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Referendum acqua pubblica: ne parliamo con Roberto Fumagalli

Il referendum sull’acqua pubblica si farà, come prevede la legge, entro e non oltre il 12 Giugno. Molto probabilmente si farà proprio l’ultimo giorno utile assieme a quelli sul nucleare sul legittimo impedimento.

Il comitato promotore del referendum ha anche provato a spostare la data in cui i cittadini saranno chiamati a decidere sul futuro dell’acqua pubblica, senza però riuscirci. L’intento era quello di accorpare i referendum alle amministrative che si svolgeranno in primavera. In questo modo si sarebbero risparmiati dai 300 ai 400 milioni di euro. Ma questa è un’altra storia.

I due quesiti hanno principalmente due finalità: fermare la privatizzazione dell’acqua e far rimanere fuori i profitti dall’acqua.

Nello specifico il primo quesito propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Il governo Berlusconi vuole, infatti, affidare la gestione del servizio idrico ai privati.

Il secondo quesito si propone di impedire, abrogando il comma 1 dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006, ai privati di ottenere profitto dalla gestione dell’acqua. Il comitato promotore spiega che questo comma “consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio”.

Per capire meglio i quesiti del referendum e il perché l’acqua debba rimanere pubblica ho contattato telefonicamente Roberto Fumagali del Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua.

Ettore Trozzi: Non si parla molto del referendum sull’acqua pubblica, come spiegherebbe i due quesiti ad un normale cittadino?

Roberto Fumagalli: Attraverso due slogan semplicissimi: “fuori i mercanti dall’acqua” e “fuori i profitti dall’acqua”. Quello che vogliamo evitare è che la gestione degli acquedotti finisca nelle mani della speculazione finanziaria, perché in questo modo non sarebbe più controllabile dai cittadini. Ed è importante ricordare che l’acqua è un diritto e lo dichiara anche l’ONU.

ET: Mentre il decreto Ronchi…

RF: Il decreto Ronchi considera l’acqua come una merce e che quindi deve essere gestita da società private che vogliono profitto e non gestire un diritto dei cittadini. I quesiti referendari vogliono cancellare queste leggi.

ET: Continui…

RF: Sottraendo i profitti dall’acqua, questi quesiti porrebbero la base per un percorso di vera ripubblicizzazione dell’acqua. I cittadini attraverso i comuni devono poter controllare liberamente questo servizio pubblico. Oggi questo non è possibile perché la legge Galli avvia alle privatizzazioni che consegnano la gestione dell’acqua alle società private. Gli effetti della privatizzazione dell’acqua prevedono aumenti ingiustificati bollette e delle tariffe senza quegli investimenti che la rete idrica avrebbe bisogno; stiamo parlando di 40-60 miliardi di euro. Questi soldi non li apportano i privati e gli investimenti tanto promessi non sono stati portati in porto.

ET: Mi pare di capire che quindi il referendum sia solo il primo passo…

RFIl referendum è il primo passo, quello che viene dopo è rivedere la legge quadro. Noi abbiamo fatto una proposta di legge popolare, che è già sul tavolo dei due rami del parlamento, ma non è stata presa in considerazione. La nostra legge, che ognuno può consultare, dice che l’acqua è un diritto, un bene comune e può essere gesitita solo da comuni con la partecipazione dei cittadini. Questo è, purtroppo, l’opposto di quello che si fa oggi.

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