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Venezia, Lucia di Lammermoor al Teatro La Fenice

L’opera, il cui libretto è tratto dal romanzo di Walter Scott The Bride of Lammermoor andata in scena per la prima volta a Napoli nel 1835, ebbe un esito trionfale e la sua fortuna si è mantenuta nei secoli, diventando anzi una pietra miliare nella storia del melodramma italiano.

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Ottavo titolo della stagione, ecco un nuovo allestimento di Lucia di Lammermoor al Teatro La Fenice. Francesco Micheli, direttore artistico della Fondazione Donizetti di Bergamo, ne è il regista e la sua idea è quella di rappresentare gli ultimi atti della famiglia Ashton attraverso un’ambientazione pensata nell’Italia dei primi del Novecento, “cioè gli ultimi anni in cui l’Italia era una realtà contadina, e i beni della famiglia erano la terra, i mobili e le mura di casa o, per dirla con Verga, ‘la roba’.” Enrico Ashton si trova sulle spalle la responsabilità di dare un futuro al suo casato, e la giovane sorella, Lucia, obbligata a rinunciare alla sua vita, è la vittima designata a salvare le sorti di una famiglia ormai allo sfascio. Geniale l’agghiacciante gioco scenico ideato da Micheli tra Lucia, che in stato di alienazione sfiora i calici simbolicamente riempiti di un liquido rosso sangue che spanderà intorno e su di sé, e la glassarmonica suonata in orchestra nel corso della scena della pazzia. La scena di Nicolas Bovey è dominata da una catasta di mobili in equilibrio precario, che nel corso della vicenda penderanno su Lucia come una spada di Damocle, metafora della rovina e dell’abbandono in cui versano i protagonisti a causa dell’odio ereditato dalle famiglie d’origine. Eleganti e in armonia con le scene e le scelte registiche i costumi di Alessio Rosati. Le luci di Fabio Barettin immergono la scena in un’ambientazione onirica esasperando l’atmosfera ossianica. Sul podio, a dirigere la ben coesa orchestra del Teatro, il direttore Riccardo Frizza che dichiara: «Lucia è, con Norma, l’eccellenza del belcanto e quindi sottolineerò tutti quegli aspetti che denotano il linguaggio tipico dei primi dell’Ottocento. Il canto legato, le varianti, le cadenze, l’elasticità del respiro musicale sono le caratteristiche da tenere presenti». Frizza riapre i tagli, tiene insieme buca e palcoscenico in un misurato e raffinato dialogo e riabilita la glassarmonica della versione originale per la lunga scena della follia, il cui suono instabile, gelido ed evanescente, tagliente come un’affilatissima lama, affonda insieme ai sovracuti del soprano nell’anima degli spettatori stupefatti. Abbiamo assistito alle recite di entrambi i cast restando comunque persuasi dell’eccellenza dei cantanti. Nella compagnia di canto della nuova produzione veneziana figurano in alternanza Markus Werba e Giuseppe Altomare nel ruolo di Lord Enrico Asthon, Nadine Sierra e Zuzana Marková in quello di Miss Lucia, Francesco Demuro e Shalva Mukeria nel ruolo di Sir Edgardo di Ravenswood, Simon Lim e Alessio Cacciamani in quello di Raimondo Bidebent. Completano il cast Francesco Marsiglia (Lord Arturo Bucklaw), Angela Nicoli (Alisa) e Marcello Nardis (Normanno). Nel ruolo del titolo, Nadine Sierra e Zuzana Marková sfoggiano i loro cristallini sovracuti con encomiabile agilità, talvolta addirittura esagerando in variazioni e cadenze ridondanti e non sempre musicalmente apprezzabili, ma sono brave, la Markovà anche superiore, teatralmente, alla Sierra. Pregevole anche la prova di Markus Werba e Giuseppe Altomare, autorevoli nel timbro e scenicamente; altrettanto validi i tenori Francesco Demuro e Shalva Mukeria. Caldo consenso di pubblico per Simon Lim, ottimo Raimondo dall’interessante voce di basso. Veramente motivo di continuo compiacimento la partecipazione del coro, istruito da Claudio Marino Moretti. Lo spettacolo ha riscosso un successo sincero, anche se alla prima un signore munito di fischietto ha voluto esprimere il suo dissenso, ma ci sono stati applausi a scena aperta per tutti i personaggi principali, specialmente per il soprano, e alla fine gli interpreti sono stati richiamati a lungo alla ribalta.

Marina Bontempelli

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