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Report: la servitù energetica, le riforme della giustizia e la terra dei fuochi

Chi sarà avvantaggiato dall’insieme delle norme varate con decretazione di urgenza dal governo Meloni? Poi, a seguire, un'inchiesta sul braccio di ferro tra la regione Campania e la Tunisia sui rifiuti smaltiti sul suo territorio.

Lab Report - L’eolico in Sardegna

Dopo le servitù militari i sardi saranno costretti a subire le servità energetiche?

Ogni regione deve decidere dove costruire gli impianti per le energie rinnovabili: in Sardegna la nuova giunta intenderebbe vietare nuovi impianti eolici anche quelli in esame al ministero.

In Sardegna, oltre agli impianti eolici a terra, sono stati presentati anche 27 progetti di impianti eolici da realizzare in mezzo al mare di fronte alla costa e li sta valutando il ministero dell’Ambiente. In Portogallo ne hanno realizzato uno, ha tre piattaforme galleggianti su cui si innalzano le turbine eoliche, il punto più alto di una pala è 200 metri.

“E’ una tecnologia innovativa” racconta a Report Simone Togni, presidente Anev – associazione nazionale energia del vento - “se noi saremo i primi nel mondo a farla, potremmo avere un beneficio industriale.”
Nel mar Mediterraneo non esistono progetti simili a quelli presentati lungo le coste sarde, bisogna immaginare le tre turbine eoliche galleggianti in Portogallo moltiplicate almeno per dieci. I progetti che si contengono il mare di fronte alla Sardegna infatti, prevedono dai venti agli 80 eurogeneratori per impianto.
L’assessore all’urbanistica di Alghero ha mostrato a Report la mappa dell’impianto che si vorrebbe realizzare davanti alla loro costa: questo impianto ha l’estensione pari a tutto il comune di Alghero, oltre 300 km quadrati. Alghero è il comune che ha a che fare con tre progetti eolici a mare presentati di fronte la costa ovest dell’isola: il parco flottante Mistral con 32 aerogeneratori della spagnola Acciona energia global, un secondo progetto denominato Alg con 34 turbine eoliche e il terzo italo svedese , il Sardinian North West che si potrebbe scorgere dal belvedere di capo caccia, “con una modifica palese del panorama” spiega a Report il sindaco.
A che distanza sarebbero dalla costa? Sarebbero a circa 24 km di distanza, secondo il progetto, ma il litorale di Alghero è noto anche come la riviera del corallo, gran parte della costa è protetta dall’area marina di capo Caccia isola Piana. Le pale del progetto Mistral sarebbero alte 300 metri, dunque molto di più che di Capo Caccia.

Ma l’impatto non è solo sul paesaggio marino, l’energia prodotta da questi impianti flottanti deve essere traportata a terra tramite i cavi: uno dei tre progetti davanti Alghero prevede l’introduzione dei cavi dotti che atterra in prossimità del litorale sabbioso, per poi collegarsi alla centrale di Terna. Un altro progetto prevede l’arrivo dei cavi su un terreno agricolo di pregio per i suoi uliveti, un altro ancora prevede l’arrivo dei cavi in prossimità del porto turistico di Alghero, di fronte alle mura del centro storico.

“Non possono progetti che hanno impatti di questo tipo essere calati dall’alto” commenta a Report l’assessore all’urbanistica Roberto Corbia.

Gli impianti eolici galleggianti che dovrebbero essere installati al largo della costa nord orientale della Sardegna sono quattro: c’è quello della società Sardegna North East, con 80 aerogeneratori da installare a 24 km dalla costa; il progetto Tibula Energia con 65 aerogeneratori a oltre 25 km; poi ci sono Nurax Wind Power con 33 pale eoliche aoltre 35 km e infine Poseidon Wind Power con 72 pale a oltre 42 km dalla costa. Questi ultimi due sono stati proposti da Eni Plenitude, Cassa Depositi e Prestiti assieme al fondo danese Chip.

“Tutte queste torri sarebbero dunque visibili a occhio nudo” – spiega il sindaco di Arzachena Roberto Ragnedda – “e pertanto la provocazione è quella, se vogliono il nostro vento devono almeno rispettare la nostra identità e quindi questi interventi li possono fare ancora più a largo, in maniera da mantenere questo stato delle cose [riferendosi al paesaggio di fronte alla costa] intatto”.
Le società dei progetti assicurano che la percezione visiva delle turbine dalla spiaggia sia ridotta, anche per gli impianti più vicini che, per curvatura della terra, gli aerogeneratori non possono essere visibili. Ma dai calcoli del coordinamento Gallura, le pale eoliche alte fino a 300 metri sarebbero visibili da vari punti della costa, da Porto Cervo, Arzachena e anche dalla terrazza panoramica di capo Coda Cavallo.
“Sarebbe la contrapposizione di un paesaggio naturale con un paesaggio industriale” racconta a Report Agostino Conti del coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica.
Come tutte le regioni la Sardegna deve individuare le aree idonee per la realizzazione degli impianti in tempi più snelli e deve indicare le aree non idonee: in quest’ultime la regione ha previsto il divieto a costruire impianti di fonti rinnovabili, divieto che vale anche per quelli che sono già in fase di valutazione dal ministero dell’Ambiente.
Questa è la posizione della presidente Alessandra Todde: “siamo una regione a statuto autonomo e abbiamo una competenza primaria che è quella urbanistica, sicuramente il governo non può far finta di nulla.”
Dunque il ministero dell’Ambiente si fermerà con queste valutazioni (per progetti sulle aree indicate come non idonee)? “No, perché questa norma non da un ordine di fermarsi agli uffici statali, dice che le procedura di valutazione ambientale quando hanno terminato la fase statale, passano a quella regionale non vanno avanti, si fermano” risponde Massimiliano Atelli presidente della commissione valutazione impatto ambientale.
Dunque in un futuro le procedure adesso in valutazione al ministero si potranno fermare, vale anche per gli impianti eolici offshore.

La scheda del servizio: Dove girano le pale

Per chi vale la riforma della giustizia?

Abolizione dell’abuso d’ufficio, perché così i sindaci possono lavorare in pace. Separazione delle carriere, così i giudici non sono influenzati dai magistrati inquirenti. Divieto di pubblicazione degli ordinanze di custodia cautelare perché siamo garantisti. Stretta sulle intercettazioni, perché tanto i mafiosi non parlano al telefono e non vogliamo origliare nella vita delle persone.

L’insieme delle leggi approvate in tema di giustizia è ben composto: ma siamo sicuri che questi pacchetti renderanno la giustizia più celere e, soprattutto, garantiranno ai cittadini una giustizia che vale per tutti e non solo per qualcuno?

Con la stretta alle intercettazioni ad esempio c’è un limite di tempo di tre mesi per mettere sotto osservazione una persona sospettata di reati. Poi basta. Eppure, come spiega l’ex giudice Casson, anche ex senatore PD, il ministro Nordio è stato sia giudice che magistrato, sa che le intercettazioni sono fondamentali nella lotta contro qualsiasi forma di criminalità a partire da quella terroristica, eversiva, per finire alla criminalità organizzata: “lo sa benissimo perché ha usato per anni e anni, a piene mani, le intercettazioni”, per esempio nell’inchiesta sul Mose di Venezia, contro l’ex presidente Galan e i dirigenti del consorzio che doveva costruire la grande opera sulla laguna di Venezia. Galan, assusato di aver preso tangenti dal consorzio Venezia Nuova, dopo 78 giorni di custodia cautelare, ha patteggiato una pena di due anni e dieci mesi. Il procuratore aggiunto che ha coordinato l’inchiesta era proprio Carlo Nordio.
Galan, oggi ritiratosi nella sua casa in campagna ricorda quei giorni: di fronte alle telecamere di Report accusa l’attuale ministro di aver usato la carcerazione preventiva come strumento di tortura per arrivare al patteggiamento.

Ma è stato anche alle 300 mila ore di intercettazioni che Nordio è riuscito ad ottenere il sequestro di Villa Radella, dello stesso Galan, valutata 2,6 ml di euro all’asta, mentre l’ex presidente dovrà risarcire lo Stato con 5,8 ml di euro.
Perché Galan ha patteggiato la pena? Spiega Galan che è stato per la figlia di sette anni, “mi è stato detto che se non avessi patteggiato loro avrebbero chiesto per me il giudizio immediato e avrebbero potuto trattenermi in carcere e in galera per altri sei mesi, fino ad arrivare a sentenza”. Di fronte a questo, Galan ha firmato..

Report ha chiesto un’intervista al ministro, senza successo: “se fate una domanda su oggi va bene..” ha risposto a Bertazzoni che voleva porgli qualche domanda sulla limitazione delle intercettazioni, sul costo delle intercettazioni, che siamo tutti intercettati. Tutte questioni che altri eminenti magistrati hanno smentito numeri alla mano. Fare le intercettazioni conviene allo stato e, come dimostra l’inchiesta su Equalize, il governo dovrebbe occuparsi di queste agenzie di security, che accedono indisturbate a tutte le banche dati sensibili, per alimentare un mercato delle informazioni privato.
Che ne pensa il ministro? Inseguito ad un evento dove si parlava di violenza sulle donne, tema tra l’altro molto importante, il ministro ha parlato con tanti giornalisti tranne che Report.
Perché il ministro e il suo staf scelgono le domande su cui rispondere ai giornalisti e, a quanto pare, le domande sulle intercettazioni non rientrano tra i quesiti ammessi.

Nemmeno l’ex deputato di Azione oggi tornato a Forza Italia, Enrico Costa, ispiratore e ideatore della “legge bavaglio” ha voluto rispondere alle domande di Report: dall’opposizione ha ispirato la riforma poi attuata dal ministro Nordio, “perché dovrebbe essere compito dell’opposizione non dire sempre dei no” - spiega a Bertazzoni, come a dire che l’unica opposizione buona è quella che anticipa la maggioranza.
Comunque una settimana dopo il tentativo di intervista andato a male, Costa ha annunciato di voler tornare in Forza Italia. Chi invece per ora rimane all’opposizione è Matteo Renzi: anche Italia Viva ha votato la riforma Nordio, come Azione.

Da che parte sta Renzi? “Affermare che non si capisce da che parte sto lo possono dire gli amici di Report con la loro posizione ideologica, io sto sempre dallo stesso posto, sulla questione della giustizia ho sempre detto che sono garantista. Sa chi è che cambia idea una volta si e una volta no? Quelli della destra e quelli della sinistra.. Io da sempre dico che ci vogliono dei limiti alle intercettazioni perché è un diritto umano la privacy.”

Dopo di che se c’è una notizia di reato e servono le intercettazioni, che possono durare più di 45 giorni? “Il pm chiede la proroga e il Gup autorizza..”

Di fatto si rende più complicato l’iter delle indagini, con questi limiti.
A proposito, non mi ricordo un Renzi così garantista nella vicenda Idem, la ministra dello sport del governo Letta, o nella vicenda Marino, l’ex sindaco di Roma. E nemmeno nei confronti dell’insegnante di italiano, colpevole di aver apostrofato male degli agenti di polizia durante una manifestazione di Casa Pound. Quella insegnante andava licenziata.

La scheda del servizio: Oblio di Stato di Luca Bertazzoni

 

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Chiara D'Ambros, Cristiano Forti, Marco Ronca e Alessandro Sarno

Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Il 25 agosto scorso è entrata in vigore la riforma della giustizia.

Una riforma che ha decretato l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio e un depotenziamento del reato di traffico di influenze illecite. Una riforma che porta il nome del ministro che l’ha fortemente voluta, Carlo Nordio. Entrato in magistratura nel 1977, Nordio ha costruito la sua carriera in una sola Procura, quella di Venezia: l’inchiesta ricostruisce il passato di Nordio come pubblico ministero e analizza quali saranno i cambiamenti dopo le modifiche apportate dalla riforma sulla giustizia. L’inchiesta racconta anche il caso di Rosanna Natoli, ex consigliera laica del Csm in quota Fratelli d’Italia, sospesa dal Consiglio Superiore della Magistratura dopo la diffusione della registrazione di un incontro con la giudice Fascetto Sivillo. Infine, l’inchiesta si occupa della presunta indagine su Arianna Meloni sollevata quest’estate dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Che fine ha fatto il complotto?

A chi conviene la riforma della giustizia – la filiera del tartufo

A chi conviene questa riforma della giustizia?

Report ripercorre l’inchiesta che in Umbria ha portato all’accusa del reato di abuso d’ufficio per la presidente Donatella Tesei: l’inchiesta è stata poi archiviata quando il governo Meloni ha abrogato questo reato. Come racconterà Report, la regione Umbria ha stanziato dei fondi pubblici per la filiera del tartufo, una buona parte di questi sono finiti ad una azienda di proprietà del marito dell’assessora al bilancio, Paola Agabiti, che non si è nemmeno astenuta quando la giunta regionale ha approvato la delibera. In quella azienda era stato assunto il figlio della presidente Tesei che ora si ripresenta alle urne come candidata.
Erano solo delibere di carattere generale – si giustifica l’assessora Agabiti intervistata da Report – nessun atto assegnava le risorse all’azienda del marito, “le questioni morali o di opportunità le faccia ad alcuni esponenti del PD.”

La scheda del servizio: Il tartufo gate di Luca Bertazzoni

 

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Davide Fonda, Andrea Lilli

Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Nel 2021 la Regione Umbria ha deliberato uno stanziamento di fondi per la filiera del tartufo. ​​​​​​

Quasi la metà dei 10,7 milioni di euro è finita alla Urbani Tartufi, il cui amministratore delegato è Gianmarco Urbani, marito dell’Assessora al bilancio della Regione Umbria Paola Agabiti. Nel periodo in cui veniva predisposto il bando, il figlio della Presidente Donatella Tesei è stato assunto a tempo indeterminato dalla Urbani Tartufi. Per queste vicende la Procura di Perugia ha indagato per abuso d’ufficio Donatella Tesei e la sua Assessora Agabiti. L’inchiesta è stata poi archiviata per l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.

I rifiuti contesi della Campania, la terra dei fuochi e dei ciechi

Bernardo Iovene aveva già raccontato nel 2022 la vicenda dei rifiuti campani inviati in Tunisia per essere smaltiti e che invece hanno portato ad uno scontro diplomatico col governo tunisino
 

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
L’ambasciatore ha trattato sulla restituzione di 282 container contenenti i rifiuti, che dalla Campania erano stati spediti in Tunisia. Si tratta di rifiuti scarto della raccolta differenziata; devono essere smaltiti in discarica o bruciati nell’inceneritore. Solo che in Italia costerebbe smaltirli - all’epoca costava - 200 euro a tonnellata, in Tunisia te la cavavi con 48 euro. Così la società salernitana di smaltimento rifiuti, la SRA prende contatti con l’omologa tunisina, la Soreplast e, in base a questo accordo, avrebbe dovuto spedire 120 mila tonnellate nel paese nordafricano spendendo invece di 24 milioni, 5 milioni 760 mila euro, più il trasporto. Comunque un bel risparmio. Ma se devi spedire dei rifiuti all’estero, devi sottostare a determinate regole. In questo caso alla convenzione di Basilea che richiede che la Regione Campania contatti i così detti focal point. Si tratta di funzionari del ministero dell’Ambiente, quello italiano e l’omologo tunisino. La Regione Campania ha contattato quello italiano, non l’omologo tunisino. E così che cosa è successo? Che una volta che sono partiti dalla Campania i 282 container, appena sono sbarcati in Tunisia nel porto di Sousse, sono stati sequestrati. Sono stati arrestati il ministro dell’Ambiente, il responsabile, il direttore dell’agenzia dei rifiuti tunisina, sarebbe stato arrestato anche il proprietario dell’azienda tunisina di smaltimento rifiuti se non che è scappato ed è latitante. Ora, Huston, abbiamo un problema: chi paga le giornate di sequestro dei rifiuti al porto tunisino? Chi paga il viaggio in nave? Chi paga l’affitto dei container? Insomma, parliamo di una cifra oltre i 43 milioni di euro. E poi, una volta sbarcati in Italia, dove hanno portato i rifiuti?

Come è andata avanti la vicenda? Parte dei rifiuti parcheggiati nei locali della ditta Soreplast sono bruciati, altri sono tornati in Italia, rifiuti su cui poi è partita una inchiesta della DIA.

Questa storia è solo un pezzetto di una inchiesta più ampia di Report sulla mala gestione dei rifiuti in Campania, Campania Infelix era stata chiamato anche un vecchio servizio sempre del giornalista di Report: regione infelice per i roghi dei rifiuti, come quello avvenuto a Serre, sulla piana del Sele, col fumo che ha riempito tutta la valle per sette giorni– racconta l’ex sindaco di Eboli, Rosania – colonna di fumo che si alzava dal rogo di una discarica con gomme, plastiche e rifiuti vari, una combustione che sprigiona veleni come la diossina, idrogeno solforato, pm10, pm25, ossido di carbonio.
In quella discarica non c’era un impianto antincendio funzionante – aggiunge al racconto il sindaco di Altavilla Silentina (SA) Francesco Cembalo, “abbiamo assistito all’ennesima sciagura per la valle del Sele”.
Quanto è successo è ancora inspiegabile – è il commento del sindaco di Serre (SA) Antonio Opramolla “come possono incendiarsi dei rifiuti in un comprensorio militare.”
L’area militare era nel comune di Serre ma a ridosso del paese di Altavilla Silentina, dopo l’incendio i sindaci hanno appreso con stupore che l’area dove c’erano i rifiuti non era affidata ai militari, ma data in affido alla regione Campania, una zona della regione dentro una zona militare, la sorveglianza toccava alla regione dunque.
Dunque funzionari della regione hanno fatto in modo che questi rifiuti andassero in Tunisia e tornassero, la regione in quanto istituzione ha deciso di metterli qua, prendendosi una responsabilità ben precisa. I sindaci della zona sono decisi ad andare avanti per tutelare i loro territori, il sindaco di Serre ha fatto già un esposto contro ignoti e chiunque abbia delle responsabilità.
Le interrogazioni all’assessore Bonavitacola sono state fatte anche dal consigliere di opposizione Tommasetti, della Lega: la regione non ha dato alcuna risposta al suo esposto (dove chiedeva conto del mancato controllo da parte della regione).

 

Nel 2008 Report si era occupato anche di un altro episodio di questa scia di reati contro l’ambiente in Campania: lo sversamento di rifiuti nel canale dei Regi Lagni, per cui vennero condannati per disastro ambientale i fratelli Pellini (titolari di una azienda di calcestruzzi).

Dalla loro azienda ad Acerra la guardia forestale aveva filmato nel 2008 lo sversamento di rifiuti liquidi nel canale, liquidi speciali ovvero scarti industriali: dopo sette anni di processi sono stati condannati a sette anni per disastro ambientale. Oggi, dopo il primo dissequestro dell’impianto seguita ad un nuovo sequestro dei loro beni, i fratelli Pellini hanno chiesto al giornalista un incontro. Questa volta a parlare è un altro fratello, Giovanni, che smentisce la versione data nel 2008 da Cuno Pellini (in una vecchia intervista aveva ammesso che lo sversamento era della loro azienda ma che l’acqua non era inquinata). Quel tubo filmato non è un tubo nostro – dicono oggi a Iovene: a Report i Pellini mostrano delle analisi sul cemento delle case costruite da loro, dove non sarebbe presente amianto, smentendo l’accusa che loro mescolavano al calcestruzzo prodotto l’amianto da smaltire.
Dunque non ci sarebbe mai stato alcun disastro ambientale – sostengono oggi di fronte a Report.

Disastro ambientale che ha un forte impatto sulla salute delle persone: Acerra è la zona dove stanno maggiormente aumentando i casi di tumore in percentuale, anche tra i giovani, rispetto al resto d’Italia.

La scheda del servizio: La Terra dei Fuochi

 

La Terra dei Fuochi, dei ciechi e dei muti di Bernardo Iovene

Collaborazione di Lidia Galeazzo

Immagini di Paco Sannino e Cristiano Forti

Ricerca immagini di Tiziana Battisti

Grafiche di Federico Ajello

I fratelli Pellini sono stati condannati per il disastro ambientale avvenuto nella zona di Acerra nei primi anni 2000.

Per un problema formale i loro beni sono stati dissequestrati ad aprile di quest’anno, ma grazie alle proteste dei cittadini e su indicazione della procura di Napoli è stato emesso un nuovo decreto di sequestro. Report ha intervistato i 3 fratelli che si difendono e negano tutte le accuse per le quali sono stati condannati a 7 anni, mai scontati, grazie ai benefici e all’indulto. A fine ottobre è iniziato il nuovo processo che potrebbe portare il sequestro di 200 milioni di euro del loro patrimonio alla definitiva confisca. Siamo stati nel territorio dove abbiamo cercato di ricostruire il disastro sia ambientale che quello legato alla salute, Acerra è al primo posto per incidenza delle malattie tumorali, un dato ormai dimostrato e legato all’inquinamento avvenuto negli ultimi trent’anni. Report tornerà a documentare poi la fine dei 212 containers di rifiuti italiani rientrati dalla Tunisia. Nel 2022, contro la volontà popolare, furono stoccati dalla Regione Campania nell'area militare di Persano nel comune di Serre, si temeva quello che poi è accaduto a luglio di quest’anno, sono stati incendiati, e secondo la procura di Salerno si tratterebbe di un incendio doloso.

Il sottosegretario perde il pelo

I giornalisti di Report tornano ad occuparsi dell’ex sottosegretario Sgarbi e su altri quadri finiti in mostre organizzate dal critico d’arte, che risulterebbero rubati. Chi ha dato queste opere a Sgarbi?

La scheda del servizio: Refurtiva in mostra di Manuele Bonaccorsi

 

Collaborazione di Thomas Mackinson e Madi Ferrucci

Immagini di Marco Ronca

Montaggio di Sonia Zarfati

Grafica di Michele Ventrone

Il 9 ottobre 2024 i Carabinieri hanno sequestrato a Ferrara una importante opera di proprietà di Vittorio Sgarbi.

Una copia seicentesca di Ortolano, dal titolo “Compianto sul Cristo Morto”. Il sequestro, secondo quanto ricostruito da Report e dal Fatto Quotidiano, è avvenuto a Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, tre giorni prima dell’inaugurazione dell’esposizione Il Cinquecento a Ferrara, curata da Vittorio Sgarbi. L’opera, annunciata nel catalogo dell’esposizione, non è attualmente presente in mostra. Ma un'immagine che abbiamo recuperato, dimostra che prima del sequestro si trovava nella sala 9 della prestigiosa sede espositiva. L’Ortolano risultava rubato nel 1984 in un palazzo nobiliare e Bevagna (Pg), ed era di proprietà del signor Paganello Spetia. L’ex sottosegretario alla Cultura, dopo le sue dimissioni dall’incarico di governo in seguito allo scandalo del Manetti rubato, ha mantenuto l’incarico di presidente della fondazione Ferrara Arte, controllata dal Comune di Ferrara.

L’indagine dei nostri inviati ha permesso di ricostruire la probabile presenza di un’altra opera rubata nella collezione privata di Sgarbi, anche questa apparsa nel 2022 in una esposizione.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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