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Testamento biologico: c’è Speranza per la banca dati delle Dat?

La legge 219/17 che ha istituito la Disposizione Anticipata di Trattamento (Dat), nota anche come Testamento biologico, è una delle grandi incompiute nel panorama legislativo italiano riguardo ai diritti civili.

 Allo stato attuale l’unica possibilità di archiviazione delle Dat è data dai registri istituiti in vari Comuni virtuosi, il che riduce al lumicino l’efficacia di questo strumento. Per i medici è a dir poco difficile, se non proprio impossibile, accedere ai registri comunali e non sempre c’è la possibilità di ricorrere al fiduciario. Come depositario della Dat rimarrebbe lo stesso disponente, ma se il disponente è in grado di fornire la sua Dat è anche in grado di esprimere direttamente la sua volontà in merito ai trattamenti proposti. Alcuni Comuni, poi, non hanno mai istituito un vero e proprio registro locale ma si limitano semplicemente alla mera raccolta delle Dat.

La piena operatività dell’intero meccanismo non potrà che essere raggiunta attraverso l’istituzione della banca dati nazionale prevista dalla stessa legge, cioè una struttura informatizzata alla quale potranno avere accesso disponenti, fiduciari e soprattutto medici da qualunque parte del territorio nazionale. Non bisogna infatti trascurare il problema dei cambi di residenza, oltre a quello che spesso dai piccoli centri si è costretti a spostarsi per poter ricevere adeguate cure e trattamenti sanitari; in questi casi non esiste alternativa a una struttura nazionale centralizzata. Purtroppo però, nonostante la legge di bilancio 2018 abbia fissato il 30 giugno dello stesso anno come termine ultimo per l’istituzione della banca dati, mediante emanazione di apposito decreto da parte del Ministero della Salute, il traguardo tuttora non si scorge. Ad oggi quel termine è già stato sforato di ben oltre quindici mesi.

L’Associazione Luca Coscioni aveva già diffidato la precedente titolare del dicastero, la pentastellata Giulia Grillo, che però ha respinto l’addebito nei suoi confronti tirando in causa il Ministero dell’Interno, all’epoca diretto da Matteo Salvini, ed evidenziando che è stato necessario acquisire pareri da parte di organi terzi. In effetti non aveva tutti i torti, fatto sta però che i termini di legge sono stati oggettivamente violati. Nel frattempo le cose sono andate avanti: il parere del Consiglio di Stato è stato acquisito a luglio 2018, in seguito è arrivato anche quello del Garante per la privacy nel giugno di quest’anno e, infine, anche quello della Conferenza Stato-Regioni, che era l’ultimo atteso, è arrivato il 25 luglio.

Da quest’ultimo atto sono passati quindi due mesi e mezzo. Al Ministero della Salute c’è adesso Roberto Speranza, unico rappresentante di LeU al governo dopo la crisi che ha portato al venir meno della maggioranza giallo-verde in favore della nuova giallo-rossa, ma la situazione sembra non volersi comunque sbloccare. Eppure lo schema di decreto è ormai pronto da tempo, si tratta giusto di apportare gli ultimi ritocchi. Non si capisce perché lo stallo perduri e adesso anche il Tar è stato chiamato in causa dall’Alc contro il ministero di Speranza, pur con l’auspicio, o forse sarebbe il caso di dire nella speranza, che il loro ricorso possa essere vanificato dal tanto agognato decreto ministeriale.

Anche l’attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico nelle varie Regioni italiane procede spedita. Le uniche in cui la sua istituzione non è ancora partita sono la Calabria e la Campania. A regime il Fse, già citato sia nella legge 219/17 che nello schema di decreto ministeriale, potrebbe diventare il principale strumento di acquisizione delle Dat, essendo stato pensato proprio per mettere a disposizione dei medici tutti i dati dei cittadini che lo hanno attivato. Resta solo da vedere quale sarà l’esito dei lavori parlamentari a seguito del recente pronunciamento della Corte costituzionale sulla liceità del suicidio assistito in determinati casi, e come questo potrà impattare sul contenuto delle Dat e sulla banca dati nazionale che le raccoglierà. Ma questa è un’altra storia.

Massimo Maiurana

Foto: Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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