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Report: i dipendenti di Santanché e le origini della famiglia La Russa

 NON SONO UNA SANTA di Giorgio Mottola

Report torna sul caso Santanché: a luglio la ministra in aula aveva promesso che i suoi dipendenti avrebbero ricevuto la liquidazione, attesa da più di un anno.
A tre mesi dalle promesse Mottola è andato a trovare una ex dipendente di una delle aziende della ministra: purtroppo sono ancora in attesa della liquidazione, perché si deve aspettare la sentenza del giudice fallimentare.

Per evitare il fallimento Ki Group ha presentato una proposta di concordato, che però i giudici hanno respinto, ritenendola poco realizzabile: la garanzia di Ki Group si basava sull’intervento futuro di Bioera, la controllante, ma anche questa azienda non naviga in buone acque.
Se Ki Group fallisce lo stato italiano rischia di perdere i 2 ml di euro, quelli messi da Invitalia durante il Covid: alla fine potrebbe succedere che a pagare per la Ki Group saranno i contribuenti italiani.
Per quanto riguarda Visibilia i giudici stanno indagando per falso in bilancio, ma c’è anche un filone per il reato di truffa ai danni della stato: questa indagine nasce dal servizio di Report dove si parlava di dipendenti che lavoravano mentre erano in cassa integrazione.

Una contestazione tardiva – aveva detto la ministra in aula: la posizione della dipendente avrebbe dovuto essere regolarizzata, la procura di Milano ha chiesto un riscontro all’Inps, ma a quanto risulta a Report non è del tutto vero, Inps ha fatto sapere che il versamento da 20mila euro è si arrivato, ma manca un documento di ammissione di responsabilità.

Visibilia avrebbe dovuto ammettere le sue colpe, in un documento all’Inps: ora l’istituto ha voluto vederci chiaro, scoprendo che non è solo la Bottiglione la dipendente ad aver lavorato in cassa integrazione.
Report è venuta in possesso di una telefonata tra la dipendente e Dimitri Kunz dove ammette: “sono tutti come te [intendendo nella sua posizione] sono tutti in cassa integrazione a 0 ore ..”, nella telefonata si inserisce un altro dipendente che ammette di aver lavorato mentre era in cassa integrazione.

Dall’indagine sul prestito del fondo Negma, che ha realizzato una plusvalenza da 600mila euro mentre gli azionisti vedevano le loro azioni perdere di valore, è emerso il ruolo del senatore La Russa, di cui si è occupato il secondo servizio.

ALL’ORIGINE DEL POTERE DEI LA RUSSA – La Russa dinasty di Giorgio Mottola

Santa Barbara ha protetto la cittadina di Paternò, vicino a Catania: avrà anche protetto la carriera del presidente del Senato La Russa?

Anche La Russa ha fatto miracoli, mandando molti paternesi dentro le alte cariche nello stato: si tratta del gruppo dei fedelissimi del senatore, a partire dal presidente dell’ARS Galvagno.

Francesco Ciancitto è stato eletto nel collegio di Acireale: le malelingue dicono che è diventato parlamentare perché dentista di La Russa. No, non è vero, milito nel partito da 30 anni – si è difeso il deputato.
Giuseppe Failla un militante di FDI, si è visto prendere il posto da Ciancitto: ma la sua mancata candidatura è stata ripianata da una nomina in Senato scelta da La Russa stesso.

La collega di studio di Failla Rosanna Natoli non è stata eletta alla Camera ma è stata nominata dal parlamento come membro laico nel CSM: un bel salto di carriera visto che oggi deve decidere delle carriere dei magistrati venendo dalla provincia.

Lo zio di Ignazio era stato nominato podestà dal regime, il padre è stato per anni senatore del MSI: tutto nasce a Paternò dove c’è l’origine del potere della famiglia. Che però 70 anni anni si è spostata a Milano, su invito di un altro imprenditore, Virgillito, considerato un benefattore dai paternesi. Ma anche uno dei finanzieri d’assalto, regista di scalate spericolate su importanti aziende.
Alcune di queste scalate sono state finanziate da Sindona, il banchiere della mafia e della massoneria.
Non sono solo i busti del duce il problema in questa storia: a Paternò non mancano le immagini di Mussolini, anche nelle bacheche di FDI.

L’ex dirigente di FDI Condorelli ha raccontato a Report la storia di Nino La Russa e dei figli: La Russa era diventato senatore negli anni settanta battendo i candidati della DC, grazie alla sua rete clientelare – fa intendere Condorelli.

Ma La Russa padre diventa manager di importante aziende, assieme ad un altro finanziere molto discusso, Michelangelo Virgillito, un filantropo per i paternesi, tanto da meritare un posto nel santuario della Madonna della Consolazione.
Virgillito emigra a Milano negli anni ‘20, dove però non era considerato come un santo, ma un diavolo della finanza: il grande economista Ernesto Rossi definiva Virgillito “la parte più cancrenosa del nostro sistema economico [..] tra i più pericolosi gangster dell’economia”.

Era soprannominato il corsaro – racconta l’ex giornalista de l’Espresso Gianfranco Modolo – perché è stato uno dei primi finanzieri d’assalto della borsa italiana negli anni 60 – “con pochi mezzi e tecniche spregiudicate, basate sul ricatto, determinavano l’andamento della borsa in quegli anni con forti accelerazioni e forti perdite.”

Virgillito scala la Liquigas, il colosso che deteneva il monopolio delle bombole, senza che si sappia con quali soldi: era arrivato a Milano senza soldi, le fondi della borsa dicono che aveva conosciuto un ricco finanziere ebreo, con le leggi razziali quest’ultimo fu costretto a cedere i beni a Virgillito.

Grazie (o purtroppo) alle sciagure dell’imprenditore ebreo Virgillito entra in possesso di una fortuna: chiama a Milano Nino La Russa, a cui affida la Liquigas.
A metà anni sessanta deve ritirarsi per i debiti: la Liquigas passa ad un altro finanziere Ursini: Nino La Russa entra nel cda di altre aziende importanti come la SAI e la Richard Ginori.
Su Luquigas arriva l’ombra di Sindona: era l’amministratore occulta della Liquigas, assieme a Ursini – racconta l’ex giornalista de l’Espresso.

Lo scandalo esplose su l’Espresso grazie a Modolo, che aveva letto le carte della SEC per mano di Ambrosoli, il liquidatore di Banca d’Italia ucciso da Sindona nel 1979.
La Liquigas viene colpita dallo scandalo Sindona, ma La Russa rimane al timone della SAI, dove fa entrare nel CDA anche il figlio e poi anche l’ingegner Ligresti.


Ligresti ottiene il controllo di SAI: il giornalista de l’Espresso racconta di come sia stato tutto orchestrato da Nino La Russa che fa passare i beni finanziari dalle mani di Ursini e Virgillito nelle mani di Ligresti.

Report racconta le rivelazioni del pentito di mafia Ilardo raccolte dal colonnello Riccio: Ilardo si era infiltrato nella famiglia mafiosa di Catania, racconta a Riccio di come la mafia si stesse organizzando per le elezioni del 1994.

Riccio stesso racconta che in una riunione di mafia si decise del supporto a Forza Italia e a Vincenzo La Russa: secondo Ilardo la mafia aveva già rapporti con i La Russa. Sta tutto in un rapporto consegnato ai Ros “grande oriente”.

Il presidente del Senato ha consegnato a Report un video autoprodotto in cui risponde alle domande di Report: una volgare fake news, di cui Report risponderà in sede penale – la risposta del presidente del Senato.

La magistratura non ha mai aperto una indagine sui La Russa partendo dal rapporto del Ros, mentre Luigi Ilardo fu ucciso nel maggio 1996, poco dopo essere entrato ufficialmente nel giro della protezione dei testimoni.

A Paternò c’è un call center che lavora per la regione Lombardia: si chiama Lombardia call e lavora per la sanità della regione Lombardia (per le prenotazioni degli esami).
Come mai spostare in Sicilia parte dei servizi regionali? L’ex consigliera Monica Rizzi era tra quelli, dell’allora maggioranza di centro destra, poco contenti di questa scelta.

Ci fu anche una crisi nell’amministrazione Formigoni, ma alla fine quell’accordo politico con AN prevalse: il call center fu spostato a Paternò.
Romano La Russa era capogruppo di AN in quegli anni: secondo Monica Rizzi è lui che avrebbe spinto per la scelta di spostare il call center a Paternò.
“Non me ne frega niente..” ha risposto il consigliere La Russa a Report: è stata la proposta più vantaggiosa tra quelle ricevute, risponde a Mottola, una scelta dunque pure rivendicata.

Ma il vantaggio sarebbe stato solo di quelli che sono stati assunti: l’ex sindaca di Paternò e il dottor Condorelli parlano della rete clientelare dei La Russa, delle assunzioni in cambio del voto.

A Paternò apre anche un altro call center, MIDICA, una struttura privata ma legata alla regione Lombardia, per il portale del SIS: dietro questo call center c’era il cognato dei La Russa, Raspagliesi.

Midica ottiene appalti con altre società pubbliche (come Inps e Poste): con 471 dipendenti è una delle più importanti attività in provincia, questi call center hanno poi assunto centinaia di paternesi, su “suggerimento” dell’ex sindaco Failla, su sua stessa ammissione.

In tre anni MIDICA ha accumulato debito per 3 ml: il cognato di La Russa riesce a vendere a degli imprenditori bresciani capeggiati da Patrizio Argenterio.
Il call center fu pagato 3,5 ml di euro dall’imprenditore, sebbene l’azienda non valesse niente: come è stato possibile?

Argenterio era a capo di una azienda che lavorava con la SAI di Ligresti: qualcuno gli suggerì di comprare quel call center, per evitare l’arresto del cognato dell’allora ministro della Difesa – così racconta a Report Argenterio.

Argenterio parla anche di un incontro con La Russa, che nel 2008 ministro della Difesa: quest’ultimo gli ventilò di un progetto di informatizzazione della Difesa, progetto dentro cui sarebbe potuto entrare Argenterio stesso.

Chi ha ragione, il presidente del Senato che smentisce l’incontro e la conoscenza di Argenterio, oppure l’imprenditore bresciano?
Alla fine la cordata bresciana compra la MIDICA, che cambia nome: ma alla fine il call center continua ad andare in perdita, tanto che alla fine Argenterio viene arrestato per bancarotta e falso in bilancio.

Anche ai 300 dipendenti di MIDICA non è andata bene: dopo la bancarotta scoprirono poi che la loro liquidazione non era stata versata.

La Russa e Corsaro sono stati soci in affari, oltre che essere stati compagni di partito: nel 2002 decidono di investire in una enoteca, la Gibson vini, con cui diventano soci di un imprenditore, che si chiama Sergio Conti.
L’enoteca non va bene e La Russa e Corsaro dopo poco tempo fondano una società immobiliare (per gestire l’immobile dell’enoteca) assieme all’imprenditore Sergio Conti: dopo pochi anni un’indagine della procura scopre che Conti era entrato in contatto con esponenti della cosca Onorato, la ndrangheta che aveva stretti rapporti con la mafia dei Santapaola.
Conti si rivolse proprio alla cosca Onorato per farsi restituire dei soldi che aveva prestato ad altre persone: alla fine Conti viene condannato a sei anni in primo grado, ma in Cassazione viene tutto annullato, il reato è poi rimodulato in una nuova forma, che richiedeva una querela di parte.

Alla fine Conti è stato assolto per improcedibilità.

La vicenda della ndrangheta non è una fake news, purtroppo per Conti, per La Russa e per noi.

Il giudice del Tribunale di Milano Gennari racconta a Report che questa relazione è molto pericolosa: perché quando entri in contatto con queste persone, non ne esci più.

È opportuno tutto questo?

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