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Report – l’autonomia differenziata (e la sicurezza nelle feste di paese)

Chi ci guadagna e chi ci perde se venisse applicata, per i comuni, la riforma federale?
L'inchiesta sul traffico dei Datteri di mare e, nell'anteprima, un servizio su come sono cambiate le leggi sulla sicurezza nelle feste di paese.

La musica è cambiata – di Antonella Cignarale
 
Dopo la tragedia di Torino del 2017, durante la finale di Champions, sono cambiate le norme sulla sicurezza negli eventi pubblici: si devono garantire vie di fuga e l'organizzazione deve confrontarsi coi vigili, perfino con la prefettura.
 
A Torino erano emerse delle carenze tra chi ha organizzato l'evento, è mancato il coordinamento tra chi ha organizzato l'evento e chi doveva occuparsi delle cure.
 
Così ora tutto è cambiato: per il concerto di Jovanotti per esempio la manifestazione è stata divisa in più aree, con percorsi precisi per i soccorsi, vietate sostanze infiammabili.
Se non si rispettano queste norme, il comitato per la sicurezza, i concerti si annullano, come successo a Vasto.
Ogni provincia applica le regole a modo suo, ci sono regole diverse: a Roma c'è una tabella che tiene conto dell'evento e dei partecipanti, a Bologna si fa una valutazione personale.
E nei paesi antichi, con vicoli stretti, con sagre che si svolgono nei quartieri storici?
Si rischia di non poter fare più queste feste: a Carpino per esempio, la piazza non è capiente per garantire uno spazio minimo per tutti i turisti che arrivano e dunque si rischia di non fare niente.
E se ci sono i fuochi d'artificio? Specie come quelli sparati a Foggia per la Madonna, dove la gente scappa, portandosi dietro pure qualche bruciatura?
A San Severo non ne vogliono sentir parlare di rinunciare alle batterie dei fuochi: per consentire i festeggiamenti si è ridotta la quantità di polvere da sparo.
E i “fujenti” si sono vestiti con gilet gialli, in una sorta di interpretazione personale della norma.
 
Servirebbe un po' di buon senso per conciliare la tradizione e la sicurezza: senza le sagre le casse dei comuni vanno in crisi, mancano i servizi, la gente se ne va e in quel vuoto si inserisce la criminalità.
 
Divorzio all'italiana di Manuele Bonaccorsi
 
Veneto Lombardia ed Emilia Romagna, il 40% del PIL, stanno chiedendo l'autonomia allo stato: ma dove si andrà a finire, in una sorta di spartizione tra good e bad company?
Eppure il federalismo fiscale lo abbiamo sperimentato, quello di Calderoli: aveva stabilito i LEP, i livelli dei servizio, aveva calcolato quanto i comuni dovevano incassare dallo Stato.
 
Poi tutto è scomparso, forse perché si scopriva che i comuni del sud dovevano prendere più soldi di quanti ne prende ora.
 
Così oggi succede che in due comuni diversi del paese, sembra di vivere in nazioni diverse: Reggio Emilia, con un bilancio per la cultura da 23 milioni di euro, il 20% del bilancio complessivo è investito in istruzione e asili, case popolari con miglioramento energetico (spesa complessiva pari a 54ml).
 
Altra Reggio, ma Reggio Calabria: per l'edilizia abitativa si spendono 2 ml di euro l'anno e non bastano. Il comune deve sottostare ad un piano di riequilibrio, non si può nemmeno investire un euro in più in cultura.
Tre asili comunali in tutto realizzati grazie a finanziamenti europei.
 
Due città simili, ma la prima ha un bilancio molto superiore alla seconda: c'è una maggiore efficienza, certo, ma in realtà Reggio Calabria non può spendere, non può assumere, pena una sanzione della Corte dei Conti.
 
La riforma Calderoli voleva andare oltre la spesa storica, calcolando i costi dei livelli essenziali per un comune e dando soldi in base a tale stima.
 
Se così fosse, i soldi dovrebbero arrivare dalle regioni del nord a quelle del sud, per avvicinare i livelli dei servizi tra nord e sud.
E invece ci si basa ancora sulle serie storiche: meno servizi hai, meno spesa fai e meno soldi ricevi dallo Stato.
Un emiliano ha diritto a 700 euro mentre un calabrese ha diritto a 400 euro di spesa pubblica: altro che solidarietà nazionale, altro che paese unito.
Se hai avuto meno, fino ad oggi, continuerai ad avere meno: Marco Stradiotto è il responsabile della Sose, la società che stabilisce la spesa per i comuni.
Nelle tabelle compilate da Sose, si scoprono delle variabili razziste secondo cui al sud il fabbisogno sociale è basso al sud, dove ci sono maggiori disoccupati, e alto al nord.
Al Sose si sono adeguati all'andazzo delle serie storiche, alle “variabili Dummy” stabilite dal deutato Marattin (governo Renzi, di cui era consigliere economico): serviva un fondo di solidarietà per compensare la spesa storica, ma questo governo si è preso tempi lunghi.
 
Nel 2015, l'ex sottosegretario Giorgetti, presidente della commissione bicamerale per il federalismo, aveva chiesto un documento di simulazione in cui si calcolava quando spettava a ciascun comune se venisse applicato il fondo di solidarietà per i comuni al 100%.
 
Questo documento, che è l'applicazione della riforma Calderoli, sono spariti: non li ha Giorgetti, non sono in commissione. Li ha ricostruiti assieme a Report l'associazione Open Polis: Giuliano in Campania avrebbe dovuto avere 200 ml, Reggio Calabria avrebbe dovuto avere 41ml di euro in più … fino a Napoli, che non ha ricevuto 159ml di euro (-165 euro a cittadino).
 
Qualcuno ha preso più: Viareggio, Pisa, Lucca.
Tutti i dati si ritrovano sul sito di Report: peccato che si sia scelto il criterio della spesa storica, il fabbisogno standard per la spesa è stato, tanto hai speso, tanto prendi.
Il che ha significato condannare il sud ad un destino già scritto.
 
A Napoli c'è un asilo vuoto, perché è stato costruito coi fondi europei, finiti i quali, è stato tenuto chiuso.
L'Emilia prendeva 20 ml di euro, mentre in Campania sono arrivati 13 ml di euro: ma in Campania ci sono meno asili e più bambini.
E così in Emilia possono permettersi asili gratis: certo c'è la buona organizzazione, ma c'è anche lo Stato che in Emilia, a San Lazzaro fa arrivare i soldi.
 
Della riforma chiesta dalle regioni del nord si sta occupando il ministro Boccia: prima di dare i soldi e le competenze alle regioni ha spiegato che serve stabilire i livelli (i LEP) e i costi dei servizi.
 
Le regioni del nord richiedono più competenze e dunque più soldi: eppure la cronaca giudiziaria recente non ha mostrato come virtuose le regioni (dallo scandalo del Mose a quello sanitario in Lombardia).
Problemi che nascono perché qualcuno ha fatto il mariolo – ha minimizzato Fontana.
E Maroni, ex presidente, si è alzato quando il giornalista gli ha ricordato le vicende giudiziarie, personali e non, in Lombardia.
In Veneto si sono bruciati 5 miliardi di euro nel Mose.
 
Ma veramente vogliamo contrastare lo spreco e la corruzione con l'autonomia come la vogliono Zaia e Fontana?
Le regioni devono rispondere per gli sprechi, degli amministratori incapaci, della corruzione.
 
Dopo mesi di trattative, Lombardia e Veneto non hanno trovato un accordo col Parlamento e questo governo ha deciso di riparire da capo: queste due regioni ora non vogliono più la secessione ma si accontentano dell'autonomia (sempre per non dare soldi al sud sprecone, dicono i militanti leghisti).
Anche l'Emilia vuole andare in quella direzione e il suo partito, il PD, si è spaccato: l'Emilia chiede solo 15 competenze (rifiuti, scuola, infrastrutture) e non 23 come quelle leghiste.
 
Si è parlato di secessione mascherata: così la chiama il professor Viesti, perché con questa riforma allo Stato lasciano solo servizi di sicurezza ai confini.
 
Le regioni del nord vogliono tenersi le tasse: ma sono i cittadini che pagano le tasse, non le regioni, sono discorsi non sensati, quelli per cui i cittadini del nord mantengono quelli del sud.
Lombardia e Veneto chiedono di tenersi il residuo fiscale, anche se oggi hanno posizioni più sfumate: non si parla più di residuo fiscale, ma solo di tenersi i soldi.
 
Ma tutto rientra: nella versione leghista (presente in una bozza), le regioni possono aumentare le tasse in proporzione alla crescita del benessere, del PIL: con queste simulazioni la Lombardia incamererebbe 1 miliardi di euro in più.
 
Le regioni del nord sono più virtuose? Certo, hanno una maggiore dotazione infrastrutturale per far andare i servizi, rispetto a regioni del sud.
Chi pagherebbe il fatto che con questa riforma, i soldi non andrebbero più dallo Stato centrale al sud, condannando il sud ad una arretratezza sempre maggiore.
 
In Trentino ci si imbatte nelle province autonome dove, 101 anni fa, si è combattuto per la conquista dei confini: la Marmolada anche oggi è oggetto di contese, dopo che il Trentino ha esteso i suoi confini sul ghiacciaio.
Il Trentino e le sue province si tengono il 90% delle tasse: qui tutto è più curato, i vicini di casa del Veneto sono invidiosi dei cugini trentini.
In Alto Adige per esempio è previsto un assegno di 200 euro fino al terzo anni di vita del bambino, per redditi fino a 80mila euro.
L'assessore alle politiche sociali, Waltraud Deeg, spiega che questo è un sostegno che raggiunge il 94% delle famiglie, anche quelle con redditi medio alti.
Per avere questo sostegno bisogna essere residenti nella provincia di Bolzano da almeno 5 anni, ma questo vincolo non vale per i cittadini comunitari che si trasferiscono qui. Come mai?
La segretaria della CGIL locale ha spiegato che questa facilitazione per i cittadini europei deriva dall'aver subito una procedura di infrazione dall'Europa, perché la norma era in contrasto con la direttiva sulla libera circolazione delle persone.
Un paradosso visto che, di fatto, discrimina i cittadini italiani.
 
La spesa pubblica complessiva pro capite qui è di circa 16mila euro, contro gli 11 mila del Veneto e i 10 mila della Calabria: Manuele Bonaccorsi è poi andato a Trento, dove ha intervistato il presidente della provincia autonoma che ha spiegato la maggiore spesa col fatto che costa di più far vivere le persone in montagna.
 
Devono essere i cittadini trentini che devono dirgli che spende male i soldi, non giornalisti italiani, a quanto pare di capire: come mai, per esempio, Trento ha il doppio dei dipendenti pubblici rispetto alla regione Veneto, che è dieci volte più grande come popolazione?
Quello delle provincie autonome è un privilegio?
No, perché è fatto noi nostri soldi, è un diritto – la risposta del presidente, che tira pure fuori i libri di storia: “prima della guerra mondiale non eravamo mica in Italia qui..”.
Siamo in Italia ma anche no..
 
L'autonomia non deve portare differenze tra le regioni, tra diverse zone del paese: può essere un'opportunità (Sigfrido Ranucci ha elogiato la buona amministrazione nelle province autonome); non va bene se deriva da pregiudizi, clientele, corruzione e mafie.
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