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 Home page > Tribuna Libera > Torino, Firenze, palazzo Madama: senz’anima e senza cervello

Torino, Firenze, palazzo Madama: senz’anima e senza cervello

Non ho né la prospettiva storica né il necessario distacco emotivo per comprendere appieno quel che sta accadendo al nostro paese; posso solo costatare che, in tanti nostri connazionali, pare sia morto quel che chiamo lo spirito italiano.

Non ho una visione idealizzata della nostra società del passato; era chiusa, disabituata al diverso, e quindi incapace di istaurare un rapporto equilibrato con le persone e le culture con cui veniva in contatto. In perenne bilico tra l’accettazione entusiastica del nuovo (non parlo solo di mode e costumi, della musica di Glenn Miller o dei blue jeans. Uno dei miei pochi amici di gioventù era un ragazzo nigeriano, titolare di una borsa di studio, mio vicino di casa nel paesotto brianzolo dove sono cresciuto. Morivo d’invidia, nei suo confronti, per l’interminabile codazzo di ragazze che, attratte dal suo esotismo, gli cadevano letteralmente ai piedi) e il rifiuto di chi non si atteneva alle regole della convivenza (Sinti e Rom, nomadi dentro una società sedentaria, non hanno mai avuto una vita facile) o di chi era percepito come un competitore diretto nella lotta per la vita.

Meridionali, veneti e valligiani, gli immigrati delle grandi città del nord e delle loro periferie, erano accomunati nello stesso malcelato disprezzo; erano i nuovi e improvvisamente arrivati che alteravano il mercato del lavoro e rompevano equilibri sociali vecchi di secoli.

Il razzismo antimeridionale di allora, a volte terribile, era però qualcosa di assolutamente superficiale; una reazione istintiva, mormorata e quasi mai urlata, di cui spesso si vergognavano gli stessi razzisti, destinata a sparire nel giro di pochi anni. Nel tempo necessario ad imparare a mangiare la pizza o a scoprire il piacere “perverso” di un pepineddu di quelli giusti nel sugo; nel tempo necessario, soprattutto, perché i figli dei Brambilla iniziassero a sposare i figli degli Esposito.

L’integrazione, che negli anni ’80, un ventennio dopo le grandi ondate migratorie, era già ben avviata, è oggi tanto completa da far sì che, per amara ironia, tanti figli e nipoti di meridionali (uno per tutti? Beh, il Trota) votino Lega. Un precedente che mi sono illuso potesse ripetersi (e in parte sta accadendo) addirittura più facilmente con gli stranieri, di ogni parte del mondo, che arrivano ora tra noi alla spicciolata; in numeri che nulla hanno a che vedere con quelli dell’immigrazione degli anni ’50 e ’60.

A rendere le cose più difficili contribuiscono certo fattori oggettivi (le differenze linguistiche e religiose come il fatto che sia assai più difficile trovare spazio ai nuovi arrivati in un’economia che ristagna), ma, soprattutto, il mutato clima culturale e politico: i razzisti che un tempo mugugnavano nei bar, oggi sono presenti nel nostro parlamento e fino a poche settimane fa erano al governo.

Non solo, come accade purtroppo in tutti o quasi i paesi europei, movimenti neo-nazisti infestano la rete e hanno le proprie catacombe nelle nostre principali città; personaggi decisi a sfruttare i peggiori sentimenti della popolazione (l’onorevole Borghezio, certo, ma come dimenticare il “simpatico” Salvini) per i propri fini politici hanno avuto a propria disposizione tutte le risorse mediatiche di un grande partito politico.

La propaganda razzista (che certo non diffonde il razzismo, ma, altrettanto certamente, fornisce giustificazioni e motivazioni a chi razzista è già) in Italia non è stata fatta solo dai circoli di estrema destra, oggi sotto accusa per quel che è accaduto a Firenze; è finita sui muri di tutta l’Italia settentrionale grazie ai manifesti della Lega ed è arrivata nelle televisioni e nelle radio grazie alla parole dei suoi esponenti.

Per la prima volta nella nostra storia, essere razzisti in pubblico non è una vergogna. Le espressioni razziste non qualificano come mentecatto chi le usa; possono essere, anzi, l’inizio di una brillante carriera.

Se le leggi razziali del fascismo rimangono una delle pagine più vergognose della nostra storia, il comportamento della nostra comunità nazionale nei confronti degli Ebrei, durante la seconda guerra mondiale, forze armate assolutamente comprese, rappresenta viceversa uno dei culmini di quello che mi ostino a considerare il vero spirito italiano.

Le pagine che Hannah Arendt dedica al nostro Paese nel suo “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” testimoniano la capacità dei nostri nonni di reagire di fronte a quel che consideravano ingiusto, dicesse quel che voleva la propaganda ufficiale, rischiando le proprie vite pur di aiutare i perseguitati; raccontano quanto grande fosse, fino a ieri, l’anima italiana.

Un’anima che stiamo perdendo, chiusi a riccio nelle nostre paure; che ci stiamo lasciando strappar via poco a poco, un’istigazione all’egoismo dopo l’altra, un’idiozia, magari ripetuta dai media, dopo l’altra.

Poi apro il giornale e leggo che senatori leghisti hanno contestato Mario Monti inalberando cartelli con la scritta “basta tasse”. Se, dopo averli lasciati governare per quasi un ventennio, continueremo a dare credito a questi populisti, vorrà dire che, oltre all’anima, avremo perso anche il cervello.

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