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Torino cine-car (prima parte)

Torino in continua mutazione, Torino in cui le idee e l’arte e le avanguardie nascono e poi fuggono dimenticandola, Torino eterna città delle macchine.
Torino rimessa a nuovo per il centenario, per le olimpiadi, per il design, per il centocinquantenario. Torino, pare che ogni occasione sia buona per una riverniciata, per ripulirla dall’olio di motore di quella FIAT che ne ha decretato destino, costumi e abitudini per decenni.
Torino, che continua a emergere senza vergogna con il proprio carattere di città dalle idee nascenti, città delle macchine, nostrana Detroit senza amerikani e senza troppo rumore; un reportage, poche immagini per una lunga storia che attraversa quasi mezzo secolo di cambiamenti urbani: cantieri, degrado e rinascita, per dipingere una mutazione di esasperante lentezza, indipendente dal tentativo di globalizzazzione che non riesce a starle addosso più di tanto.

Il ventennio compreso fra gli anni ’50 e ’70 ha visto sulla scena politica di Torino due momenti fortemente contrapposti. Il primo decennio si getta alle spalle il ricordo della Grande Guerra e vede nascere, dalla classe operaia prima e dai movimenti studenteschi in seguito, una coscienza di classe: questa è destinata a diventare un fatto dalle proporzioni sempre più ampie.
 
Nel momento successivo vediamo il pensiero “urbano” spostarsi verso una sinistra ideologica: i movimenti e le idee che fervono in quegli anni da sogno si trasformano sempre più nella degenerazione ideologica, che finirà per ricadere sotto la logica del terrorismo. Nasceranno, fra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, oltre i confini di quella sinistra culturale ed attivista, veri e propri demoni. Saranno corresponsabili con i poteri forti e la paura, delle logiche repressive che hanno tracciato la storia degli anni di piombo.
 
L’apparente disordine di quel ventennio è nato dall’esigenza di rinnovamento e ha seguito una linea evolutiva precisa. Torino è stata anche il tramite ideale che ha aperto la strada a rivolgimenti di maggiore portata nel mondo dell’arte, in Europa e negli Stati Uniti.

Derrick De Kerchove chiacchiera seduto davanti al palazzo del Comune. Torino, 2008 (E.Miglino/Juma)

Attraverso Torino sono transitate idee e personaggi che hanno tessuto per anni un complesso intreccio di relazioni, lasciando una profonda memoria storica. Parliamo di forme d’arte e modalità di espressione entrate in collisione con la tradizione contemporanea, e sono state capaci di definire un nuovo punto di partenza per la contemporaneità figurativa e rappresentativa.
 
Uno degli artefici di queste mutazioni, artista torinese d’adozione, che andrebbe ricordato per l’attività condotta anche sul piano culturale; è stato capace di diventare il referente di movimenti che hanno caratterizzato la scena torinese di quegli anni (siamo sempre nel ventennio ‘50-‘70) trasformando la città nel polo di un’avventura internazionale. Ma Piero Simondo preferisco ricordarlo in modo diverso, come l’ho conosciuto molti anni dopo, verso la metà degli anni ottanta (attualmente vivente, nda). Gli anni e le battaglie non hanno inciso sul suo desiderio di cambiare: il terreno che gli è più prossimo dopo quello artistico, la didattica, è stato nuovamente il punto di partenza per ripercorre la logica innovativa con cui si è mosso insieme ai suoi contemporanei. Per Simondo allora - al pari di alcune timide iniziative di arte tentata che a Torino stanno provando, osteggiate a rinascere oggi - il terreno è la metodologia. Il disordine creativo è un’esigenza di vita, un caos apparente da cui nascono le idee innovative e le avanguardie culturali. Da sempre, anche nella città delle macchine.
 
Le idee sono indifferenti al mezzo, la creatività è qualcosa che sta dentro. I mezzi cambiano insieme alle situazioni per rappresentare, ma vi è sempre spazio per la ricerca. A questa segue la teorizzazione, il mezzo per formalizzare temporaneamente quanto appena scoperto. Lo stile è quello di Torino: un’aria sonnacchiosa e musona che nasconde energie inarrestabili di sangue, ferro e colori.

Tempo dopo, Hollywood

Derrick De Kerchove chiacchiera seduto in Piazza Castello, davanti al palazzo della Regione. Torino, 2008 (E.Miglino/Juma)

Vi sono situazioni e luoghi che il tempo trasforma in verità, tanto da non richiedere più alcuna verifica storica: punto di partenza di una nuova storia ufficiale. Ma non sempre le radici dei fatti si trovano nei luoghi e nei tempi che la convenzione ci propone. Il rapporto fra Hollywood e il cinema non è altro che parte della grande finzione attorno cui ruota la macchina cinematografica.
 
La Garbo discende dalla Bertini, Bette Davis dalla Borelli, Douglas Fairbanks da Maciste e De Mille da Quo Vadis?, scrive Langlois nel 1954. Nel primo decennio del secolo Torino é la capitale del cinema; Italy’s film center è il titolo dell’articolo di Stephen Bush, inviato della rivista americana «The Moving Picture World» nel 1913, in cui esalta il ruolo di preminenza internazionale delle case torinesi: dall’Itala all’Ambrosio alla Pasquali e Savoia.
 
L’invenzione scenografica del primo cinema italiano, che troviamo in Cabiria (realizzato nel 1914 da Giovanni Pastrone con la collaborazione di Gabriele D’Annunzio), vede il suo momento più elevato, che modificherà la forma dello spettacolo cinematografico nelle realizzazioni future.
 
"Mon cher ami,
Vous qui êtes déterministe, écoutez bien: le sptième jour du septième mois de l’année, à 7 heures du soir, sept fondateurs ont soussigné l’acte de fondation du Musée de Turin. [...]"
 
Con questo atto legale, Maria Adriana Prolo trasforma Torino in uno dei punti centrali nel mondo della memoria delle immagini cinematografiche. Questo predominio culturale però defluisce lentamente: verso Roma per il cinema italiano e verso Hollywood simbolo del grande cinema, dagli anni cinquanta in poi per la cinematografia internazionale.

 
La zona dei grattacieli di Italia ’61 dalla collina di Moncalieri. Torino, 1980 (E.Miglino)

Non solo Torino diventa in breve la periferia dell’immaginario cinematografico, ma gli stessi registi italiani, ad esclusione di pochi casi isolati, non colgono negli anni successivi il senso delle modificazioni che hanno luogo nella città "monopolio dell’automobile". Sembra sempre più difficile rendere atto a questa città dei suoi potenziali narrativi e politici. Ad eccezione di Mario Soldati (Le miserie ’d Monsù Travet, 1946, Fuga in Francia, 1948) che suggerisce la ricerca delle radici dell’identità nazionale nella capitale piemontese, Torino non appare come un luogo capace dello spessore da valere la pellicola. A questo contribuisce il luogo comune di un Piemonte cinematografico pieno di stereotipi letterali, la classica cadenza piemontese che semmai allontana la visione cinematografica dalla realtà in una parodia che assume i toni del grottesco.
 
Uno scorcio di ponte Vittorio Emanuele dai Murazzi sul PO. Torino, 2007 (E.Miglino)

Un risveglio compare agli inizi degli anni sessanta (Omicron di Gregoretti) in cui Torino riacquista una propria identità. Certo è che la città contiene inconsciamente implicazioni le cui radici storiche affondano la memoria nei secoli, tant’è che mai più promossa a ruolo di città del cinema, periodicamente i grandi registi (Soldati, Antonioni, Lizzani, Scola, Lattuada, Monicelli, Wertmüller, Tornatore) hanno fatto muovere la macchina da presa per le vie del centro di Torino.
 
Torino - Detroit

"La vecchia Torino era morta e non ne era nata una nuova", scrive Norberto Bobbio a proposito di quel periodo e in effetti il suicidio di Pavese nel 1950 conclude simbolicamente un’epoca. Naturalmente l’influenza di questo fatto e l’assassinio di Pasolini negli anni successivi hanno anche decretato la morte del neorealismo Italiano, di ben maggior impatto emotivo sia nel mondo dell’arte che della cultura e della politica.
 
Da quel momento Torino, costituita da classi che sono veri e propri mondi separati, politici, cattolici, sindacalisti, comunisti e operai diventa una città dell’industria e del lavoro. Da un lato è teatro di uno scontro politico e di classe mentre dall’altro sembra, per tutto il decennio del 1950, la Detroit italiana. L’ideologia dell’auto di massa (è di quegli anni la nascita della vetturetta) diventa un simbolo di consumo, di identificazione collettiva e di unificazione nazionale.
È un momento in cui l’artista non è più individuabile salvo rare eccezioni, ma ben presto, venticinque anni dopo, la crosta di superficialità culturale scricchiola; la città, organizzata su modelli culturali che rispecchiano troppo superficialmente una parvenza di contenuti, inizia a mostrare un nuovo volto.
 
Piazza Vittorio Emanuele, completamente ristrutturata e chiusa al traffico. Torino, 2007 (E.Miglino)

I rivolgimenti politici della fine degli anni cinquanta, fra cui l’apertura a sinistra dei cattolici proposta da Amintore Fanfani al consiglio nazionale DC appoggiata da Angelo Roncalli (eletto papa nel 1958), non possono non influenzare l’attività culturale della città. Già dalla fine degli anni ’50 prende il via un’inversione di tendenza: sono del ’59 le prime manifestazioni studentesche, anche se il sessantotto è ancora lontano. L’epoca dell’alienazione sta lasciando il posto al decennio dell’impegno.
 
Tra il 1960 e il 1962, ultimi tre anni del boom economico, Torino accredita l’impronta del nuovo decennio. Sono gli anni dell’impegno in cui l’arte abbraccia la cultura e le ideologie, in contrasto con il sistema padronale, mentre si fanno strada le prime azioni di sensibilizzazione su fenomeni fino ad allora taciuti: studi sociali sull’immigrazione, sulla situazione meridionale, utilizzo del mezzo artistico come strumento di informazione e contro informazione.
 
Piazza San Carlo, ancora adibita a parcheggio. Torino, metà anni novanta (E.Miglino)

Nel 1962, Paolo e Carla Gobetti (i figli di Piero Gobetti) realizzano la pellicola documentario Scioperi a Torino, mentre nel 1966 Paolo Gobetti fonda l’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza.
 
Mentre le scintille della rivoluzione culturale stanno per trasformarsi in una fiammata che sconvolgerà l’Europa, a Torino nel 1968 viene assegnata la targa A00000: sono state prodotte un milione di automobili, il treno inarrestabile della rivoluzione culturale che caratterizzerà con un solco profondo il pensiero dei prossimi trent’anni è partito.

Antica fonderia Mandelli, un esempio di struttura di archeologia industriale completamente abbandonata. L’ultima funzione a cui è stata adibita è deposito/discarica del materiale di scavo proveniente dalla costruzione della linea metropolitana. Torino al confine con Collegno, 2002 (E.Miglino)
Antica fonderia Mandelli. Torino al confine con Collegno, 2002 (E.Miglino)
Antica fonderia Mandelli. Torino al confine con Collegno, 2002 (E.Miglino)

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