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Report: Santanché, il lato imprenditoriale del Ministro del Turismo

Report ieri ha aperto la puntata con un servizio sul verde in Africa che vede coinvolta anche l'Eni. Poi la Ki Group e l'esperienza imprenditoriale della Santanché, ministra del Turismo. Infine, la distruzione di Alitalia e la nascita di Ita.

Luangwa project di Luca Chianca

Nell’anteprima di Report si parla del programma Luangwa, un progetto di salvaguardia del verde in Africa, preservare le foreste per contrastare i cambiamenti climatici. Chi difende la foresta acqusita dei crediti di carbonio, come successo per Eni. Crediti che possono essere usati per compensare le emissioni di carbonio.

Ma cosa fa l’Eni? Report ha verificato lo stato dei progetti in Zambia, sui crediti del carbonio: il servizio raccontava di come fossero progetti fittizi, non si riduceva affatto la deforestazione, erano pretesti per comprare crediti e continuare ad inquinare.
La Bezero – una agenzia di rating che si occupa dei crediti del carbonio ha fatto downgrade del progetto Luangwa: bassi i benefici sul territorio, bassi gli impatti sulla deforestazione. Le scuole elementari costruite dall’Eni sono ancora vuote, dentro mancano banchi, mancano le sedie.

Si vede – raccontano dallo Zambia – che Eni ha fatto così tanti profitti col progetto (vendendo crediti) da essersi dimenticata dal progetto, delle comunità che dovrebbero prendere almeno il 70% dei profitti dai crediti.
Anche sulla densità della popolazione Eni avrebbe “barato”, per migliorare le performance del progetto – spiega Re Common: eppure il progetto è stato certificato da Verra, un’importante società americana
 dentro cui però ci sono troppi legami con le aziende del gas.

Open to fallimento di Giorgio Mottola

La ministra Santanché si è sempre vantata dell’essere una imprenditrice capace, che si preoccupava dei dipendenti a cui avrebbe anticipato la cassa integrazione durante il covid. Ma ascoltando le storie dei suoi dipendenti, emerge un quadro diverso.
La svolta politica è avvenuta con Berlusconi, oggi è diventata ministra col governo Meloni: a leggere i suoi bilanci viene fuori un quadro poco brillante, dal punto di vista imprenditoriale, dal settore dell’editoria a quello del Bio.
Bilanci negativi, fornitori non pagati e fagocitati da concorrenti, dipendenti che ancora aspettano la liquidazione.

La Ki Group è una delle prime aziende italiane nel biologico, nata negli anni settanta: era una azienda modello, si lavorava bene, ma poi nel 2006 la società viene venduta a Bioera e arriva la crisi. Ki Group viene salvata da Santanché e da Mazzaro, il suo socio: le dipendenti pensavano che la crisi fosse alle spalle, invece da lì iniziò il declino.

Grazie ad un accordo con MPS, Mazzaro si fa carico del debito di Bioera con un minimo esborso: per rilevare il gruppo forse non ci hanno messo nemmeno un euro – spiega a Report Bellavia il consulente finanziario.
Nei primi anni i fatturati dell’azienda rimangono alti, fino ai 55ml di euro del 2011: i due proprietari (Santanché e Mazzaro) si avvicendano più volte alla presidenza del cda dell’azienda e della controllante Bioera, assegnandosi compensi che nel tempo sono arrivati a superare i 600mila euro l’anno. In meno di 9 anni solo per stipendi per le cariche sociali l’attuale ministra si è portata a casa 2,5 ml di euro mentre Canio Mazzaro 6. In più ogni anno Ki Group ha pagato a Mazzaro l’affitto di un’automobile di lusso e di una casa in centro a Milano messo a bilancio come ufficio di rappresentanza.

Questi lauti compensi che si auto attribuivano in quegli anni era proporzionati ai risultati che ottenevano? A questa domanda ha risposto il consulente di Report Bellavia “assolutamente no, la società ha sempre perso: nel 2016 perde 2,7 ml di euro, come dato consolidato di gruppo, e loro prendono compensi pari a 1,663 ml ”. Di fatto contribuiscono alla perdita della società, metà delle perdite derivano dai loro compensi, senza considerare gli altri benefit, le case, le macchine, l’appartamento a Milano che costava 100mila euro di affitto.

Il CDA di Ki Group si assegna un compenso di 500mila euro, quando l’intera somma degli stipendi non arrivava a 2ml di euro. Nel cda di Ki group arrivano parenti dei due proprietari e ad un certo punto anche Cirino Pomicino.

Fu lui a far incontrare la Santanché a Berlusconi: dopo l’incontro con Berlusconi – racconta il servizio di Giorgio Mottola – la sua carriera decolla, prima consigliera provinciale a Milano, nel 2001 fa il suo ingresso alla Camera con Alleanza Nazionale.

“Lì iniziò la mia alfabetizzazione politica” racconta ‘o ministro Pomicino a Report, che all’epoca scriveva anche i discorsi a Santanché sulla finanziaria “lei andò in commissione Bilancio e mi disse, io non capisco niente, ma uno studia e lei invece non studiò per cui alla fine della giostra facevo io il ghostwriter.”
Lei è stato il pigmalione di Santanché – chiede Mottola a Pomicino

“Io devo dire che quello è stato il mio fallimento perché quello che io pensavo fosse la grande passione politica .. lei non è una donna appassionata di politica, lei è una donna appassionata di potere.
Nonostante i rapporti si fossero deteriorati, nel 2012 Pomicino divenne vicepresidente di Ki Group, “avevo bisogno di lavorare”, ammette l’ex ministro che però sapeva poco di biologico.
Il marchio Ki Group in quegli anni era ancora la gallina dalle uova d’oro del suo impero, ogni anno sfornava utili a 6 cifre ma invece di reinvestire i profitti nell’azienda venivano dirottati nelle tasche della proprietà e degli azionisti come dividendi.
Ma l’azienda non investì mai per migliorare la sua produzione: alla fine nel 2019 la Ki Group cacciò Poggio, il vecchio AD, la gestione diretta dell’azienda passò nelle mani di Santanché.

Iniziò in quegli anni la pratica di non pagare i fornitori o di pagarli in ritardo, nonostante le rassicurazioni della proprietà: molte aziende si fidavano di Ki Group e continuarono a mandare i loro prodotti, ma i crediti arrivano a 8 ml di euro. Mentre i grandi fornitori potevano minacciare delle richieste di pignoramento, le piccole aziende fornitrici della Ki Group furono quelle che finirono peggio. Report è andata ad incontrare a Vercelli una società che vendeva prodotti alla Ki Group: Santaché avrebbe rassicurato direttamente questa azienda tirando in ballo il fatto di essere azienda di famiglia.

Ki Group cambiò il nome della società con una cessione di ramo d’azienda: c’era la società quotata in borsa che doveva avere bilanci certificati e poi c’era la Ki Group SRL, la società che faceva i soldi.
Il debito verso i fornitori di Ki Group SRL arrivò a 3 ml di euro, mettendo in crisi le piccole aziende del biologico: la AT&T è una di queste aziende messe in crisi, il 40% del loro bilancio dipendenza dalla Ki Group, tanto da essere messa in liquidazione.

Alla fine la AT&T fu rilevata proprio dalla Ki Group, l’azienda che li aveva messi in difficoltà.

Come mai la Ki Group ha fatto delle performance così negative?
Colpa di errori gestionali – racconta l’advisor che ha portato l’azienda in borsa – non è stata colpa della crisi: errori dei manager che sono ricaduti sui dipendenti della Ki Group, delle piccole aziende del biologico che non sono state pagate (una è stata perfino rilevata dalla stessa senatrice).

Nel 2017 i dipendenti di Ki Group furono licenziati: ancora aspettano la liquidazione, nonostante siano passati anni, l’ammontare complessivo è di circa 800mila euro.
Ora la ministra risponde che non ne sa nulla, non si occupa di queste aziende: ma Santanché è stata operativa dentro l’azienda, collaborando con Canio Mazzaro fino al 2022.

Ki Group era stata quotata in borsa per 35 ml di euro, ora vale 469mila euro: ma nonostante questo gli stipendi della proprietà non sono mai diminuiti, ci sono stati gli spostamenti di denaro dal gruppo verso Visibilia, ufficialmente per i servizi resi, come le consulenze date da Visibilia editore.
Sono sempre società della Santanché dentro cui troviamo anche Bisignani, una vecchia conoscenza di Report e delle cronache, dalla P2 alla P4.

Nel 2020 in tante interviste la ministra Santanché si vantava di essere un imprenditore che aveva anticipato la cassa integrazione, ma non era vero: la ministra non ha mai anticipato nulla durante la pandemia.
Stessi problemi coi dipendenti della Visibilia: c’erano dipendenti messi in cassa integrazione a 0 ore, ma nessuno lo aveva avvisato, aveva continuato a lavorare come prima.
Una cosa vietata dalla legge, si tratta di una truffa penale allo stato: la lavoratrice se ne accorso solo dopo alcuni mesi, quando chiese informazioni all’attuale proprietario Dimitri Kunz (fidanzato del ministro).
Anche Visibilia è quotata in borsa, nel 2017 ha licenziato tutti i dipendenti dai giornali, “per avere maggiore flessibilità” spiega Kunz: ma leggendo bilanci si comprende come dalle casse delle aziende arrivavano ad altre società del ministro, come Visibilia concessionaria.

Operazioni opache che sono state denunciate da un azionista, Giuseppe Zeno.

C’è poi un legame, emerso dal servizio, tra Visibilia concessionaria alla società di Armando Testa, società che si è presa l’appalto (senza gara) per la campagna “Open to meraviglia”.

Speriamo che la campagna Open to meraviglia funzioni meglio che le società della ministra: Visibilia alla fine è andata in crisi ed è stata salvata da una società di investimento straniera, la Megma.
Ma l’arrivo di un fondo ha peggiorato il valore delle azioni: ma il prestito di Negma si è rivelato poi una piaga, il titolo è crollato, come se fosse una partita truccata – ha spiegato il consulente Bellavia.
Dall’anticipazione uscita sul Fatto Quotidiano:

Report si è focalizzata sull’operazione finanziaria che ha portato, in base a un contratto firmato l’8 ottobre 2021, il fondo Negma, con sede a Dubai e registrato nelle Isole Vergini Britanniche, ad acquistare obbligazioni di Visibilia per tre milioni di euro. Negma che convertiva le azioni quando il titolo era molto basso, e le vendeva quando il valore dell’azione di Visibilia improvvisamente risaliva, riuscendo a guadagnare quasi 1,5 milioni di euro su un prestito di 5 milioni. Operazione che porta Visibilia a perdere il 97% del suo valore in borsa, e, come già scritto dal Fatto, arricchisce il fondo, appiana i debiti delle società e punisce gli azionisti: uno di loro, Giuseppe Zeno, ha denunciato tutto alla procura vedendoci una possibile manipolazione del mercato. Sull’operazione indagano i pm di Milano. Non è possibile sapere chi c’è dietro al fondo emiratino, il cui presidente è un arabo, Elaf Gassam, ma Report nota come Ignazio La Russa, avvocato di Visibilia e delle società di Santanchè, abbia mandato a MilanoToday anche due diffide a nome del fondo Negma. La Russa non ha risposto alle domande di Report, mentre Dimitri Kunz, l’attuale compagno di Santanché e ad di Visibilia, nega che si tratti dell’avvocato di Negma: “Ha solo mandato le diffide”.

Chi è ha comprato le azioni di Visibilia? Chi c’è dietro il fondo Negma di Dubai che ha prestato 3 ml alla Visibilia di Santanché e Kunz, guadagnandoci plusvalenze per 600ml?

Mottola ne ha chiesto conto all’ex AD di Visibilia, Kunz stesso, l’attuale fidanzato della ministra: non c’è Visibilia dietro Negma – si difende di fronte al giornalista, eppure il presidente del Senato La Russa, avvocato della società partecipò al cda di Visibilia nei giorni in cui lo stesso avvocato La Russa che mandava diffide al giornale online Milano Today.

La Russa è l’avvocato per Negma e Visibilia?

Non è vero che La Russa è avvocato di Negma, racconta a Report Kunz, che oggi è anche proprietario delle quote del Twiga che appartenevano alla ministra che se ne è dovuta liberare per evitare conflitti di interesse, dandole al compagno.

In 9 anni Ki Group e Bioera hanno raccolto dagli azionisti 23 ml di euro, di questi 9 sono finiti in emolumenti.
Alla fine sono questi numeri che raccontano della bravura come imprenditrice della ministra.

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