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Una grande congiunzione astrale nel nostro Natale

Il cielo di lunedì 21 dicembre 2020 ci ha regalato uno spettacolo straordinario: Giove e Saturno talmente vicini da creare l'effetto di un corpo celeste unico.

E’ un fenomeno rarissimo. L’ultima volta che lo si era osservato era stato, come ha riferito in una dichiarazione pubblicata dalla Rice University l’astronomo Patrick Hartigan, nel 1226. Si è reso visibile al tramonto. Alle 17:00 i due pianeti sono apparsi come un unico pianeta, un'unica luce nel cielo. E' stata quella che gli astronomi chiamano la Grande congiunzione. L’evento è coinciso con il solstizio d’inverno.

Il fatto che ha caricato il fenomeno di una suggestione maggiore è che è venuto a cadere nel tempo di Natale, poiché una congiunzione simile, e non una cometa, fu quella che osservarono in cielo i Magi del racconto dei Vangeli, 2000 anni fa:

Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt. 2,1).

L'ipotesi non è balzana e fu quella che formulò nel 1614 Keplero, il grande astronomo tedesco- Egli intuì che la "stella di Betlemme" sarebbe stata, in realtà, una splendida congiunzione tra Giove e Saturno con la complicità di Venere. A confermarlo ci sono anche documenti antichissimi, come l’Almanacco stellare di Sippar e la Tavola Planetaria di Berlino. Il primo è una tavoletta babilonese in terracotta con scrittura cuneiforme, in cui sono riportati movimenti e congiunzioni celesti, e tra questi le congiunzioni stellari dell’anno 7 a. C., che sarebbero state tre: il 29 maggio, il primo ottobre e il 5 dicembre. La seconda è un papiro egiziano, in cui sono registrati i calcoli dei movimenti dei pianeti dal 17 a.C. al 10 d. C.. Il fatto è tanto più interessante, in quanto il 7 a. C., secondo studi storici recenti, sarebbe l’anno di nascita di Gesù, essendo accertata la morte di Erode nell’anno 4 a.C.

Che si tratti di congiunzione di pianeti, e non di una cometa, troverebbe un riscontro nel racconto di Matteo, nel passo in cui Erode chiede spiegazioni ai Magi, facendosi “precisare da loro con ogni diligenza il tempo in cui la stella era loro apparsa" (Mt 2,7). Fra le righe si può leggere, infatti, l’indicazione di un fenomeno non eclatante, notabile ed apprezzabile solo da studiosi conoscitori dei moti astrali.

Ma accertato questo resta una domanda: perché una stella avrebbe potuto orientare astronomi dell’ambiente culturale babilonese-persiano verso il Paese dei Giudei?

Occorre, in tal caso, chiarire che, secondo molti biblisti, il racconto evangelico non è cronaca, ma composizione didascalica (midrash) avente l’intento di retroproiettare l’accoglienza offerta dai Gentili a Gesù in contrapposizione al rifiuto dei maestri d’Israele. Del resto, molte sono le valenze simboliche, specie nella concezione astrologica babilonese, secondo cui Giove era la stella dei dominatori del mondo, Saturno la stella della Palestina e nella costellazione dei Pesci era leggibile il segno della fine dei tempi. Se poi si guarda all’ambito giudaico, si trova il commentario al libro di Daniele, secondo cui quella congiunzione era ritenuta il segno della nascita del Messia.

Ma al di là di ogni lettura fondamentalista dei vangeli, “la congiunzione astrale poteva essere un impulso, un primo segnale per la partenza esteriore ed interiore; ma non avrebbe potuto parlare a questi uomini, se non fossero stati toccati, anche in un altro modo: toccati interiormente dalla speranza di quella stella che doveva spuntare da Giacobbe (Nm. 24,17)” (J. Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Milano 2012, p. 116-17).

Nessun fenomeno eclatante, dunque, ma un segno che sa cogliere solo chi ha fede e chi nella fede trova motivo per sperare. 

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