente posti sotto l’occhio vigile dell’Eterno che li giudica attraverso l’arbitrato implacabile della loro coscienza).

E’ quindi anche empiricamente evidente quale diverso grado di ponderatezza e di serietà venga posto nel decidere di compiere determinate azioni dagli abitanti in genere delle due Nazioni. E così anche dai loro rappresentanti parlamentari o dai membri dei due diversi esecutivi. E’ tanta e tale quella differenza che in Svezia la malversazione dei soldi comuni per l’acquisto privato di un scatola di sigari è da tutti accettata come ragione oggettiva di grave scandalo incompatibile con l’amministrazione della res publica (pur trovandoci in una Monarchia Costituzionale).

E’ possibile fare un paragone con la nostra Patria per vedere cosa venga ritenuto degno di offerta delle proprie dimissioni, in quanto a fatto esemplarmente inescusabile o a condotta così lacunosa da non essere in grado di poterla perpetuare, da parte dell’autore della stessa?

Il primo esempio che mi viene alla mente è quello delle dimissioni di Francesco Cossiga da Ministro dell’Interno, all’indomani dell’omicidio di Aldo Moro.

Vorrei prenderlo per buono e confrontarlo con il caso della Svezia.

Stesso livello soggettivo di senso dello Stato da parte del Ministro Nordico e da parte del nostro compianto Presidente emerito. Attenzione: Stesso livello soggettivo, ho detto. I fatti oggettivi che fecero scattare il relativo "senso di resipiscenza" sono anche a giudizio di uno sprovveduto assai diversi.

Da una parte l’acquisto di una scatola di sigari; dall’altro l’uccisione della scorta del Presidente del primo partito italiano, il processo contro di lui perpetrato da una organizzazione, certamente criminale, i cui contorni politico-ideali e le cui eso-strumentalizzazioni sono ancora tutt’altro che definibili con certezza, il ricatto allo Stato, l’incapacità di gestire l’affaire come il buonsenso, la maggioranza dei cittadini, il povero Aldo Moro e finanche l’indiscussa autorità morale di Paolo VI a gran voce richiedevano, infine l’assassinio della vittima innocente da parte degli allora invitti nemici dello Stato.

Potremmo parlare di una diversa sensibilità da attribuire ai campioni dei due differenti universi: il Ministro svedese e il Ministro italiano. Estremamente acuta quella dello svedese, estremamente ottusa quella dell’italiano. Ma anche dovremmo parlare di una diversa sensibilità da parte degli amministrati: gli Svedesi e gli Italiani.

Quello che porta entrambi alle dimissioni è un invincibile impulso dell’animo ad agire; appunto l’aspetto soggettivo che accomuna. Quello che è abissalmente differente è la diversa tenacia dei freni inibitori del suddetto stimolo. Evanescenti in Svezia, estremamente efficaci in Italia.

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Ma allora, preso atto delle differenze, non sa di strumentalità pretendere da Fini un comportamento di tipo svedese... anzi no, addirittura da Lappone, o meglio da Islandese o da esploratore dell’Artide, quando per l’universo mondo degli amministrati d’Italia e dei beneamati Amministratori del nostro Stato, in primis del primo Ministro in carica, si indulge ad una tolleranza che definire da suburra levantina fa torto a codeste mirabili istituzioni mediorientali ?

Detto in altri termini, sembrerebbe quasi che da parte di coloro che strillano come vergini, profanate contro il loro volere, alla immoralità del Presidente della Camera, che ancora non si è dimesso, perché il Ministro di uno Stato da operetta dei Caraibi impegna la propria parola e il proprio onore - in assenza di riscontri concreti - a propalare un quid peraltro assolutamente legale per le norme di quello Stato (e anche del nostro), come la proprietà di una società ontologicamente anonima in testa ad un certo cognato, dicevo, sembrerebbe quasi che da parte di queste vergini offese (direttori di giornali di famiglia e famigli del presidente del consiglio), sfugga completamente il senso di una illuminante parabola di Cristo.

Un debitore doveva al proprio signore una somma cospicua, non potendola pagare, implorò il creditore per una dilazione. Questi impietositosi gliela condonò in toto. Il debitore allora, ma questa volta quale creditore di una cifra irrisoria da parte di un suo sottoposto, ingrato, si recò da quello minacciandolo se non avesse immediatamente esatto il suo debito. Il perfido creditore - sa va sans dire - fu condannato dal suo signore che in prima istanza tanto indulgente con lui era stato.

Traduco: il perfido sono le prefiche di Berlusconi; il suo grande debito corrisponde al debito che il Divo Silvio ha con i tribunali; il signore benevolo dovrebbe essere il popolo italiano; il secondo debitore è il Presidente della Camera ed il suo debito la propalazione del Ministro Francis relativa all’intestazione di una offshore a Messier Tulliani (le colpe dei padri ricadranno sui figli, la nozione veterotestamentaria. Nemmeno in una giustizia informata alla "legge del taglione" si fa riferimento alle colpe dei cognati ricadenti sui loro cognati, ma tant’è). 

Questa parabola, anche nella sua attualizzazione, conserva ancora intero l’intento parenetico, di esortazione al bene, al miglioramento di se stessi, alla propria Jihad interiore e in quanto popolo. La parabola di Cristo, e l’episodio di cui stiamo parlando, dimostrano quanto il nostro popolo purtroppo sia lontano da quelle minime attribuzioni di sensibile oggettività e onore del vero a cui l’iniziatore della nostra religione - Gesù - vorrebbe richiamarci.

Quindi, nella attualizzazione della parabola, il signore che giudica, non è il popolo italiano. Forse sarà la Storia... Che spesso però interviene in ritardo rispetto agli eventi.

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Proprio per queste anomalie Fini deve resistere dal rassegnare le proprie dimissioni, anzi deve trovare nella propria coscienza la forza di spingere se stesso e i suoi estimatori a lottare e a portare avanti il buon combattimento che " libera nos a malo", che ci liberi dal male, dall’origine di quel male morale del popolo, che dura incontrastato in Italia da quasi un ventennio e che si incarna ottimamente nella persona del Satrapo Levantino insediato nel tetro Palazzo Grazioli come il cancro nel proprio melmoso abituro

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