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Arrestato Mimmo Lucano, il sindaco dell’accoglienza e solidarietà

Domenico Lucano, sindaco di Riace, è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione. Si tratta di una gravissima provocazione per chiunque pratichi solidarietà e creda in quella “utopia della normalità” portata avanti con coraggio da Mimmo.

 

Ci sono arresti che non possono proprio sembrare “normali”.

La Guardia di finanza ha arrestato e posto ai domiciliari il sindaco di Riace, Domenico Lucano, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. L’arresto è stato fatto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Locri su richiesta della Procura della Repubblica. Disposto anche il divieto di dimora per la sua compagna, Tesfahun Lemlem.

Domenico Lucano è diventato più conosciuto di quanto non lo è qualsiasi sindaco di un paese del Mezzogiorno per una ragione semplice: ha proposto, con le modeste risorse di cui dispone quel comune e quel territorio, un autentico laboratorio dell’integrazione. Un modello che funziona, toglie l’humus ai conflitti su base etnica o “di colore”, fa non solo “convivere” ma cooperare persone con culture ed esperienze molto, ma molto diverse.

Il reato di “immigrazione clandestina” è un’invenzione di Bossi e Fini, ed è il classico reato che produce “crimine” là dove non c’è. Fuggire da un paese in guerra o alla fame per i mutamenti climatici (o per le ruberie di “classi dirigenti”, complici servizievoli delle imprese occidentali) non è infatti un “reato”, ma una eventualità esplicitamente ammessa dalla legislazione internazionale.

Come fa una legge a creare criminali? Rendendo le persone “colpevoli” per il solo fatto di esistere e vivere, a prescindere dai comportamenti che terranno una volta entrati in un paese. Creando dei “colpevoli” quella legge impedisce che le persone possano trovare lavoro, ospitalità, attività regolari. Le costringe a stare in mezzo a una strada, creando così problemi di convivenza che altrimenti non esisterebbero o avrebbero dimensioni quasi irrilevanti.

Il “modello Riace” ha rotto questo schema, suggerendo così possibilità di integrazione – oltretutto a costo quasi zero! – e suscitando l’odio implacabile dei fasciorazzisti ora al governo. Lucano è così entrato spesso in polemica anche con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che è arrivato a definirlo “uno zero”.

Attacchi e indagini non sono nati oggi. Una fiction Rai sul “modello Riace” (con Beppe Fiorello nei panni del sindaco) non è mai stata mandata in onda, nonostante Mimmo fosse stato inserito nella lista delle personalità “più influenti al mondo”. Un anno fa la stessa procura aveva iscritto Lucano nel registro degli indagati con le ipotesi di concussione e truffa: in quel caso gli veniva contestato il sistema dei bonus e delle borse lavoro assegnati “al di fuori delle regolari procedure”.

Lo sappiamo, molti di voi penseranno: “ma una procura come quella di Locri, in un territorio dove da decine di anni i sindaci finiscono in galera perché espressione diretta della ‘ndrangheta, dove latitanti e faide non mancano, non ha proprio nulla di più importante da indagare?” Evidentemente le “pressioni dall’alto” vanno in altra direzione…

E’ naturalmente sempre possibile che un amministratore locale costretto a fare i salti mortali alle prese con un bilancio asfittico – il “patto di stabilità” europeo scende a catena da Bruxelles fino all’ultimo municipio di montagna – possa sbagliare in qualche passaggio burocratico; ma non sfugge che in questo caso non si sta parlando di “arricchimento personale”. Proprio l’accensione dei riflettori sull’esperienza di Riace, del resto, ha reso quell’amministrazione una “casa di vetro” (cosa che invece non si può certo dire per la Lega, partito del ministro).

Questa “operazione Xenia” – anche i nomi scelti a volte sono rivelazioni – somiglia insomma più a un attacco politico che non a una vera inchiesta “al di sopra di ogni sospetto”. Suona, politicamente, come una vendetta per aver dimostrato che nel nostro Paese si può essere accoglienti e si può combattere la deriva razzista e xenofoba insegnando e praticando solidarietà. La sua “colpa” è aver messo in piedi un modello che funziona. Un sistema che ha permesso di accogliere migliaia di migranti, di decine di nazionalità diverse, dando loro opportunità di formazione, con la creazione di decine laboratori. Ma quanto costruito in questi anni è molto di più. Ha permesso di creare decine di posti di lavoro per maestre, mediatori culturali. Lavoro per tutti in terra di disoccupazione e ‘ndrangheta. Mimmo Lucano ha creato cioè un circolo virtuoso, in cui tutti vincono. Rompendo la narrazione per cui “bianchi” e “neri” avrebbero interessi contrapposti.

L’arresto non colpisce solo lui. Riace va affossata perché funziona. Perché manda in corto circuito la logica della guerra tra poveri.

Clicca qui per il comunicato stampa della Procura di Locri

In sostanza, Lucano è accusato di…solidarietà. Si parla infatti della concessione di documenti, carte d’identità e licenze di matrimonio, oltre di non avere cacciato dai progetti dell’accoglienza chi secondo la cosidetta “legalità” delle istituzioni centrali andava abbandonato a se stesso.

Il ministro dell’Interno, Salvini, ci ha messo meno di un quarto d’ora per emettere la propria…sentenza, erigendosi a poliziotto, giudice e boia. Il tutto in 160 caratteri, quelli di un tweet: “Accidenti – scrive il segretario leghista – chissà cosa diranno Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia diimmigrati! #Riace”.

Moltissime invece le prese di posizione e vicinanza a Lucano, in parte raccolte, sempre su twitter, dall’account “Riace – Patrimonio dell’Umanità“.

Radio Onda d’Urto intervista Francesco Cirillo, giornalista, scrittore e attivista dei movimenti sociali, compagno calabrese, più volte a fianco di Lucano a Riace nelle sue iniziative solidali e di denuncia. Ascolta o scarica

e sentito il parere di alcuni abitanti di Riace con telefonate fatte a caso. Ve le proponiamo, come di consueto, senza filtri. Ascolta o scarica

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Diogene (---.---.---.49) 2 ottobre 2018 21:38

    Abbiamo capito, le leggi ed le regole ve le fate voi a vostro uso e consumo e gli altri crepino pure! Il fatto che le città siano piene di delinquenti e spacciatori e che centinaia di migliaia di immigrati illegali campino a sbafo a carico delle casse pubbliche andando ad intasare ospedali ed ambulatori già insufficienti per gli italiani (che pagano per avere tale servizio) a voi non interessa. Gli italiani vi fanno schifo (già poi che hanno votato in massa Salvini, chissà come mai). A voi interessa unicamente applicare le vostre folli ideologie terzomondiste a prescindere. Meno male che c’è ancora qualcuno con un po’ di buon senso e che vuol far rispettare le regole di civile convivenza. Sperando che non sia troppo tardi!

  • Di Enzo Salvà (---.---.---.64) 3 ottobre 2018 17:10
    Enzo Salvà
    A scanso di equivoci, Riace gode di Contributi Europei e dei finanziamenti SPRAR.
    La Procura di Locri, oggi asfaltata dal GIP, aveva già tentato la sortita facendo bloccare i Fondi SPRAR nel 2016, che il Ministero aveva dovuto sbloccare. 

    https://www.ilsole24ore.com/art/not...
    (ho scelto questo giornale per non essere accusato di terzomondismo)

    Mimmo Lucano ha forzato burocraticamente le norme? ha fatto bene, visti i ritardi nei trasferimenti, ma contro odio, strumentalizzazione, razzismo e xenofobia ha avuto il coraggio di metterci la faccia, per la popolazione di Riace e per i nuovi arrivati. 

    C’è anche chi si frega 49 milioni di euro e poi non va in galera, viene eletto al Senato della Repubblica ed i suoi successori/sodali restituiranno in comode rate per 76 anni e non certo per forzature burocratiche ma beccato con le mani nella marmellata. 

    Naturalmente il buon Diogene, a torto, pensa che ci siano milioni e milioni di poveracci per la strada, ma non capisce che questi servono proprio a chi gli ha imbottito la testa: Riace e tanti Comuni italiani, fanno proprio l’interesse degli italiani.
    Un Saluto
    Es.




  • Di Diogene (---.---.---.49) 3 ottobre 2018 17:56

    Viva la Repubblica di Riace! Che vive di aquiloni. Sognate, sognate, tanto pantalone paga!

  • Di Abele (---.---.---.69) 28 ottobre 2018 17:15

    Luca Ricolfi, nel suo pezzo su Il Messaggero del 27 ottobre Solo il ritorno dello Stato può spegnere le nostre paure, si domanda cosa potrebbe fare il ministro dell’Interno per impedire il ripetersi di casi alla Desireé, visto & considerato che eventi di tale gravità, ma anche di meno gravi come nei troppi casi di tentato femminicidio, tormentano da anni la nostra quotidianità.

    Se il titolo del suddetto pezzo appare ottimistico, pessimistici sono gli aspetti che Ricolfi enumera come cause e concause delle situazione in cui quest’ex bel paesino versa. A partire dalla generalizzata e sistematica violazione delle norme non solo da parte dei trasgressori, ma anche delle potenziali vittime dello sfaldamento del dna culturale nostrano. Un processo inarrestabile in cui oltre all’orgoglio del singolo – “infrango le regole perché sono ingiuste e perché così mi va” – si aggiungono opportunismi vari, la codardia dello Stato, l’acquiescenza delle forze dell’ordine e l’imperversante cultura “finto-progressista” che, a differenza di Ricolfi, definirei tout court progressista e/o radical chic, la quale – dall’alto delle torri d’avorio in cui si preserva – ha scarse o superficiali probabilità di sperimentare cosa significhi vivere in quartieri degradati, come quelli in cui si concentrano le diverse e differenti criminalità, con specifico riferimento a quelle d’importazione.

    Trasgressioni “lievi”, come drogarsi alla luce del sole o reati come il furto e lo spaccio, vengono viste come conseguenza della povertà e della disuguaglianza. Il tutto puntualmente suffragato dall’approccio politicamente corretto: “La politica, una buona politica, dovrebbe prendere in carico le paure degli italiani e dimostrarne l’infondatezza” ebbe a dichiarare Livia Turco, co-firmataria della legge sull’immigrazione Turco-Napolitano. Paure che invece “sono fondatissime – precisa Ricolfi – verso la criminalità degli immigrati come verso quella degli italiani”.

    Concausa di quel che sta avvenendo e che per un bel pezzo continuerà ad accadere, risiede nell’aver privilegiato da parte di tutti – polizia, magistratura, servizi sociali, sindacati, circoli culturali & via enumerando – la figura di Caino a tutto discapito di quella di Abele. Un atteggiamento diventato luogo comune, che prese le mosse nel ’68 della sociologica Università di Trento – e chi scrive se ne assume piena responsabilità – nella misura in cui fu proprio il sottoscritto a sostenere (assieme alla denuncia delle deprecabili condizioni in cui allora versavano le prigioni italiote) che se si voleva fare la rivoluzione, una parte non irrilevante di quest’ultima doveva essere affidata alla malavita, come di fatto poi avvenne, visto & considerato che il primo autista brigatista era trentino e faceva il contrabbandiere.

    Da allora, esattamente mezzo secolo fa, ci fu una lenta ma inesorabile evoluzione della legge penale e della prassi giudiziaria, entrambe guidate da “un unico principio di fondo: rendere quasi impossibile scontare la pena in carcere. Un’idea astrattamente nobile che – come rileva Ricolfi – toglie allo Stato la sua arma più importante nella lotta al crimine: la cosiddetta incapacitazione”. Vale a dire l’impedimento da parte di chi ha commesso un reato di ripeterlo fino alla fine della sua detenzione.

    A parte ciò, bisogna riconoscere che il ruolo di Caino oltre che da noi, si è affermato anche a livello planetario. Per rendersene conto basta guardare le serie tv e i film di grande audience, per lo più caratterizzati da eroi negativi dediti ai più svariati delitti sia da parte di criminali doc, che da membri di corpi speciali e d’élite – agenti del Fbi, della Cia & affini i quali, accumunati dalla ricerca di sempre nuove tecniche di soppressione e di tortura, mettono in risalto situazioni in cui l’Abele di turno finisce quasi sempre col soccombere al cospetto di Caini di varia estrazione e natura.

    Tornando da noi, il fatto che la detenzione dei soggetti incriminati sia più virtuale che reale, giustifica le ricorrenti esclamazioni: “Tizio o Caio erano già stati segnalati per lo stesso reato ma dopo qualche giorno agli arresti domiciliari, sono stati rilasciati”. Ragion per cui “chi delinque matura un sentimento di impunità e onnipotenza, mentre e chi dovrebbe impedirgli di infrangere la legge matura un sentimento di impotenza e di frustrazione”, conclude Ricolfi, secondo il quale la precondizone per rimediare a questo stato di cose nel lungo, nel medio e soprattutto nel breve periodo, è necessario che lo Stato sia messo in condizione di tornare a fare lo Stato. Una conclusione ottimistica alla quale, per motivi di spazio, contrappongo un paio di semplici considerazioni.

    La magistratura italiana, che gode di un’autonomia sconosciuta nel resto dell’Europa, impiega lustri prima di giungere a sentenze definitive relative ai reati di femminicidio. Lo affermo con sicurezza perché ho conosciuto due vittime di questo tipo di reato. La prima, una giovane designer di successo, si è vista costretta ad abbandonare la sua carriera e ancor oggi, a distanza di 30 anni dall’accaduto, non ha ricevuto alcun risarcimento dal responsabile della sua rovina. La seconda vittima – sopravvissuta grazie alla protezione di un amico che, nel tentativo riuscito di difenderla, ha perso l’uso dei tendini di un braccio – a distanza di cinque anni dall’accaduto, non ha ancora avuto il bene di assistere alla prima udienza del processo che, a parere del suo legale, si chiuderà non prima di atri cinque/sette anni. A Buon rendere.

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