Se l’Italia difende la propria unità con la forza della repressione
“Siccome la relazione su questo disegno di legge venne comunicata ai signori deputati un po' tardi, e probabilmente molti non hanno potuto farne lettura, sarà forse conveniente che il signor relatore ne dia comunicazione alla Camera”.
“Prima di pubblicare il risultato della votazione, debbo notare che due deputati hanno dichiarato di essersi sbagliati nel porre il voto nell'urna; uno ha messa la palla nera nell'urna bianca e la palla bianca nell'urna nera, mentre voleva votare in senso favorevole; l'altro ha deposta la palla nera nell'urna bianca e non ha più deposta la palla nera nell'altra urna. Fatte queste premesse, pubblico il risultato della votazione”.
Poi, profondo silenzio.
Presenti e votanti 294. Maggioranza 148. Voti favorevoli 292. Deposti, come ho indicato, 2. E: "Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d'Italia".
Il 17 marzo 1861 la Gazzetta del nuovo Regno d'Italia pubblicò l'atto.
Quasi due secoli per l'Unità d'Italia. Un Paese giovane, talmente giovane, che per difendere la propria unità, altre vie non conosce che quelle repressive. E rispondere all'idea con la repressione, questo è sintomo di debolezza e anche di mancanza culturale. Non scrivo né da nazionalista, né da patriota. Ma rifletto e non posso che riflettere sul fatto che quando uno Stato spende e spande immense energie repressive per contrastare sintomi di malessere sociale, che sfociano in sentimenti indipendentisti o secessionisti o autonomisti, ciò altro non vuol significare che questo Stato ha paura.
D'altronde nulla è eterno, tutto è destinato, non per fato, ma per esigenze sociali ed economiche, a mutare. Oggi, l'Italia, teme la base della democrazia. Per ragioni diverse, dalla Sicilia a Trieste, dalla Lombardia al Veneto alla Sardegna, si diffondono animi separatisti, ognuno caratterizzato da profonde specificità, che non possono essere messe in un solo contenitore, che non possono costituire un solo insieme, anche se probabilmente per ragioni strategiche vi sarà un naturale coordinamento, poiché l'Italia è complessa, è costituita da diverse identità territoriali, diversi dialetti e lingue, da tante minute particolarità che hanno determinato il pensiero di popoli che dovrebbero formare la popolazione italiana, ma non il popolo italiano, perché il popolo italiano non esiste.
L'Italia, per difendere se stessa, la propria conquistata unità, con il sangue e le rivoluzioni, dovrebbe ricorrere a quella cultura, a quella letteratura, a quello spessore sociale, che venne richiamato nella seduta del 14 marzo del 1861. Certo, l'Unità d'Italia venne conseguita con la forza, e trovò legittimazione e megafono e voce anche e soprattutto nella cultura di "sistema", ma una volta ottenuta, non la si può certamente oggi difendere e rivendicare con la forza della repressione.
Non sono sicuramente tollerabili atti di violenza reazionaria da nessuna parte e controparte, ma la violenza repressiva scatena e provoca reazione violenta. Occorre intelligenza e comprensione, dialogo e confronto, occorre analisi critica e sociale, occorre capire il motivo per cui oggi si strumentalizza, in molti casi, la voglia d'indipendenza, la storia di intere realtà territoriali, per fini altri, che fomentano o rischiano di fomentare illusioni e disillusioni. Ma queste illusioni e disillusioni, se devono essere ricondotte alla realtà delle cose, lo si deve fare con la forza dell'idea. Altrimenti l'Italia altro non farà che mostrare sì i muscoli, ma semplicemente perché non ha altre argomentazioni che quella fisica, della forza, e un corpo senza mente è destinato a perire, e anche in cattivo modo.
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