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Rivivere il territorio

Muovendoci, tra i luoghi che frequentiamo, sempre di corsa, raramente, ormai, riusciamo a contemplarli, gustarli, viverli.

L’ultimo ricordo “palpabile” di un “luogo” che riesco ad estrarre dai cassettini della mia memoria parla di un aria mattutina che aveva il sapore della freschezza e di un cielo che passava dal colore celeste o grigio, a discrezione delle stagioni e non dell’inquinamento. L’attualità sta nell’aria pesante e nell’alone di stacco che vedo nel cielo quando, salendo a nord sulla A1, passo da Casalpusterlengo.
 
Forse è l’ora di una riflessione.
Forse è ora di smorzare i ritmi, di smettere di correre, di bestemmiare e di inseguire il tempo che batte una cadenza infernale. E’ ora di scendere dalle auto, dai treni, da ogni mezzo che ci sballotta di qua e di la e scongiurare così quei milioni di binari, di semafori rossi, di rotatorie che stanno contrassegnando ogni nostro movimento.
 
Riflettiamo, abbiamo modificato il nostro ambiente, l’abbiamo modificato per stare meglio, per stare comodi, per migliorare la qualità della vita, la nostra vita, quella dell’uomo, non quella dell’ambiente, del territorio, della natura, della nostra salute fisica.
 
Stiamoci attenti perché se l’ambiente è la sintesi delle relazioni organiche esistenti tra uomo e territorio, quest’ultimo è una realtà che esiste a prescindere dall’uomo; che esiste dalla nascita del pianeta, che ha assaporato la libertà dall’urbanizzazione per millenni, prima di caderne vittima.
 
Qualcuno, una cinquantina di anni fa ebbe la presunzione di pianificare il territorio, ma il “luogo” non ha tratto gran giovamento, semmai ne è stato danneggiato e quelle piazze laddove si vivevano la partecipazione, la solidarietà, l’amicizia e la festa hanno lasciato il posto ai centri commerciali ed alle vetrine illuminate.
 
Abbiamo costruito case, magazzini, fabbriche e centri commerciali, ora basta, è ora di investire in spazi pubblici, in luoghi di partecipazione e vitalità, di scambi e serenità.
 
Trovai anni fa, durante una ricerca sul web, queste affermazioni di Alberto Magnaghi: "Società e i sistemi economici locali che si autogovernano, creando legame sociale attraverso l’autoriconoscimento degli attori sociali in un patrimonio identitario locale e in un progetto di futuro condiviso per la valorizzazione di questo patrimonio, sono in grado di attivare relazioni “globali” fra loro di tipo solidale e non gerarchiche".
 
Le nostre società sono vissute secoli libere dal mercato globale, dall’urbanizzazione selvaggia e mercantile. Parlavamo all’inizio di scendere dalle auto, proviamo a fermare anche chi viaggia vicino a noi, chiediamogli di rallentare un attimo, a ricordarsi del cielo blu e delle piazze, chiediamogli se non vorrebbe tornare indietro.
 
Forse è un sogno radente l’utopia, ma mi piacerebbe vivere di una coscienza collettiva consapevole, che possa relazionarsi con il sapere tecnico, il quale dovrebbe pensare, più che eseguire.
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