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Commento di Elia Banelli

su Più merito e meno sprechi: la riforma dell'Università


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Elia Banelli Elia Banelli 13 novembre 2009 14:06

Il commento di Malatempora, puntuale e preciso, soffrè però a mio avviso di quel "conservatorismo" che proprio aleggia in troppe fasce della popolazione accademica, seppur preparata e competente.

Per primo punto non si è risposto nel merito agli aspetti positivi della riforma, citati in sinstesi nell’articolo, che quindi rimangono tali, positivi. 
Secondo punto, io che sono laureato e ho frequentato l’università al suo interno (corsi, esami, laboratori, ecc....) ho ben chiaro e visibile, come molti colleghi, i problemi gravi che affliggono i nostri istituti accademici, i disastri compiuti dal 3+2 (riforma se non sbaglio varata dal centro-sinistra e ratificata dalla Moratti) sulla moltiplicazione di corsi e moduli simili tra loro ma "differenti" solo nei nomi, tutto per moltiplicare a dismisura docenti a contratto esterni alla facoltà (quanti giornalisti e mezzi busti televisivi ad esempio hanno arrotondato lo stipendio?) e numero di testi da comprare (ovviamente scritti dagli stessi docenti del corso).
Quindi si parte da una doverosa premesse, che è una domanda: l’università italiana come è stata gestita fino ad ora funziona bene oppure no? Se la risposta è negativa, allora è doveroso attuare una riforma.
La riforma Gelmini massimizza ed elimina molti corsi inutili e la frase "senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica" mi sembra doverosa in situazioni di forte deficit dello stato e di casse pubbliche allo sbando (di qui il ruolo fondamentale del ministero dell’economia nell’erogazione dei fondi). Soprattutto in Italia dove gli sprechi abbondano, e non solo ovviamente all’università. 
Inoltre nel commento ci sono molti pregiudizi, sul ruolo del Corriere della Sera e della Bocconi, quasi come fossero soggetti non idonei a proferir parola sulla riforma o a richiedere urgenti cambiamenti. C’è anche un forte pregiudizio sul ruolo delle imprese, evidenziate come sanguisughe che spremono i laureati e non danno risorse all’università.
Quanto di più lontano dalla realtà, se consideriamo che in Italia esistono molte università private, gestite e finanziate dalle aziende, tra le quali la Luiss di Roma che è proprietà di Confindustria, e tante altre. 
Le imprese, grandi-medie e piccole, hanno tutto l’interesse ad accogliere laureati competenti e di qualità. Questa visione delle imprese "malvagie" è, a mio modesto parere, frutto dell’ennesimo pregiudizio, di stampo conservatore, che non vuole il cambiamento e pretende che nulla si tocchi ma tutto resti com’è, o peggio di una certa sinistra (chiamiamola pure Topo Gigio) che vede ancora nelle aziende e nel mercato i diavoli che tutto corrompono e sfruttano. 
Il problema dell’Università è serio e va risolto davvero, soprattutto devono essere eliminati gli sprechi ed i corsi di laurea inutili. L’Italia è se non vado errato il secondo paese manufatturiero d’europa, che cosa ce ne facciamo di 20.000 laureati in Scienze della Comunicazione? 
O di lauree in antropologia e filosofia, che per carità sono utilissime per chi vuole intraprendere la docenza e per una fondamentale cultura personale, ma che sono quasi inutili per il mercato del lavoro? Quanti laureati in Filosofia sono a spasso o cercano lavoro come "addetti alla gestione del personale" nelle grandi aziende? C’era bisogno di scomodare Socrate, Eraclito e Talete per valutare un colloquio di lavoro???
Identificare chi vuole riformare l’Università italiana come "un nemico" che "deve essere combattuto" (il senso del commento di malatempora) mi fa davvero pensare che la Gelmini abbia imboccato la strada giusta. 


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