Scienza e religione sono veramente nemiche, dopotutto
Una recente ricerca mostra come i paesi e gli stati Usa più religiosi producano un numero minore di brevetti in rapporto alla popolazione.
Libri antievoluzionisti del cristiano evangelico T.T. Martin in vendita a Dayton, Tennessee (1925, scena tratta dal processo Scopes). AP
Scienza e religione sono condannate a un’eterna guerra, o potrebbero semplicemente convivere? Filosofi, teologi, scienziati e atei dibattono all’infinito su questo argomento, e spesso con toni accesi. Sulla questione, in genere, sentiamo dire molto meno dagli economisti, ma in un recente studio l’economista Roland Bénabou e due suoi colleghi di Princeton sono giunti a un risultato sorprendente che potrebbe inasprire il conflitto: sia tra i paesi del mondo che tra gli stati Usa, livelli più alti di religiosità sono correlati a livelli più bassi di innovazione scientifica.
“Paesi con elevati livelli di religiosità presentano modesti livelli di innovazione scientifica e tecnica, in termini di numero di brevetti per abitante”, spiega Bénabou, aggiungendo che questa tendenza persiste anche “quando si tiene conto delle differenze, esistenti nella popolazione, nel reddito pro capite e nei livelli di istruzione”.
Questa è la constatazione più saliente scaturita dallo studio di Bénabou e dei suoi colleghi, studio che utilizza un modello economico per analizzare come le interazioni tra innovazione scientifica, religiosità e potere statale possano produrre “regimi” differenti. I tre tipi identificati di regime sono: un regime secolare, di tipo europeo, dove la religione ha pochissima influenza politica e la scienza trova grande sostegno; un regime repressivo, teocratico, dove stato e religione si alleano per soffocare la scienza; e un regime intermedio, all’americana, nel quale sia religione che scienza prosperano, con uno stato che sostiene la scienza e dove le religioni, perlopiù, tentano di adattarsi.
Nel corso di questa indagine sui rapporti tra scienza, religione e stato, i ricercatori si sono lanciati in un’analisi dei brevetti, sia negli Stati Uniti che nel mondo intero. E i risultati sono a dir poco sorprendenti.
Dapprima i ricercatori hanno osservato i dati grezzi sul numero di brevetti per abitante (presi dalla World Intellectual Property Organization) e sulla religiosità (basata sulla seguente domanda del World Values Survey: “Indipendentemente dal fatto che lei vada a messa oppure no, direbbe di essere: a) una persona religiosa, b) una persona non religiosa, c) un ateo convinto, d) non saprei”). Essi hanno trovato una “forte correlazione negativa” tra i due. In altre parole, per vari paesi del mondo, una maggiore religiosità si lega a un minor numero di brevetti per abitante residente nel paese stesso.
Questi dati non sono mostrati qui, comunque, giacché sarebbero per molti aspetti troppo semplicistici per un’analisi. È chiaro che molti altri fattori, oltre alla sola religione (salute, istruzione, e così via), influenzano il numero di brevetti di un paese. Ciò che tuttavia colpisce è che, dopo che gli autori hanno eliminato almeno altre cinque variabili correlate all’innovazione (popolosità, livello di sviluppo economico, livello di investimenti stranieri, livello di istruzione, e copyright sulla proprietà intellettuale), la relazione persisteva ancora. Il grafico seguente mostra come si presentano i dati dopo l’applicazione di questi filtri di controllo:
I paesi più religiosi mostrano minore innovazione scientifica. Relazione tra la religiosità di un paese e il numero di brevetti per abitante, dopo il filtraggio di fattori includenti PIL, livello di istruzione, e grado di protezione delle proprietà intellettuali. In ordinata: Innovazione (dato residuo), in ascissa: Religiosità.
Da notare che Giappone e Cina si evidenziano come paesi molto laici e molto innovativi. All’altro estremo, invece, troviamo nazioni come Portogallo, Marocco e Iran (l’analisi completa dello studio includeva anche i dati degli anni 1980 e 1995, che qui non sono mostrati. Vengono riportati solo i dati del 2000).
Un punto importante da tener presente, prima di confrontare i paesi l’uno con l’altro, è il seguente: la figura sopra riportata non deve essere interpretata come se significasse che, ad esempio, la Cina producesse più brevetti per abitante rispetto agli Stati Uniti. In effetti, ciò non è propriamente corretto: nel 2012, mentre i Cinesi residenti registrano un totale di brevetti (560.681) superiore a ogni altro paese, inclusi gli Stati Uniti (460.276), questi ultimi registrano però un numero maggiore di brevetti per abitante, in quanto la loro popolazione è meno di un terzo di quella cinese. Piuttosto, ciò che questi risultati evidenziano è che, dopo il filtraggio degli altri fattori, la Cina mostra di avere più innovazione residua inspiegata rispetto agli Usa.
Per gli amanti della statistica: ciò di cui si parla qui sono i valori residui dopo una regressione lineare. Sono proprio questi valori residui — le differenze nell’innovazione che non possono essere spiegate da altri fattori — che i ricercatori affermano essere associate alla religione. [1]
Gli autori quindi applicano una simile analisi ai 50 stati Usa, in questo caso usando dati sui brevetti dell’US Patent and Trademark Office, e questionari sulla religione tratti da un Pew Survey del 2008, che includeva la seguente domanda: “Quanto importante è la religione nella vostra vita?: a) molto importante, b) abbastanza importante, c) non troppo importante, d) per nulla importante”. Qui di seguito i risultati, dopo il filtraggio applicato al prodotto interno lordo pro capite, al livello di popolosità, e al livello di istruzione:
Gli stati più religiosi mostrano minore innovazione scientifica. Relazione tra la religiosità di un Paese e il numero di brevetti per abitante, dopo il filtraggio di fattori includenti popolazione, livello di istruzione, e PIL. In ordinata: Innovazione (dato residuo), in ascissa: Importanza della religione.
Da notare che stati come il Vermont e l’Oregon sono altamente innovativi e non molto religiosi, mentre l’innovazione rallenta in stati come l’Arkansas e il Mississippi, dove la religiosità cresce. Tra l’altro, gli autori dello studio sottolineano che, per quanto gli stati della Bible Belt tendano a mostrare sia una maggiore religiosità che una minore innovazione, tuttavia i risultati non dipendono unicamente da essi. Scrivono infatti che “L’associazione negativa resta valida per tutto il campione”.
Ancora una volta, prima di provare a confrontare gli stati l’uno con l’altro, occorre tenere in mente che la figura sopra non significa che il Delaware o l’Idaho producano più brevetti pro capite del Massachussetts o della California. Significa semplicemente che il Delaware e l’Idaho hanno più innovazione residuale dopo che gli altri fattori sono stati considerati.
È importante ricordare che questi risultati sono per loro natura correlati; gli autori spiegano inoltre che i risultati stessi non permettono di “trarre inferenze causali definite” [2]. Il loro punto di vista è che la causalità probabilmente “va in ambedue le direzioni”: la religiosità reprime l’innovazione, ma allo stesso tempo l’innovazione e la scienza indeboliscono la religiosità. Come dicono loro: “In entrambi i gruppi di dati, quelli internazionali e quelli statunitensi, esiste una significativa correlazione negativa tra religiosità e innovazione (numero di brevetti pro capite), anche dopo avere controllato e filtrato via gli altri parametri empirici determinanti per l’innovazione stessa.”
Scendendo nel dettaglio, Bénabou pensa che molto si riduca al potere politico della popolazione religiosa in una data area. Se questo è forte abbastanza, potrebbe usare la propria forza per bloccare le nuove idee. “Pertanto, idee dirompenti, pratiche derivanti dalla scienza, progresso tecnologico e mutamenti sociali incontrano una maggiore resistenza e si diffondono più lentamente,” commenta Bénabou, citando varie cose: dai tentativi di controllare la scienza nei libri di testo agli sforzi per tagliare i fondi pubblici di certe tipologie di ricerca (ad esempio, sulle cellule staminali embrionali, o sulla clonazione di embrioni umani). Negli stati laici, per contrasto, “scoperte e innovazioni arrivano più rapidamente, e qualcuna di queste conoscenze inevitabilmente erode la fede nei dogmi”.
Quindi, che cosa ne pensano gli altri studiosi? “Si tratta di un risultato molto importante. Ed è stato realizzato correttamente, utilizzando le tecniche più recenti”, commenta Joel Mokyr, uno storico ed economista alla Northwestern University che conosce il lavoro di Bénabou e colleghi (viene ringraziato nei Riconoscimenti). Mokyr ammette che “l’innovazione è difficile da quantificare”, ma un modo ragionevole di farlo — sebbene imperfetto — è proprio quello di “conteggiare il numero dei brevetti”.
Questo sembra dunque rafforzare la tesi del conflitto scienza-religione: effettivamente, negli stati dove la religione predomina, la ricerca perde terreno.
[1] La regressione lineare può essere descritta in modo semplificato come una interpolazione di dati ottenuta con una retta. I valori residui sono le differenze di ogni dato del campione con la media del campione stesso (per questo motivo algebrico, la loro somma è sempre zero). N.d.T.
[2] Due variabili statistiche si dicono correlate quando all’aumentare o diminuire di una corrisponde l’aumentare o diminuire dell’altra (ciò non implica necessariamente relazione causale tra le due). N.d.T.
Study: Science and Religion Really Are Enemies After All, di Chris Mooney. Traduzione a cura di Giorgio Pozzo
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