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Report: la Moldavia, i soldi del PNRR e i rifiuti di Roma

L'ultima puntata della stagione di Report: i soldi del PNRR renderanno il paese più moderno? Quanti soldi saranno destinati alla siccità?

Poi un servizio su Roma e sulla gestione dei rifiuti, con le infiltrazioni della criminalità.

Nell'anteprima un servizio sulla Moldavia, candidata all'ammissione dentro l'Unione Europea.

La guerra ibrida di Walter Molino

La Moldavia è il paese più povero in Europa, il cui destino è legato allo sblocco del grano in Ucraina, minacciata alla Russia e con la presenza di una nazione filorussa al suo interno, la Transnistria.

Oggi ha chiesto l'ammissione in Europa: il generale Fabio Mini spiega a Report che la Moldavia vuole entrare in Unione Europa come base per entrare nella Nato e avvicinare gli Stati Uniti.
L'ammissione in Europa di questo paese di 2,5 ml di abitanti, impauriti dalla guerra e dal rischio di impoverirsi, sarà un passo lungo: secondo Transparency International è un paese ad alto rischio corruzione e questo è un ostacolo al cammino di integrazione.
Ma le persone anziane in questo paese sono spesso filo russe, rimpiangono un passato nell'Unione Sovietica di stabilità.
Oggi in questo paese sono arrivati contingenti della Nato, come contingenti moldavi sono addestrati da soldati italiani in Kosovo.
Questo paese subisce ancora l'influenza russa – racconta l'ambasciatore moldavo in America – tramite i siti online: la guerra alla Moldavia avviene in tanti modi, con la propaganda ma anche con la chiusura dei rubinetti del gas.
Il gas russo arriva in maggior parte in Transnistria alle industrie, solo che questa regione il gas non lo paga e questo mette in crisi tutto il paese.
C'è la paura che l'ingresso in Europa impoverisca il paese, ci sono poi le nostalgie verso il passato comunista, così gli oppositori all'ingresso in Europa stanno aumentando.
Ma Maia Sandu, presidente moldava, a Bruxelles parla anche di lotta alla corruzione: forse è questo che preoccupa gli oppositori all'integrazione, come anche l'ex presidente Dodon, filo russo, arrestato nei giorni successivi alle proteste del partito socialista.

La Transnistria è una repubblica indipendente che nessun paese ha riconosciuto: nessun giornalista riesce ad entrare, Walter Molino ha varcato le frontiere presentandosi come turista, per arrivare alla sede della Sheriff, una holding fondata da due membri del KGB che controlla edilizia ed energia, legata a Gazprom (a cui non paga il conto del gas) e di fatto possiede tutta la Transnistria: questo paese è usato dalla Russia per la produzione delle criptovalute, con cui il Cremlino cerca di aggirare le sanzioni.

A secco di risorse di Luca Chianca

Report ha girato le pianure del nord nello scorso marzo: il problema della siccità era già drammaticamente visibile in queste regioni che non erano pronte a gestire la mancanza di acqua per innaffiare i campi.
Non solo manca l'acqua, ma l'acqua del mare sta entrando nell'entroterra: il PNRR non sta affrontando questo problema sebbene, come ricorda il meteorologo, nei cassetti del ministero sono presenti i progetti per gestire i cambiamenti climatici.

Abbiamo davanti scenari apocalittici: tanti comuni hanno imposto divieti sull'uso dell'acqua e l'agricoltura è in ginocchio.
Dall'altra parte sta arrivando il più grande finanziamento in questo paese: 190 miliardi, di cui 160 da restituire, in cambio di riforme e di un po' di spending review.
Oltre a questo dovremmo investire nella digitalizzazione, nella transizione energetica: Bruxelles controllerà il cronoprogramma, pena la mancata concessione della seconda rata.
Col PNRR l'Italia si gioca la sua faccia, ma si deve capire se effettivamente si stanno affrontando i problemi del paese: per questo motivo Luca Chianca, in collaborazione con Open Polis ha fatto questo viaggio, nell'Italia in secca.

Il livello dell’acqua è così basso che la barca su cui ha viaggiato il giornalista Luca Chianca ha rischiato di arenarsi: nel fiume compaiono isole di sabbia, in questa zona al confine tra l’Emilia, il Veneto e la Lombardia; da uno degli affluenti, il Panaro, non arriva acqua dalle montagne dell’Appennino, è il Po che entra nel Tanaro. Qui è praticamente da ottobre scorso che non vedono una goccia d’acqua.
Arrivando nella zona dell’alveo del Po, nel mantovano, si rivedono le stesse scene di fiume in secca: il servizio, girato a marzo, presenza una situazione di deserto idrico come se si fosse in agosto, ma non è quest’anno l’eccezione, questa situazione è la regola, che peggiora di anno in anno – racconta a Report il consigliere regionale di Coldiretti Simone Minelli.

Per irrigare i campi dovrebbero attingere l’acqua dai pozzi o dai serbatoi, ma visto che non piove da mesi sono costretti a prenderla dai grandi fiumi: “ma in questo momento è difficile pensare di pescare acqua da un fiume in questa situazione, per noi quest’anno il grande assente è la neve in montagna, oltre al fatto che non è piovuto. La neve ha questa caratteristica che si scioglie piano piano e passa per il nostro fiume e questo ci garantisce acqua per i nostri campi.”
In provincia di Reggio Emilia la sabbia ha ostruito le idrovore dell’impianto di Boretto e per settimane hanno cercato di abbassare il livello dell’alveo del Po per cercare di pescare un po’ d’acqua per irrigare i campi.

Meuccio Berselli è il direttore dell’Autorità di Bacino distrettuale del Po: “noi rischiamo e stiamo rischiando di non riuscire ad accendere le pompe e di non avere l’acqua a disposizione per l’agricoltura in una situazione geopolitica particolarmente delicata in cui noi diciamo di far partire tutte le deroghe possibili per portare a compimento le coltivazioni così importanti.”

Ma questo che impatto potrebbe avere sul Po?

Potremmo spendere parte dei 190 miliardi destinati all’ambiente, ma nel PNRR non c’è un intervento che metta al centro il tema della desertificazione della siccità del bacino padano.

Potremmo spendere parte dei 190 miliardi destinati all’ambiente, ma nel PNRR non c’è un intervento che metta al centro il tema della desertificazione della siccità del bacino padano.

Serve cambiare filosofia – racconta Mercalli - tanti piccoli invasi distribuiti sul territorio (in Pianura Padana) non c'è più spazio per nuovi impianti grandi, come le dighe.
Stiamo invece investendo in progetti vecchi, progetti che siano cantierabili e terminati entro il 2026, come richiede il piano: sono progetti ad oggi inutili, non c'è tempo di fare progetti per problemi come la siccità, su cui il PNRR non prevede nemmeno un euro.

Il governo ha investito 800 ml sulla rete irrigua, ovvero per l'irrigazione dei campi: ma se i fiumi sono in secca cosa te ne fai?

Il sistema di invasi lo si trova al sud, a Cosenza in Calabria: dighe abbandonate, invasi asciutti, nessun impianto in funzione. Faranno questa fine i progetti calabresi approvati nel PNRR?
Come sono stati individuati i progetti? Senza nessuna cabina di regia, alla fine ha vinto solo chi è stato più bravo a scrivere il progetto, tra i vari consorzi che sono in rosso, che poi danno acqua all'agricoltura.

Chi controllerà i tempi dei progetti e come verranno gestiti i soldi?
In Italia lavorano più gli avvocati che i muratori e gli ingegneri – racconta a Report il presidente dei consorzi.

Sono tante le opere abbandonate, dighe e invasi, condotte senza acqua che potrebbero aiutare l'agricoltura in regione.

In Sicilia i consorzi che hanno presentato i progetti per il PNRR si sono visti bocciare tutte le proposte sui sistemi irrigui: colpa di chi ci ha proceduto, dice Musumeci, ma così il sud non arriverà al 40% dei progetti del PNRR.

Da una parte la Calabria dove i tecnici hanno scritto bene i bandi per il PNRR, mentre in Sicilia (solo 15 tecnici), che invece sono stati bocciati.
Musumeci vorrebbe attingere ad altri fondi, diversi da quelli europei, come quelli di coesione.


Come funziona il PNRR della scuola?

Nel PNRR ci sono soldi anche per le nuove generazioni, che dovranno essere educati e formati meglio di noi: il governo ha messo 4 miliardi di euro per 216 nuovi edifici scolastici, moderni ed efficienti, nuove scuole dell'infanzia.
Ma che ne facciamo degli altri edifici scolastici? E in quale regione verranno realizzate le nuove strutture?

A Torino, comune e fondazione San Paolo hanno finanziato un progetto per un nuovo modello di scuola, con aule aperte, dove si respirano gli spazi.
Il progetto, durato 5 anni, è stato fatto assieme alle famiglie e ai docenti: la realizzazione della scuola è stata messa in mano alla fondazione Agnelli e San Paolo, per evitare problemi con gli appalti.

Riusciremo a fare le nuove 216 scuole, con la gara d'appalto, in tempo per la fine del pnrr? Il ministro Bianchi è fiducioso, non dobbiamo partire con l'idea di essere sconfitti.

Al momento però lo stato ha solo 1 miliardo sul piatto, per tutte le scuole in Italia.

Come quella di Grazzanise, paese dove abitava il boss della camorra Schiavone: oggi la sua casa, le strutture per le sue bufale, stanno cadendo. Potrebbero essere messe a nuovo, come anche le scuole del paese, per cambiare il trend di questa terra.

Ma il sindaco avrebbe bisogno dell'aiuto di una regia, per capire cosa realizzare.
Stesso discorso a Baronissi, dove la scuola è chiusa per problemi sismici, dal 2018: oggi la scuola è in alloggi di fortuna. Hanno presentato un progetto ma sono stati fatti fuori, perché la scuola era chiusa (è un limite del PNRR).

L'ex ministro Mastella a Benevento ha ottenuto 15 ml di euro per rifare una scuola: il problema è che negli anni in cui non ci sarà la scuola non si sa dove mettere gli studenti.

Come si vede, è importante scrivere bene i progetti per avere i soldi dei bandi: ma questa competizione tra le varie regioni non è alla pari, per questo si era deciso di mettere la clausola del 40% dei fondi al sud.
Ma i bandi ad oggi elaborati il ministero della coesione dice che la soglia del 40% non è rispettata: la Campania è a prima regione per importi finanziati e costruirà 35 nuove scuole. Ma l'Emilia è la seconda regione per bandi e realizzerà 23 nuove scuole.

Altra musica al nord, dunque: a Reggio Emilia hanno realizzato un nuovo asilo senza usare i fondi del PNRR, nel modenese hanno realizzato già asili coprendo il 30% della domanda delle famiglie ma puntano a costruirne nuovi, come investimento nel futuro.

In Basilicata invece nessun asilo nido: il sindaco di Brienza voleva partecipare ad un bando per la messa in sicurezza di un edificio adibito a scuola, progetto bocciato perché non si possono mettere assieme asili e scuole.
A Forenza è stato bocciato un progetto per un centro polifunzionale, che aveva dentro servizi per la famiglia e anche un asilo. Hanno fatto allora un nuovo bando per un asilo, ma l'edificio che doveva essere ristrutturato per il centro polifunzionale rimarrà abbandonato.

Il punto è che i comuni sono stati messi in concorrenza tra di loro: i soldi arriveranno anche a comuni che hanno già asili, mentre sono stati lasciati fuori paesi che non avevano mezzi, o strumenti per fare progetti. O che volevano realizzare servizi ibridi, non solo specifici per solo asili o scuole.

Mancano gli educatori, mancano i tecnici nei comuni (come a Bari, dove non hanno potuto presentare progetti), mancano le risorse per scrivere i progetti: colpa dei tagli dentro la ppaa, fatte dall'allora ministro Brunetta. E così l'attuale ministro Brunetta ha fatto un bando per nuovi posti, bando andato deserto.

Così avremo forse nuovi asili ma senza educatori che devi anche formare: il ministro Bianchi è, ancora una volta ottimista, il ministero sta lavorando “è nella sua competenza”.

Non c'è una visione complessiva, non c'è una cabina di regia, mancano gli impiegati dentro la ppaa, i tecnici per bandire un progetto, insegnanti ed educatori.

Il ministro rivendica l'autonomia delle regioni e delle amministrazioni: ma il federalismo in Italia è fallito, al sud non ci sono i livelli essenziali dei servizi, col PNRR sono stati fatti gli stessi errori del federalismo fiscale, dando poco alle regioni del sud che tanto spendono poco...

Il sacco di Roma di Daniele Autieri

Roma brucia: il 15 giugno una nuvola di fumo sale dall'impianto di Malagrotta e avvolge Roma. Report si è avvicinata all'impianto per prima, raccogliendo le testimonianze degli operai.

Sono stati chiusi asili e scuole nelle vicinanze, alle famiglie è chiesto di non accendere i condizionatori: la procura di Roma sta indagando per capire se dietro l'incendio ci sia la mano dell'uomo.

Il sistema dei rifiuti a Roma è molto fragile, i suoi amministratori per anni hanno puntato anziché sulla differenziata, al mandare verso l'esterno i rifiuti, tal quali, anche via mare.
Rifiuti bruciati nei termovalorizzatori, magari quelli delle multiutility del nord.

I rifiuti vengono stoccati alle porte di Roma e i camion li portano negli impianti di mezza Italia e coi treni, negli impianti di Austria e Germania. Le navi in Grecia, Olanda e Portogallo, dove gli scarti di Roma vengono usati per produrre energia e calore.

Dal porto di Civitavecchia, le balle di compost vengono caricate sulle navi porta container, da qui prendono la via del Mediterraneo, attraversano lo stretto di Gibilterra e risalgono l’Atlantico fino al porto di Setubal, un piccolo comune alle porte di Lisbona. Qui altri camion prendono i rifiuti di Roma e li riversano in discariche e impianti.

Roma esporta circa 700mila tonnellate di rifiuti fuori dalla regione – racconta a Report il direttore di Arpa Lazio – per un costo di qualche centinaia di milioni di euro e che in dieci anni è arrivato a costare oltre 1 miliardo di euro.

Negli ultimi cinquant’anni nessun sindaco è riuscito a rendere Roma autonoma nel ciclo dei suoi rifiuti:ci sta provando ora Gualtieri, tramite un nuovo impianto “per la valorizzazione energetica dei rifiuti” per raggiungere l’ambizioso obiettivo di zero discariche.

Ma a 200 giorni dalle elezioni i rifiuti sono ancora per le strade di Roma e la discarica di Malagrotta va a fuoco (il 15 giugno scorso) e il fumo nero dei rifiuti che bruciano avvolge la capitale che, nonostante i proclami e le promesse, è ancora prigioniera di un sistema malato dove ogni emergenza rischia di mandare in tilt la città.

Gualtieri ha accettato l’intervista con Report, a cui racconterà della situazione rifiuti che ha trovato appena arrivato al Campidoglio, “ho trovato una città sporca, perché l’intero sistema è sull’orlo del collasso costantemente, gli ultimi impianti fatti a Roma risalgono al 2001 e sono stati fatti dal commissario per il Giubileo.”

Dopo la chiusura di Malagrotta i rifiuti sono stati mandati fuori Roma, col sistema descritto precedentemente: un sistema antieconomico costato caro alla città.

L'ex sindaco Marino a Report racconta di aver cercato di preparare un piano per i rifiuti, che passava dal raddoppio dell'impianto di Colleferro. Ma il presidente Zingaretti non rispose mai al progetto di Acea, che avrebbe consentito di rilanciare l'impianto di Colleferro, in perdita.
Zingaretti spiega che Colleferro per lui era una pietra tombale e che si doveva puntare sull'autosufficienza dei rifiuti da parte della capitale.

Roma invia i suoi rifiuti agli impianti TMB, come l'impianto in via Salaria andato a fuoco nel 2018 e come l'impianto di Malagrotta andato a fuoco questo mese. E nel 2019 va a fuoco il secondo TMB di Roma, quello di Rocca Cencia.

Gli impianti di Roma sono stati gestiti da un commercialista di Napoliche, però, non ha voluto farsi intervistare da Report.

Roma si è legata a fornitori, manager con legami con le utility dei rifiuti, che di fatto hanno condizionato la politica della capitale italiana: Report racconta la crisi dei rifiuti del 2017 quando Palumbo (amministratore di Malagrotta, su nomina della procura) non collaborò con la giunta Raggi.

Come anche le gare andare deserte per trovare un impianto per i rifiuti di Roma nel 2018: così mentre gli amministratori di Ama si susseguono, si ha l'impressione che esista una regia, per sfruttare la crisi dei rifiuti a proprio favore.

Le aziende che si occupano dei rifiuti, i signori delle discariche e delle multiutility (A2A, Iren, Hera) hanno fatto cartello? I sindaci sono sotto scacco da fattori esterni?

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