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Ucraina: continuano le proteste

Dalla parte dell’Ucraina: per la sicurezza dei suoi abitanti. Per la libertà di scelta. 

Le autorità ucraine devono fare tutto quanto in loro potere per fermare l’escalation di violenza a Kiev prima che altre persone vengano uccise. Se, come dicono, sono interessate a una soluzione pacifica della crisi politica in corso nel Paese, devono rispettare i diritti delle persone e non cercare di privarle delle loro libertà, impedendo le proteste pacifiche e permettendo che la polizia usi impunemente la forza in modo abusivo.

Heather McGill, di Amnesty International

Il 22 gennaio scorso, a due mesi e un giorno dall’inizio delle proteste che hanno incendiato la capitale ucraina Kiev, cinque persone sono state uccise dalle forze di polizia, durante gli scontri con i manifestanti che dal 21 novembre 2013 si oppongono alla decisione del presidente filorusso Viktor Yanukovič di abbandonare l’accordo di associazione con l’Unione Europea.

L’accordo prevedeva l’eliminazione dei dazi che ostacolano il commercio Ucraina-Europa che avrebbe aperto la strada a una effettiva annessione dell’ex stato membro dell’URSS all’Unione Europea. I manifestanti hanno affollato sin da subito le piazze, manifestando pacificamente il loro disaccordo con la decisione del presidente Yanukovič di riavvicinarsi alla Russia di Putin.

Gli scontri sono iniziati il 30 novembre e hanno portato all’arresto di innumerevoli manifestanti e al fermo “no” dell’opinione pubblica contro i primi episodi di abusi da parte delle forze dell’ordine. Il governo ucraino ha quindi deciso di annunciare la sigla di un accordo con Mosca per un investimento da parte della Russia di 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e uno sconto sul prezzo delle forniture di gas.

L’annuncio, nonostante le aspettative governative, ha rappresentato solo un episodio di tregua fra gli scontri: le proteste infatti si sono diradate, dopo giorni di tensione, per riesplodere il 25 dicembre, in seguito al pestaggio della giornalista Tetyana Chornovol, famosa per le sue critiche al governo filorusso, costretta a scendere dalla sua vettura e aggredita.

La situazione subisce un ulteriore scossone il 16 gennaio, quando il governo approva un pacchetto di leggi che limitano il diritto di manifestare e prevedono pene severe per chi partecipa alle contestazioni al governo. Gli scontri che seguono la promulgazione di tali leggi volute da Yanukovič portano ai fatti del 22 gennaio 2014, quando le forze di polizia utilizzano proiettili veri e uccidono cinque manifestanti. In seguito all’episodio, il presidente Yanukovič riceve dapprima il rifiuto da parte dei leader dell’opposizione di rivestire le cariche di primo ministro e vicepremier, quindi annuncia l’abolizione delle leggi sull’ordine pubblico e le dimissioni presentate dal premier Azarov e dal suo governo.

Le mobilitazioni continuano: il 9 febbraio in circa 60mila si riuniscono in Maidan Nezalezhnosti, esprimendo nuovamente il loro distaccamento dalla élite al potere. 

Preoccupazione anche per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche di membri appartenenti a gruppi estremisti come l’Upa, l’armata insurrezionale d’Ucraina.

Queste proteste hanno come scenario un Paese per sua natura eterogeneo, dal punto di vista socio-culturale ed economico, che ha rappresentato suo malgrado, dopo la conclusione della guerra fredda, il terreno di scontro fra la Russia e l’Occidente, e riflette al suo interno le tensioni esistenti sui suoi confini, che ostacolano la necessaria ripresa dell’Ucraina, dopo molti anni di coinvolgimento nei conflitti internazionali.

Amnesty International continua a monitorare la situazione ed esprime la propria indignazione per “l’atto barbaro” subito da Dmitrii Bulatov, attivista e organizzatore delle proteste Euromaidan che, dopo una sparizione durata 8 giorni, è stato ritrovato in gravi condizioni fisiche a causa delle torture subite.

Ci si schiera con l’Ucraina monitorando la sicurezza dei suoi abitanti.

Con l’Ucraina, perché sia posta come soggetto della propria storia e non strattonata dalle forze limitrofe, perché possa porsi nella condizione di scegliere verso chi tendere, o scegliersi.

Giulia Raimondi per "Segnali di Fumo - il magazine dei diritti umani"

Questo articolo è stato pubblicato qui

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