Vota Saïed, il carceriere anti migrazione
Il presidente, da molti odiato e amato dalla sua cerchia, ci riprova. Visto il contorno continuerà a piegare la Tunisia al proprio volere.
Il prossimo 6 ottobre Kaïs Saïed potrà essere rieletto, forte del voto del ceto affaristico, legato al business del turismo e della manifattura, oltreché dell’industria dei fosfati di Gafsa che smercia da Sfax, il porto dei disperati della migrazione. Sono i due volti del Paese che Saïed diceva di voler mettere in ordine, ma i conti nazionali non lo sono e l’unica norma, a cui lui tiene molto, è quella securitaria. In realtà il presidente, noto col nomignolo di Robocop per gli occhi di ghiaccio e il piglio autoritario, ha sponsor politici quotati e solventi. Fuori dai confini nazionali, certo, e non saranno avversari come il magnate Karoui o l’anziano islamista Ghannouchi già in passato finiti galera, a sbarrargli il passo. A consolidargli il consenso c’è poi l’apparato armato, polizia ed esercito, gente che ha lavoro assicurato in una società dove lo stipendio mensile medio oscilla sui duecento euro, ma troppi arrangiano la giornata contando solo sul prezzo calmierato della baguette. Soggetti frustrati i poliziotti, che come ai tempi del misero Bouazizi estorcono denaro ai non protetti e vessano per il gusto di opprimere. Del resto la svolta autoritaria del vertice dello Stato ne copre quasi ogni nefandezza, visto che Ong e avvocati dei diritti sono sempre più soffocati e marchiati come oppositori di chi non si sa, visto che chi comanda non ha neppure un colore politico. Il presidente s’è presentato come la soluzione super partes a un sistema che non si sapeva gestire. Un tecnico, dunque, che ha trovato gli sponsor nei dirimpettai mediterranei dell’Unione Europea e un modello a portata di longitudine orientale, nell’Egitto carcerario di Sisi. Saïed non indossa uniformi ma il formale abito maschile con giacca e cravatta di circostanza, un aspetto acquisito da tempo anche dall’omologo egiziano. L’imitazione e l’interesse del governo di Tunisi ai costumi del Cairo per tener buoni i concittadini, blandendoli col consolidato populismo dei prezzi calmierati per pane e benzina, riguardano il passaggio dalla carezza al pugno e al pugno di ferro e se non basta ai cavi elettrici della tortura. Così chi non vuol comprendere, capisce.
Dal luglio di tre or sono, quando mister Robocop azzerò l’esecutivo in carica, sciolse il Parlamento, smantellò il Consiglio Superiore della Magistratura per giungere nel 2022 a una nuova Costituzione presidenzialista e autoritaria, l’aria che respirano i tunisini è mefitica. Viziata non da una semplice gestione amministrativa e neppure da un potere politico, ma dalla volontà di dominio sulla nazione e i suoi abitanti. Oggi in diversi angoli del mondo i cittadini sono tornati sudditi, a Tunisi e dintorni per un non nulla finiscono in galera e se contestano l’autorità possono marcirci. C’è un preciso disegno nel voler trasformare la locale Bouchoucha nella prigione di Tora. E’ il modello Sisi che paga in termini di obbedienza perché vivere col terrore e nel terrore produce i frutti della sottomissione incondizionata. Il contorno è mascherato dalle indubbie bellezze dei luoghi, e noi andiamo a visitare il Museo del Bardo e le rovine di Cartagine, come una dozzina d’anni addietro il Museo Egizio e le Piramidi di Giza avevano il pubblico che meritano, mentre d’intorno i mukhabarat seminavano morte fra gli oppositori locali, i ficcanaso stranieri alla Regeni, gli idealisti non tutti ‘privilegiati’ come Zaki. Questi signori della repressione interna diventano gli interlocutori di affari d’ogni sorta per i partner internazionali, il presidente tunisino lo è per i creatori di barriere, più o meno visibili, della civile Fortezza Europa schierata contro ogni migrazione illegale o legalizzabile. Non è un caso che i più ostili, furbi e mascherati fra i premier in carica al di qua del Mediterraneo (in testa l’italiana Meloni e l’inamovibile Von der Layen), abbiano allargato le braccia verso mister Robocop che è pur sempre il presidente d’un Paese antico e amico. Magari colonizzato, ma la polvere del passato va messa sotto i tappeti della Storia.
E allora si patteggia la cifra. Il “Memorandum d’intesa per un partenariato strategico fra Unione Europea e Tunisia” sottoscritto nel luglio 2023 per rafforzare la cooperazione economica e commerciale e molto altro offre 1,15 miliardi di euro al Paese maghrebino, che unito ai sostegni europei degli ultimi dodici anni porta l’aiuto a 4,7 miliardi di euro. Anche una parte degli impegni precedenti trattavano questioni relative ad agricoltura, trasporti, energia (quanti denari siano stati effettivamente spesi fa parte dei soliti misteri della politica, all’epoca extra Saïed) comunque dal luglio scorso è tutto molto dettagliato, e come va di moda nelle documentazioni, aggettivato col sostenibile. Nel protocollo si leggono: approvvigionamento idrico e gestione acque (piovane, irrigue, reflue) sostenibili; gestione dei rifiuti pubblica e privata sostenibile con bassa emissione di carbonio; piani congiunti per la digitalizzazione di alcune aree nazionali (c’è il progetto Medusa col cavo subacqueo); investimenti con la partecipazione dell’imprenditorialità comunitaria; transizione energetica ‘verde’; trasporto aereo a beneficio di turismo e connettività; migrazione e mobilità. Su quest’ultimo punto, altamente sensibile per tutti i membri Ue, il protocollo afferma che “… le parti convengono di promuovere lo sviluppo sostenibile nelle zone svantaggiate ad alto potenziale migratorio sostenendo l'emancipazione e l'occupazione dei tunisini in situazioni vulnerabili, in particolare attraverso il sostegno alla formazione professionale, l'occupazione e il settore privato. Le due parti condividono le priorità della lotta contro la migrazione irregolare per evitare perdite di vite umane e sviluppare vie legali per l'immigrazione…”. A tale voce corrispondono 105 milioni di euro aumentati fino a 147 che dovrebbero essere investiti in centri d’accoglienza, ma di cui sfuggono i contorni e l’utilizzo. Invece, dopo la razzistica caccia all’uomo di subsahariani tollerata dalle autorità avvenuta a ridosso del memorandum, sono aumentate pressione e repressione governative sulle Ong che s’occupano del problema e giù arresti di operatori umanitari, sgombri di centri per rifugiati, violenze e deportazioni verso i confini algerini e libici. L’amico Robocop scelto dalla Ue come uno dei Capi di Stato che risolvono il “guaio migranti”, mantiene la parola a modo suo. C’è da vedere come proseguirà con un nuovo mandato.
Enrico Campofreda
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