Tripoli, 1911/2011. Quella canzone che inneggiava al tricolore
Gli abitanti e, in particolare, i giovani sembrano decisi ad andare sino in fondo, nonostante le feroci e sanguinose reazioni repressive che si vanno ponendo in atto dalla leadership dittatoriale attualmente al potere.
Le ampie cronache e gli approfondimenti dei giornali, i servizi televisivi, le notizie che rimbalzano e corrono sul web, i racconti dei primi connazionali rimpatriati da quell’area in fermento, sono diventati i principali argomenti di discussione e riflessione, gli interrogativi più stringenti nel comune sentire di popoli, fra cui il nostro, che, sin qui, hanno generalmente considerato lontane, remote, roba da continente africano, le vicende di comunità nazionali come la Libia o la Tunisia e l’Egitto, ancorché le medesime siano affacciate sul comune mare Nostrum, al massimo a qualche centinaio di chilometri di distanza.
Così è stato nel tempo trascorso, e però, chiaramente, almeno alla luce della “rivoluzione” che ha preso l’avvio e che, si ha motivo di ritenere, non resterà un capitolo isolato, sembra giunta l’ora di maturare e rivolgere un approccio ideale del tutto diverso, non solo auspicando, ma anche assecondando concretamente, nei limiti del possibile, presupposti e modelli di vita migliore, a beneficio di gente che ha molto sofferto e tuttora patisce, materialmente e/o moralmente.
Strana e fortuita coincidenza, in questo scorcio dell’inverno 2011, si è improvvisamente parato innanzi agli occhi il testo di una canzone, se non completamente sconosciuta, quantomeno obliata, dal titolo “Tripoli, bel suol d’amore”, testo di Giovanni Corvetto, musiche di Colombino Arona, datata 1911, esattamente un secolo fa.
Recitano alcuni versi:
Tripoli, bel suol d’amore
ti giunga dolce questa mia
canzone!
Sventoli il tricolore
sulle tue torri al rombo del cannon.
Non c’è che dire, quanta diversità di clima, quale e quanto cambiamento nei propositi e nelle figure dei protagonisti, fra allora e adesso!
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