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Capitalismo: una trappola mortale

Oggi sputiamo sangue e bestemmie per causa delle scelte di un governo cosi detto “tecnico”, che dovrebbe risanare i nostri conti, tutelando, dicono, i nostri interessi … stiliamo però un qualcosa che sta tra l’analisi e la cronistoria dei fatti.

La crisi che stiamo vivendo oggi possiamo definirla di natura strutturale, figlia cioè di alcune scelte fatte, poi mal governate o gestite in modo poco avvezzo al bene comune. Il tutto potrebbe tranquillamente nascere ai tempi della Thatcher e di Reagan, delle loro scelte economiche basate su un capitalismo, che diventerà sfrenato, ed in concomitanza della caduta del muro che circondava Berlino.

Il capitalismo nella sua evoluzione si sviluppa in forma straordinaria e speculativa deterittorrializzandosi in forma totale, sconfessando completamente quella che viene considerata l’era “fordista”, l’epoca che consentì la nascita e lo sviluppo dei ceti medi, e regalando ogni forma di guadagno alle multinazionali, che impongono commercialmente e finanziariamente i paletti del nuovo regime economico.

In forma pratica e tangibile, per noi umili cittadini, vi sono due fenomeni chiari: la delocalizzazione e la conseguente “cessione” del lavoro alle maestranze sottopagate del terzo mondo o dei paesi "emergenti".

Si tratta della puntata, non finale, di una storia annunciata, il crollo del sistema denaro, partita forse dallo sganciamento tra dollaro ed oro, decenni fa, passata attraverso la crisi dei "mutui subprime" e la scelta degli Stati di salvare (chissà chi lo ha suggerito) le banche, le compagnie di assicurazione e i fondi di investimento.

E così, d’incanto, la crisi genetica del capitalismo di pochi privati, si trasformata nella crisi del debito pubblico. La puttanata dell’euro, limitiamoci a definirla così, ha dato il colpo finale, accentuando le differenze tra gli stati economicamente più ricchi o più deboli.

Alcuni esperti del settore “pensano” che le adottate misure di austerità e di rigore, che finiscono per far pagare alle classi popolari i costi di una crisi della quale non hanno alcuna responsabilità, siano un errore, io credo sia semplicemente l’ennesima scelta di chi ha imposto l’economia negli ultimi due decenni e mezzo.

Oggi tali misure si traducono in bassi salari, nella perdita del potere d’acquisto e nell’aggravarsi della disoccupazione: i poteri economici traccheggiano e sopravvivono, ma gli Stati si ritrovano nella trappola dell’usura che li rende totalmente dipendenti dagli interessi finanziari privati, proprio come un cane che si morde la coda... tutto questo però ha un implosione ovvia davanti e sarà proprio il denaro, tramite il profitto errato, a suicidare se stesso.

Parte del popolo nel frattempo si accorge della situazione, si sente incastrato in una trappola mortale e comincia a farsi “sentire”, vuoi sostenendo chi auspica una nuova democrazia ed una nuova economia che nascano dal “basso”, vuoi sostenendo movimenti politici populisti e xenofobi.

Io mi considero parte integrante della prima ipotesi, ma vi invito soprattutto a stare alla larga dal secondo, come dice Alain de Benoist:la xenofobia è la conseguenza inevitabile di un afflusso di immigrati in crescita costante, di cui le classi popolari sono le prime a subire le conseguenze. Il ricorso all’immigrazione permette al padronato di esercitare una pressione al ribasso sui salari: in questo modo, l’immigrazione costituisce l’"arma di riserva" del capitale”

Evitiamo di cercare capri espiatori, le colpe ci sono ma stanno nelle scelte dei poteri forti e concentriamo nell’essere noi il cambiamento, attivi e partecipativi, perché esiste sempre un'alternativa, c'è sempre una nuova via, la quale non deve essere una minestra riscaldata, ma una via nuova e completamente differente.

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