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Un cappellano per ogni occasione

In Italia si trovano preti in posti insospettabili. La presenza dei cappellani nelle istituzioni e in altri ambiti in teoria laici è non solo uno spreco di denaro (spesso pubblico) ma pure una forma di invadenza religiosa. Affronta il tema il giornalista Federico Tulli sul numero 4/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaarabbonati oppure acquistala in formato digitale.

 

 

Roma è la città con più chiese al mondo. Sono oltre 930 e sono sparse senza soluzione di continuità per tutto il territorio metropolitano. Ovviamente vi si celebrano messe dalla mattina alla sera, chi vuole si può confessare e raramente chi sente l’esigenza di stare qualche minuto da solo in raccoglimento troverà durante il giorno il portone chiuso.

Nonostante ciò la giunta regionale del Lazio ha stabilito che nella sede di via Cristoforo Colombo, a metà strada tra i due popolosi – e disseminati di luoghi di culto – quartieri della Garbatella e di Tor Marancia, dovesse essere presente un sacerdote responsabile del servizio spirituale per i dipendenti. Don Achim Otto Schütz, questo è il nome del cappellano “regionale”, qualche tempo fa è finito sotto i riflettori mediatici perché si era scoperto che l’accordo con il Vicariato stipulato nel 2003 dalla giunta Storace e rinnovato successivamente da quelle a guida Polverini, Marrazzo e Zingaretti non era a titolo gratuito come si poteva immaginare, ma oneroso.

Ovviamente il sacerdote non aveva alcuna responsabilità ma c’è chi pensò bene di chieder conto alla Regione del motivo per cui un prete dovesse essere pagato 12.500 euro l’anno per svolgere le stesse funzioni per le quali riceveva già lo stipendio attraverso l’otto per mille.

Somma che la giunta Marrazzo addirittura aveva raddoppiato fino a 24.800 euro. Di fronte al clamore suscitato dalla vicenda, alla fine di novembre 2015, cioè due anni e mezzo dopo essersi insediato, il presidente Nicola Zingaretti annunciò l’intenzione di interrompere il servizio a pagamento e di voler trovare «una nuova formula senza oneri per l’amministrazione» che la Regione avrebbe studiato «in collaborazione con il Vicariato». Tra le varie ipotesi c’era anche quella più logica: accordarsi con una parrocchia vicina per l’invio periodico di un sacerdote alla cappella interna del palazzone di via Cristoforo Colombo.

La storia del cappellano “regionale” don Schütz e dei circa 200mila euro di denaro pubblico spesi in 12 anni per fargli servire messa è molto probabilmente un unicum. La sua presenza in un ente locale, invece, come vedremo non è un unicum in un Paese che mantiene più cappellani di qualsiasi altro: almeno un migliaio se non di più.

Alcuni di questi sono figure molto note e remunerate profumatamente quanto e più di quanto lo era don Schütz, come per esempio i circa 400 tra militari e ospedalieri, di altri invece se ne sa molto poco. Ma ci sono, forniscono assistenza spirituale sia in ambito pubblico che privato, ed è di questi ultimi – quelli meno noti – che ci vogliamo occupare con una breve ma significativa carrellata.

Iniziamo restando nella capitale dove Acea s.p.a., ex municipalizzata poi privatizzata nel 1999, holding di un gruppo attivo nei settori idrico, ambientale ed energetico, da anni ha realizzato strutture al proprio interno che svolgono attività di tipo sociale, coinvolgendo in modo diretto i dipendenti. Tra queste c’è anche il Nucleo Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) che in Acea promuove iniziative sociali, di solidarietà e sostegno.

La presenza del cappellano, a cui i dipendenti possono fare riferimento, ne è un esempio. Il Nucleo Acli, come si legge nella brochure, «si occupa altresì di fornire servizi, quali la consulenza su mutui e prestiti, l’assistenza scolastica per i figli dei dipendenti che frequentano le scuole medie inferiori e superiori, e diverse altre iniziative in favore dei dipendenti». Insomma, servizio completo dal sacro al profano.

Tra i cappellani aziendali quelli che hanno sicuramente una lunga tradizione e una presenza costante nel tessuto lavorativo privato e pubblico sono i Cappellani del lavoro Genova. Sul loro sito contiamo ben 49 realtà assistite da una decina di sacerdoti. Tra queste ci sono grandi aziende come Leonardo, Banca Carige, Eni, Enel, Ilva eccetera, ma anche il Comune di Genova, la Regione Liguria, il Corpo di polizia municipale, Inail, Fincantieri, Postel. Non sorprende a questo punto di trovare, a Genova, anche dei cappellani presenti nelle varie attività portuali: dal Corpo piloti al Distretto riparazioni industriali.

Ma di cappellani marittimi ce ne sono numerosi sparsi per tutti i grandi porti della penisola, come si evince dalla sezione del sito della Conferenza episcopale denominata “Apostolato del mare”. Il loro compito principale consiste nel proselitismo tra i marinai che sbarcano sulla terraferma e, quando stanno in mare, nel «guidare la comunità cristiana di bordo». Fino a qualche anno fa si poteva trovare il cappellano anche a bordo delle navi da crociera Costa. Ora non più. «Nel 2014 li abbiamo eliminati da tutte le navi – hanno fatto sapere dall’amministrazione – è una scelta in linea con il mercato mondiale delle crociere».

Dal mare all’aria. Nell’ottica del presidio ramificato del territorio nazionale non possono mancare i cappellani dell’aviazione civile. La Conferenza episcopale ne ha insediati in quasi tutti i principali scali italiani: Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Verona Villafranca, Torino Caselle, Ancona, Genova, Milano Linate, Bergamo Orio al Serio e Trieste Ronchi dei Legionari. Tornando con i piedi per terra, nella stessa ottica rientrano i cappellani delle ferrovie, “titolari” delle cappelle presenti nelle stazioni medio-grandi.

Il conforto spirituale ma anche l’opera pastorale d’ordinanza sono garantiti, dal punto di vista della Chiesa, anche nelle università pubbliche e presso le forze della polizia di Stato. Ma da qualche tempo nelle oltre 220 diocesi d’Italia è presente anche una nuova figura di cappellano: il cappellano etnico. È questo un sacerdote formato per assolvere il compito di fare da tramite tra le singole diocesi e le comunità di immigrati, suoi conterranei, che vivono nel nostro Paese.

«Ogni cappellano – si legge sul sito della Fondazione migrantes – deve sapersi esprimere bene in italiano per fare da cinghia di trasmissione tra la sua comunità di cui è responsabile e la diocesi in cui esercita». Indubbiamente si tratta di un ruolo al passo con i tempi, incaricato di intercettare i bisogni e le esigenze di una cospicua fetta di popolazione.

Lo stesso si può dire dei cappellani degli hospice, da non confondere con quelli ospedalieri. Ebbene sì, la Chiesa si è introdotta anche nelle strutture residenziali in cui vengono garantite le cure palliative ai pazienti affetti da malattie inguaribili. Per una religione fondata sui concetti di dolore, sofferenza ed espiazione suona un po’ strano trovare suoi rappresentanti in luoghi nei quali vengono praticate terapie farmacologiche finalizzate alla soppressione e al controllo del dolore.

Chiudiamo ora in leggerezza (si fa per dire). In un mondo come quello dello sport, dove non è raro assistere a riti scaramantici di ogni tipo e segni della croce anche solo per entrare in un campo o una pista, non possono mancare i cappellani.

Tra questi spicca quello olimpico che è al seguito degli atleti azzurri a Parigi. Si chiama don Franco Finocchio e succede al “veterano” don Gionatan De Marco, già direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport, cappellano della squadra olimpica italiana ai Giochi di Tokyo 2020 e a quelli invernali del 2018 in Corea del Sud.

L’ultimo cappellano di cui ci occupiamo è colui che il quotidiano dei vescovi Avvenire ha definito – con un pizzico di lungimiranza – «l’uomo in più degli azzurri, nella gioia e nel dolore». Avrete capito che si tratta del cappellano della nazionale di calcio. Lui si chiama don Massimiliano Gabbricci e prima di approdare alla squadra azzurra era stato il referente spirituale della Fiorentina per 16 anni fino al 2022. Una persona d’esperienza, dunque, che immaginiamo avrà avuto il suo bel da fare dopo la dolorosa figura fatta dall’Italia agli Europei contro la Svizzera.

Federico Tulli

 

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