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Tra salario minimo e consulenze pubbliche “altamente qualificate” gratuite

La politica, soprattutto in Italia, è spin e capacità di distrarre l’opinione pubblica dai casini che si accumulano a seguito di decisioni precedenti prive di aggancio alla realtà. E quindi, dopo la partenza del reddito di cittadinanza, che si rivelerà la più grande operazione di voto di scambio della storia repubblicana, oltre che un sussidio fintamente condizionato ma in realtà privo di condizioni effettive (e non dite che non ve lo avevo detto), oggi tocca ad una nuova operazione propagandistica: quella del salario minimo.

Il 22 marzo il M5S presenterà in aula al Senato il ddl 658, a prima firma della senatrice Nunzia Catalfo, in cui si tenta di fissare un salario minimo che sia rispondente al dettato dell’articolo 36 della Costituzione, in termini di corrispondere ai lavoratori una “retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato”.

Il provvedimento si qualifica in questi termini:

Secondo l’articolo 2, la retribuzione non deve essere inferiore a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, e comunque non inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali. La relatrice chiarisce che il disegno di legge non solo ricorre al rinvio mobile al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), stabilendo un limite sotto al quale non è possibile fissare le retribuzioni contrattuali, ma soprattutto fornisce indicazioni sia per quanto riguarda la tecnica di selezione dei soggetti abilitati a contrattare il contratto collettivo parametro, sia per quanto concerne l’area di applicazione del CCNL di riferimento.

Stiamo ora ascoltando e leggendo le solite frasi fatte che hanno caratterizzato il martellamento propagandistico sul reddito di cittadinanza: “in Europa ce l’hanno tutti”, “ce lo chiede l’Europa”, e così spero di voi. Ovviamente le cose non stanno in questi termini. I più spericolati commentatori nostrani già lanciano il salario minimo statunitense a 15 dollari l’ora, al grido di “facciamo come l’America!”, ma sono dettagli di colore, oltre che di provinciale ignoranza economica.

Torniamo al punto: come commentare l’iniziativa pentastellata? Di certo e come minimo con cautela. Perché se obiettivo è quello di regolare i lavori in ambiti che sfuggono alla contrattazione collettiva, e se c’è un tentativo di estendere ad essi gli esiti contrattuali, la fissazione di un salario orario minimo comunque non inferiore a 9 euro lordi orari, indicizzati all’inflazione, solleva dubbi e rischia di causare i soliti effetti avversi e le abituali unintended consequences.

Scrive la relatrice pentastellata, a preambolo dell’iniziativa legislativa:

In Italia l’11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, mentre 5,7 milioni di giovani rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà.

Si punta quindi al salario minimo per dare dignità di sussistenza ai cosiddetti “lavoretti” o “lavori poveri”, che sono o dovrebbero essere quelli a minore produttività. Già questa rischia di essere una pesante contraddizione in termini. Quella soglia di salario minimo semplicemente potrebbe essere tale da non corrispondere al prodotto marginale di date prestazioni.

Il ddl si presenta inoltre come “union friendly“, amichevole verso il sindacato, riconoscendone a tutelandone la centralità nella contrattazione. E già questo sta facendo salivare copiosamente i tifosi di una love story tra il Pd zingarettiano e il (morente) M5S. Ma fissare anche la soglia retributiva minima rischia in realtà di disintermediare il sindacato. Far riferimento a “settore” e “territorio” è utile ed interessante, perché “sembra” tenere in considerazione che dovrebbero esistere livelli retributivi variabili in funzione della produttività, sia aziendale che territoriale. Ma poi, come detto, si mette la zeppa dei 9 euro lordi orari. E buonanotte alla sacralità dell’autonomia contrattuale sindacale.

Qualcuno dei proponenti ha fatto studi per verificare il livello mediano delle retribuzioni, ripartito per settori e territori? E qualcuno si è anche accorto che negli altri paesi il salario minimo rappresenta una frazione della retribuzione mediana, di solito intorno al 50%?

Perché il problema è quello: un salario minimo troppo elevato rispetto alla realtà (cioè all’equilibrio di mercato) produce disoccupazione e lavoro nero. Stiamo per caso riproducendo l’errore capitale del reddito di cittadinanza? Pare proprio di sì. Cioè fissare la soglia di povertà relativa, fregarsene delle differenze territoriali di potere d’acquisto e procedere, ponendo le basi per un crollo dell’offerta di lavoro “in chiaro”.

So quello che alcuni tra voi stanno per ribattere a queste mie considerazioni: e allora, che si fa? Andiamo avanti a pagare salari da fame? Ho già risposto: guardare alla produttività ed ai modi per innalzarla, e solo dopo redistribuirla. Invece mi pare che prevalga l’impostazione da sinistra fallita accademica, che inverte il flusso causale: forzare un gigantesco aumento del costo del lavoro per spingere le aziende verso la digitalizzazione e l’automazione (non ridete).

Il problema è che esistono e continueranno ad esistere “lavoretti” con produttività strutturalmente bassa, anche se questo paese riuscisse a robotizzarsi entro pochi anni. Per tali “lavoretti” ci saranno sempre e solo retribuzioni molto basse. Forzare al rialzo quelle ufficiali produrrà solo l’effetto di spostare la domanda di lavoro sul nero. Se anche voi considerate i ciclofattorini come nuovi schiavi della società a basso valore aggiunto, sono disposto a darvi ragione. Ma l’alternativa non è fare scomparire quel lavoro, vietandolo, né portarlo a vette di produttività tali da poter pagare retribuzioni da terziario avanzato bensì inabissarlo nell'”informalità”. Se riuscissimo a non essere ipocriti, sarebbe già un grande passo in avanti.

Iniziative di questo tipo sono coerenti con l’impianto ideologico dei pentastellati, che è quello che ope legis abolisce la povertà. Perché stupirsi? L’esito di queste misure sarà l’ulteriore contrazione di offerta di lavoro nel paese occidentale e sedicente sviluppato che ha già il minor tasso di partecipazione al mercato del lavoro regolare.

Se poi volete una mia prescrizione in materia, eccovela:

  • Decentrare la contrattazione collettiva, per meglio riflettere le differenze territoriali, settoriali ed aziendali di produttività;
  • Gestire il fenomeno dei working poor attraverso misure di welfare come l’Earned Income Tax Credit, che non disincentiva l’offerta di lavoro ed integra la retribuzione;

A proposito di salario minimo, forse servirebbe nel caso del bando del MEF

[…] per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito sul diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario, dei mercati e intermediari finanziari.

Per il quale si richiede, oltre all’inglese fluente,

Consolidata e qualificata esperienza accademica e/o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari

Per un incarico biennale non rinnovabile. “A gratis”. E sapete come si arriva a questa follia? Per una previsione contenuta in una manovra estiva di “stabilizzazione finanziaria” approvata dal governo Berlusconi, il d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, che ancora grava sulle amministrazioni pubbliche prevedendo, tra l’altro, il taglio delle spese per consulenze pari all’80% della spesa 2009 (è consentito quindi solo il 20%). Ora, poiché il ministero non ha possibilità di impegnare la spesa, visto che a fine febbraio ha già raggiunto il tetto, si pubblica un bel bando per incarichi di consulenza gratuita, con grande sprezzo del ridicolo e della decenza, oltre che di misure velleitarie come l’equo compenso.

Ecco, magari pensare a misure di decenza minimale per evitare che il “salario minimo” di attività di consulenza altamente qualificata alla PA sia pari a zero euro, non guasterebbe. Ma prima vengono gli amici degli amici, soprattutto quelli del paesello, secondo il rapporto “fiduciario” col politico pro tempore.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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