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Questo matrimonio non s’ha da pagare

Nel 2010 ci arrivò la segnalazione di un «premio maritaggio» del Comune di Torre del Greco riservato a «fanciulle bisognose» che si fossero sposate solo con rito religioso e con prova di «buona condotta» rilasciata dal prete. L’Uaar fece ricorso contro questa misura grottesca, vincendo al Tar: una storia ripercorsa nei suoi aspetti giuridici dalla responsabile iniziative legali dell’associazione Adele Orioli sull’ultimo numero della rivista Nessun Dogma

Il favoritismo clericale delle istituzioni però è ancora vivo e vegeto. Proprio in questi giorni si ha notizia di un’iniziativa per certi versi simile: un disegno di legge di parlamentari della Lega che stanzia un bonus fino a 20 mila euro per le spese dei matrimoni, ma solo quelli celebrati in chiesa e solo per chi ha la cittadinanza italiana da almeno di 10 anni e un reddito non superiore ai 23 mila euro. Emblematica della concezione discriminatoria di famiglia “tradizionale” della destra clericale: deve essere non solo formata da un uomo e una donna ma rigorosamente cattolica (e italiana). Persino il governo Meloni ha preso le distanze e i promotori si sono affrettati a dire che la misura sarà estesa alle nozze in Comune (ma non alle unioni civili). 

Spesso le iniziative giuridiche dell’Uaar oltre a segnare piccoli ma inesorabili passi sul cammino della laicità e dei pari diritti dei non credenti riescono ad avere anche notevole risonanza mediatica. Spesso, ma non sempre. Talvolta la mancata pubblicità è voluta a tutela dei soggetti coinvolti, i diritti dei quali restano a nostro avviso preminenti rispetto a qualsivoglia utilizzo utilitaristico a fini associativi delle loro vicende, ma ci sono piccoli grandi casi che avrebbero comunque meritato maggiori approfondimenti.

Correva l’anno 2010 quando giunse segnalazione di un curioso bando del Comune di Torre del Greco per l’assegnazione di un “premio maritaggio a favore di fanciulle bisognose”, cinquemila euro. Premio riservato a ragazze sotto i trent’anni, in condizioni economiche disagiate, che si fossero sposate entro il 31 dicembre. E fin qui tutto bene. Ma ulteriori ed essenziali condizioni per la partecipazione erano non solo l’aver contratto matrimonio religioso (!) ma persino il “certificato di buona condotta morale e civile” (!!) rilasciato dal sacerdote officiante.

Dopo qualche scaramuccia iniziale (leggasi: il Comune rifiutò l’accesso agli atti, così di botto e senza senso, l’Uaar si rivolse al Tar Campania e stravinse) e presentato dall’Uaar ricorso, la linea difensiva adottata dall’amministrazione torrese si basava essenzialmente sull’istituzione del premio stesso, un lascito testamentario di un sacerdote, tale Raffaele Sannino, del 1883. Ma a dirla tutta l’immobile lasciato a sostegno del premio da anni non generava introiti ritenuti sufficienti, tanto che pronte e generose le casse comunali avevano da anni rimpinguato di circa quattro volte la somma destinata dal prelato ai “maritaggi delle donzelle povere”.

Spoiler: abbiamo vinto. Soffermiamoci quindi su quanto il Tar Campania, nell’annullare tutti i provvedimenti torresi e nell’accogliere il ricorso dell’Uaar, rimprovera senza troppi giri di parole, al Comune torrese. Intanto l’erede originario del legato era la Congrega di carità, istituzione laica e non religiosa. E già questo basterebbe a chiudere la questione, perché fin dal 1890 (sic) la disciplina di questi enti vieta di elargire benefici «a favore di questi o quei soggetti in ragione della loro appartenenza religiosa, ponendo così un vincolo di diritto pubblico che non poteva essere superato prevedendo in un lascito privato un onere di segno contrario». Si stava meglio quando si stava peggio insomma, e senza nemmeno dover tirare in ballo i valori costituzionali.

In secondo luogo viene demolita la tesi in base alla quale don Sannino avrebbe avuto come primaria intenzione quella di promuovere il sacramento del matrimonio: non era l’aspetto religioso quello preminente, bensì quello di «aiutare ragazze povere favorendone le nozze, che, secondo una concezione largamente dominante in una popolazione scarsamente alfabetizzata ed in una società prevalentemente rurale, costituivano coronamento della esistenza femminile quale preludio alla procreazione».

In tal senso quindi si può ricondurre senza sforzi il premio di maritaggio sotto la disciplina del premio di nuzialità di cui all’art. 699 del Codice civile. Illecito poi il continuo rimpinguare le casse del premio da parte del Comune; non solo per contrasto con norme imperative fin dal 1890, ma anche perché, e torniamo ai giorni nostri, «le prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della vita, ivi comprese dunque le prestazioni costituite dal “premio di maritaggio”, rientrano nella materia dei servizi sociali».

E qui sì che entra in gioco il divieto di discriminazione della nostra costituzione. «Resta, perciò, escluso che l’amministrazione potesse legittimamente stanziare risorse pubbliche per l’integrazione di un premio da assegnare esclusivamente in favore di cittadini di religione cattolica, né un negozio giuridico privato sarebbe stato idoneo a vincolarla in tal senso» conclude plumbeo il Tar.

Vittoria, con un finale agrodolce: le spese sono state compensate data la “novità della questione”. All’Uaar capita spesso, d’altronde spesso è prodromica e pioniera. Resta da capire però dove sia la novità in un divieto del 1890, ma come si suol dire… ce ne faremo una ragione.

Adele Orioli

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