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Un governo a tutti i costi

Siamo in piena emergenza economica, e le emergenze impongono limitazioni alla libertà delle forze politiche, creano necessità, e tra queste anche l’alleanza tra due partiti fino ad ieri avversi. E qui sta il punto. Quella che è stata presentata come un’alleanza tra due partiti di pari forza non è un’alleanza, ma l’annessione della sinistra alla destra. Non si confrontano due partiti, ma una coalizione di forze reazionarie, fuori e dentro il partito democratico, contro una corrente della sinistra PD. Non si alleano due partiti, ma si ricompatta la destra, quella fuori e dentro il PD, quella di Berlusconi e di Monti, con quella liberale di Renzi, quella democristiana di Marino e quella riformista di D'Alema

La sinistra nel PD, prima della coalizione con SEL, è stata sempre nascosta negli anfratti di posizioni politiche che cercavano di accontentare tutti, ma finivano per accontentare solo la destra. L’antiberlusconismo dava l’illusione di una sinistra esistente, ma non era così. Il riformismo dava l’illusione di una sinistra esistente, ma non era cosi. Non è mai venuta fuori la centralità del lavoro, la laicità, la questione morale.

Finalmente, dopo le ultime elezioni, è venuta fuori la linea del cambiamento con un leggero sapore di sinistra, ma appena ha messo fuori la testa, è stata spazzata via dalla grande armata. Nessun mezzo è stato risparmiato. E così questa linea è stata buttata nella mischia senza paracadute. Quando Bersani si è cimentato nella formazione improba di un governo, non aveva dietro il partito, ma solo l’illusione di una fittizia unanimità della direzione che di giorno appoggiava il tentativo del segretario con Grillo, di notte preparava l’alleanza con Berlusconi. E così Renzi diceva di appoggiare Bersani, ma poi andava a Ballarò a criticare la linea del segretario.

I suoi uomini votavano la linea del cambiamento ma poi davano interviste dove evocavano un governo di scopo. E mentre ciò avveniva, i popolari, i dalemiani, che avevano votato la linea del cambiamento, il tentativo di un accordo con Grillo, stavano zitti ma poi preparavano le armi. E così quando il presidente della Repubblica ha negato al segretario un incarico pieno, hanno lasciato solo Bersani. Quando Napolitano ha fatto capire il suo appoggio all’accordo PD/PDL, hanno lasciato solo Bersani, ma anche la base contraria a quest’accordo. E in questi silenzi c’era tutta la determinazione a contrastare l’accordo con Grillo e a favorire quello con Berlusconi. Una determinazione che si è rivelata in tutta la sua realtà, nelle elezioni del presidente della Repubblica, dove sono state scoperte le carte nascoste. E così è venuta fuori la candidatura di Marino per favorire l’inciucio, mentre la sua bocciatura, ha legittimato l’affossamento di tutti quei candidati che potevano favorire l’accordo con Grillo: Prodi, Rodotà e Bonino, fino alla rielezione di Napolitano che ha spianato la strada al governo con Berlusconi.

Ma c’era la base che mugugnava, occupava sezioni, e allora è venuto fuori quel timido balbettio di Enrico Letta che, nell’accettazione dell’incarico aveva precisato: “Questo non sarà un governo a tutti i costi”.

Ed invece è stato un governo a tutti i costi.

Lo ha voluto a tutti i costi Napolitano, che ha promosso e sostenuto il governo PD/PDL sin dal primo momento. Per questo Bersani non ha ottenuto un incarico pieno, e con esso un governo di minoranza.

Lo ha voluto a tutti i costi la destra PD, che ha brigato per Marino alla presidenza della Repubblica in funzione di questo governo ed ha affossato Prodi che l’avrebbe ostacolato. Non ha neppure discusso la proposta del M5S di Rodotà e neppure pensato alla Bonino.

Lo ha voluto a tutti i costi Grillo, ed è stato coerente al punto che non ha votato Prodi, che era nella lista dei votati dalla rete, e poteva favorire un governo Bersani con l’appoggio esterno dei grillini.

Lo ha voluto a tutti i costi Berlusconi, che temeva un governo PD/M5S che poteva isolarlo.

L’hanno voluto la Germania e l’establishment europeo, che ha cercato in tutti i modi di tener fuori Grillo dal governo italiano, anche a costo di accettare Berlusconi. E cosi immediata è stata la dichiarazione di pieno sostegno di Van Rompuy al governo Letta.

Lo vuole la sinistra PD e SEL che dopo le prime riluttanze, si stanno adeguando al nuovo corso. Molti di loro, folgorati dall’assenza di Brunetta e dalla presenza di qualche giovane e di qualche donna tra i ministri, voteranno la fiducia al governo. Ma come si fa a non capire che la minaccia di Brunetta e Gelmini al governo, e la presenza delle donne e dei giovani, sono mezzucci per indorare la pillola ad una base riottosa? E così dimenticate le minacce di espulsione, attendono di vedere il governo all’opera, e rimandano al dopo ogni reazione.

Resta all’opposizione, solo il M5S che, nei limiti di un movimento in formazione e stretto nella contraddizione tra la presenza in parlamento e la pretesa di sostituirlo con la democrazia diretta, potrà fare meno di quello che pensa.

E intanto “campa cavallo che l’erba cresce!”. E così ancora oggi resta inevasa quella richiesta di Moretti a D'Alema, ma anche al partito: ”Dite qualcosa di sinistra”.

Ed eccolo il governo tanto agognato, quello che segnerà la fine del PD e la fine del Paese, e immolerà questo sacrificio sugli altari della destra italiana tedesca europea.

Non è un governo del Presidente, ma di Berlusconi.

Un governo che anche nella composizione segna il trionfo del cavaliere che emargina quel poco di sinistra, peraltro sbiadita che è rimasta nel PD, rilegandola in incarichi ministeriali di poco peso. Orlando all’ambiente è una magra consolazione per Bersani, ed un ulteriore errore del segretario del PD che ha legittimato un governo di destra lasciando al suo destino una base sgomenta, che si ribella e non riesce ad accettare il torto di un governo con Berlusconi, dominato da Berlusconi.

Oggi nella redazione della lista dei ministri, domani nella realizzazione del programma.

E tutto ciò non viene nascosto. Brunetta ha tenuto a chiarire che il programma del Governo Letta deve essere quello di Berlusconi, la squadra di governo, quella idonea a realizzare quel programma.

Siamo in recessione, è necessario stimolare la crescita facendo leva sui fattori che la determinano, e tra essi certamente, la scuola e la giustizia. Ma nessuno accordo è possibile su questi temi, se non la resa incondizionata del PD al PDL. È mai ipotizzabile che Berlusconi rinunci al salvacondotto giudiziario di un giustizia lenta, o al vantaggio di un popolo tanto più influenzabile quanto più lontano dalla cultura e dalla conoscenza reale della politica?

Ma ci sono problemi più urgenti da risolvere. Certo ci sono gli esodati, il finanziamento della cassa integrazione, ma c’è anche la copertura finanziaria, e i tagli per reperire le risorse, la lotta alla corruzione, la riduzione delle spese militari possono essere utili allo scopo. Su queste tematiche, apparenti contrasti e finte divergenze verranno fuori, ma alla fine sempre i più deboli pagheranno perché non ci sarà modifica del falso in bilancio, una severa disciplina degli appalti e la lotta per l’equità fiscale si ridurrà alla lotta ad Equitalia. Ed il buon giorno si vede dal mattino, così la prima richiesta del PDL è coinvolgere nell’esenzione dell’imu i più ricchi.

Ma se nella distribuzione delle risorse il centro sinistra perde la sua battaglia, allora vuol dire che questo governo, non è un governo PD/PDL, ma un governo Berlusconi.

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