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Un "contratto indeterminatamente a tempo determinato": la situazione dei ricercatori italiani

Un "contratto indeterminatamente a tempo determinato": sembra un gioco di parole, ma non lo è. Tecnicamente chiamato “a tempo determinato sine die”, è abbastanza comune in questi ambienti. Stiamo parlando degli istituti di ricerca italiani, dove il 22,4% dei lavoratori è precario, e i finanziamenti solo nel 2013 sono diminuiti di 88 milioni. Michela Giachetta ha partecipato all’incontro dell’Usb a Roma e ha raccolto per noi alcune preziose testimonianze. 

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Un contratto indeterminatamente a tempo determinato. Sembra un gioco di parole, ma non lo è. È il contratto – tecnicamente chiamato “a tempo determinato sine die” – di Pierpaolo Giordano, 39 anni, da 12 tecnico precario all’Ispra, Istituto di Ricerca Ambientale.

Di contratti, nel suo percorso lavorativo, Pierpaolo ne ha firmati diversi: occasionale per tre mesi, di collaborazione coordinata e continuativa fino al 2005, a tempo determinato fino al 2008. Da allora lavora all’Ispra con un contratto a tempo determinato sine die. Fa parte del gruppo che si occupa del servizio di emergenze in mare: affiancano il ministero nelle situazioni di necessità e studiano i fenomeni legati a quelle problematiche. Per citare solo un caso, è intervenuto con il ruolo di consulente tecnico all’Isola del Giglio, per l’incidente della Costa Concordia. Oggi, fra le altre cose, sta lavorando anche ad alcune applicazioni per tablet per la gestione delle emergenze in mare, mentre aspetta di sapere se il suo contratto verrà ancora una volta prorogato.

“A dicembre 2012 era stato deciso che i precari ‘sine die’ dovevano essere mandati a casa, perché la procedura di stabilizzazione non si applicava a loro. Poi l’ennesima proroga, l’ultima scadenza è prevista per dicembre”. Intanto, di concorsi in questi anni ne sono stati indetti, ma nessuno che corrispondesse al profilo di Pierpaolo. “Io ho partecipato comunque, ma con un forte senso di umiliazione, per la mancanza di riconoscimento del lavoro svolto fino a quel momento”.

Secondo i dati resi noti dall’Usb, nell’assemblea pubblica “Public Research Reloaded – Per una ricerca Pubblica e Stabilizzata – per un futuro diverso”, che si è svolta a Roma a metà luglio, il 22,4% di chi lavora in quegli enti è precario (più di 4600 persone – la percentuale più alta nel pubblico impiego). Di questi oltre 1500 si devono accontentare di un contratto atipico, di solito co.co.co., senza nessuna garanzia e tutela, pur svolgendo le stesse attività dei colleghi strutturati. “Anche a causa del blocco del turn-over – denuncia il sindacato – i contratti a tempo determinato sono in aumento, dai 2.514 del 2010 ai 3.095 del 2011, in risalita dopo che negli anni precedenti erano scesi grazie alla stabilizzazione”.

Nel nutrito gruppo di precari degli enti pubblici di ricerca rientra anche Laura Turco. Ha 45 anni, precaria da 15 all’Istituto Superiore di Sanità: fino al 2006 ha lavorato con un contratto co.co.co. (“con svariate pause fra l’uno e l’altro”), poi ha ottenuto un tempo determinato che può durare al massimo cinque anni. Nuovo concorso nel 2011, nuova ripartenza (gli aumenti economici ottenuti nel corso dei cinque anni si annullano alla scadenza del vecchio contratto e si riparte dalla paga base). È laureata in Biologia, si occupa di tossicologia in vitro.

Racconta di come la precarietà incida sull’aspetto professionale: “Sento il peso di non avere libertà, sia perché lavoro a progetto, sia perché sono vincolata dal caporeparto. C’è un ricatto psicologico legato al contratto a termine”. Ma parla anche del privato: “Per comprare casa, ho dovuto chiedere a mio fratello di fare da fideiussore. Mia sorella è andata all’estero. E qui qualcuno della famiglia deve restare”.

Nell’assemblea nazionale dell’Usb si è voluto portare di nuovo sotto la luce dei riflettori il problema della precarietà nella ricerca pubblica, i cui finanziamenti solo nel 2013 sono diminuiti di 88 milioni. Nel dettaglio, 24 milioni in meno per l’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), 16 in meno per il Cnr, 6,5 in meno per l’Enea. Tolti 5,2 milioni all’ISS e 3,8 all’Ispra.

Cifre che celano storie di precarietà. Come quelle di Pierpaolo e Laura.

di Michela Giachetta | @mgiachetta
(Foto: greenport.it)

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