• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Attualità > Quella sigaretta a zio Donato, involontario testimone di un’assenza (...)

Quella sigaretta a zio Donato, involontario testimone di un’assenza scolastica ingiustificata

Zio Donato, oltre ad aver sposato una sorella di mia madre, era anche mio padrino di battesimo, per tale ragione gli ero affezionato, diciamo così, in modo particolare e pure lui aveva un occhio di riguardo per me.

Contadino dalle fasce, sin da piccolo si era speso totalmente nel lavoro, sia al paesello, sia e specialmente in prolungate campagne d’attività a Brindisi, presso una famiglia di proprietari terrieri, in seno alla quale, man mano, era divenuto collaboratore di fiducia per svariate funzioni: assistenza ai vigneti, raccolta e trasformazione dell’uva, conservazione del vino, cura degli uliveti e molitura dei frutti.

Insomma, zio Donato, pur essendosi formata una famiglia e arrivato ad avere un discreto numero di figli, passava la maggior parte dell’anno a Brindisi.

A parte la sede del suo lavoro di contadino, agricoltore, frantoiano, va sottolineata la grandissima mole di operosità a cui egli si sottoponeva, senza orari, oltre ogni logica misura, d’altro canto, in quei tempi, non esistevano i mezzi moderni che alleviano notevolmente le fatiche nei campi: in sintesi, si “ammazzava” di lavoro.

E non è che, in caso di qualche acciacco, di cui, purtroppo, iniziò a essere toccato già da giovane, si recasse dal medico o in farmacia, i malanni, così come venivano, dovevano passare, da soli, ma, conseguentemente, a lungo andare, il suo fisico finì col risentirne.

Cosicché, saltuariamente, incappava anche in pesanti debilitazioni, che lo costringevano a sottoporsi a serie terapie e cure.

Sotto questo regime di vita e di attività lavorativa, praticamente già prima dei 50 anni, le sue forze finirono con essere ridotte e, in un certo senso, zio Donato arrivò a scontare l’eccessiva operosità tenuta da ragazzo e da giovane con il riposo impostogli.

Cessarono anche le trasferte a Brindisi, calarono le entrate per il bilancio famigliare, sebbene, nel frattempo, i figli fossero un po’ cresciuti e la moglie, quando c’era da svolgere qualche lavoro, non si tirasse indietro: per fortuna, forse, a zio Donato fu riconosciuta una modesta pensione d’invalidità.

° ° °

A poco più di 15 anni, presi a fare il filarino a una ragazza quasi mia coetanea, bella figliola di buona famiglia abitante in un paese vicino, Rita, e, pur d’incontrarmi con lei, nel pomeriggio, finiti i miei compiti scolastici, non esitavo a inforcare la bicicletta e mi recavo a casa sua, col pretesto di aiutarla nello studio.

Diventò una sorta di soccorso alla famiglia, il mio, giacché la madre di Rita, avendo capito che l’aspirante alla figlia era svelto e bravo, non esitava a chiedermi di dare una mano, per far capire le declinazioni del latino e le espressioni aritmetiche, anche alla sua secondogenita, frequentante le prime classi della media.

Ricordo, fra l’altro, che, in un’occasione, la premurosa genitrice giunse a dirmi: “Guarda, se fai entrare nella testa di Maria Rosaria il meccanismo di queste robe, io ti regalerò una penna stilografica, vedi è un’Aurora 88, non nuovissima, tuttavia perfettamente funzionante”.

Fu la prima volta, per me, di essere protagonista di una sorta di baratto, uno scambio in natura didattico culturale, ad ogni modo quell’aurora 88, che mai e poi mai avrei potuto procurarmi diversamente, divenne mia.

Ma io pensavo a Rita, ben più che di insegnare matematica e latino alla sorellina e, man mano che passava il tempo, crescevano pure le idee e l’iniziativa.

Nel 1958, proposi a Rita di trascorrere mezza giornata insieme, da soli, clandestinamente, a Lecce, località dove lei si recava quotidianamente per frequentare la scuola superiore, mentre io studiavo a Maglie; di ritagliarci una mattinata lì, ovviamente marinando le lezioni, da parte mia, anziché scendere a Maglie dalla solita corriera che prendevano entrambi, avrei proseguito sino a Lecce, oltretutto il controllore delle Sud est, con gli anni divenuto amico, non mi avrebbe fatto pagare neppure la differenza di biglietto e poi, all’orario di sempre, ce ne saremmo ritornati alle rispettive case.

Concordammo, come giorno per l’avventura, il 2 di maggio, che, oltre ad essere successivo alla festa nazionale del lavoro, era l’indomani della festa del santo patrono nel paese di Rita, festa che, secondo copione, presupponeva di andare a letto tardissimo, dopo aver per di più dedicato poco tempo allo studio.

Così avvenne.

Arrivati nel capoluogo salentino verso le 7,45, c’era il problema di trascorrere l’intervallo sino all’orario d’ingresso a scuola, in un posto nascosto, riservato, in modo da non essere visti, da compagni o professori di Rita, sicché pensammo di infilarci per qualche tempo nel cortile di un vicino palazzo.

Quindi, via verso un cinematografo, il “Santalucia”, non molto distante, in cui si effettuavano programmazioni anche di mattino, giustappunto le matinée, è ancora vivo il ricordo, quel giorno si dava un famoso film americano del 1956 “L’uomo che sapeva troppo” con due famosi attori, James Stewart e Doris Day, la pellicola conteneva una pregevole colonna sonora, nel cui ambito era dato di ascoltare una stupenda canzone “Whatever will be, will be”, in italiano, “Che serà, serà” eseguita dalla personale voce dell’affascinante Doris Day.

Senza essere un appassionato di musica e di canzoni, quelle antichissime strofe, per giunta nel lessico anglosassone semisconosciuto e la musica della canzone mai mi sono uscite di mente.

A dir tutta la verità, Rita e io guardavamo sì le sequenze del film e ci gustavamo la canzone di Doris Day, però, nel buio o quasi della sala cinematografica, attendevamo anche a qualcosa d’altro, secondo le abitudini e nei limiti propri di quei tempi e in linea con il genere delle spinte affettive correnti fra ragazzi e giovani d’allora.

Recava il calendario, come anzi ricordato, l’anno 1958 e in estate, filarino con Rita a parte e un po’ posto in ferie, avvenne un evento eccezionale, giusto in concomitanza con i campionati mondiali di calcio che segnarono l’esplosione della fama del grande e mitico Pelé.

Un altro mio zio, Alfredo, il quale prestava servizio in Polizia nel Friuli, reduce da un incidente di lavoro con la moto e posto in convalescenza, pensò di trascorrere il periodo di riposo e di riabilitazione al paesello; nell’occasione, volle portare con sé la fidanzata che, i genitori, non fecero però scendere al sud da sola, bensì in compagnia di una giovane cugina e di uno zio di quest’ultima.

Da parte mia, non persi tempo, trascurando completamente i mondiali di calcio, m’intruppai subito nella comitiva dei friulani, lo zio Alfredo era il fratello piccolo di mia madre, si passava con me appena otto anni, gli ero legato, in un certo senso presi a fare tutto quello che facevano gli arrivati, fra cui trascorrere parte delle giornate in riva al mare, tenendo compagnia, per non farla “annoiare”, alla biondissima cugina, Teresina, alla Marina di Andrano, nei pressi della caratteristica Grotta Verde, dove lo zio Donato menzionato all’inizio aveva una casetta di villeggiatura e dove, in quel periodo, in assenza della moglie e dei figli trasferitisi temporaneamente in Basilicata per coltivarvi il tabacco, s’era spostato con i suoi acciacchi.

Ebbe a rivelarsi indubbiamente bella, quella vacanza, in tutto diversa dalle precedenti, io non lasciai un istante la giovane cugina, anche se la medesima mi aveva confidato di avere un ragazzo, dalle sue parti. Con zio Donato, nel ruolo di spettatore silenzioso di parole, contatti e diatribe fra il nipote e la giovane del nord est.

Finito il periodo, la comitiva, ovviamente, se ne partì dal paesello e io ripresi i contatti e i rapporti con Rita.

Iniziò il nuovo anno scolastico, s’avvicinò velocemente la primavera; bastò appena uno sguardo d’intesa affinché Rita e io ci determinassimo a ripetere la giornata, la mattinata d’evasione in quel di Lecce.

Nella seconda edizione, però, niente cinematografo, bensì semplicemente una passeggiata verso le campagne che, all’epoca, erano a portata di mano rispetto all’abitato, alle scuole e al centro cittadino.

Così, trascorremmo una gradevole parentesi di due - tre ore di tranquillità fra prati fioriti, scogli e fazzoletti di terra verdeggianti, dopo di che ci dirigemmo verso la stazione delle autocorriere per il ritorno a casa.

Rita salì per prima sul mezzo e mentre, a mia volta, mettevo piede sull’autobus, bastò un attimo perché scorgessi, in prima fila seduto immediatamente dietro il conducente, un volto familiare, notissimo, si trattava di zio Donato, il quale, pensai subito, verosimilmente si era recato a Lecce per una visita medica o un controllo specialistico.

Non impiegò un istante, neppure zio Donato, a notarmi e gli venne del tutto naturale dire: ” Nipote, e tu che fai qui, hai cambiato scuola, non dovresti essere a Maglie?”.

Da parte mia, ovviamente non gli diedi alcuna risposta, rimasi con il volto impietrito, perplesso e preoccupato di eventuali scoperte dell’altarino della “vacanza” dalle lezioni con Rita.

Anche il buon uomo capì subito di essere stato, diciamo così, indiscreto, tant’è che, in un baleno, venne ad aggiungere: ”Oh, nipote, guarda che io non ho visto nulla, naturalmente non ho visto nulla”. I tratti del mio viso si schiarirono e anche la mia mente ritornò leggera.

Lo zio, convintosi d’aver rimediato all’iniziale domanda inquisitoria e che, dentro di me, era superata ogni remora di pericolo, girandosi spontaneamente ancora una volta, ebbe a chiedermi: “Nipote, adesso, dammi una sigaretta!”. Fu automatico che io sfilassi dal mezzo pacchetto di nazionali senza filtro un cilindretto bianco riempito di tabacco e glielo porgessi.

Forse, quello descritto, il dono inconsueto di una sigaretta, fra nipote e zio, da figlioccio a padrino, ha rappresentato l’ultimo gesto concreto, l’atto conclusivo della coesistenza fra due generazioni, un binomio d’intensi affetti familiari, due vite assolutamente diverse, basate su percorsi, interessi e itinerari dissimili, e tuttavia sempre complementari e vicendevolmente integrate.

Sono, questi, minuscoli particolari che mi fanno serbare dentro, vivi, ricordi lontani nel tempo, tracce che hanno segnato stagioni spensierate e parallelamente di crescita, fonti e presupposti per la maturazione verso l’età adulta, con le correlate peculiari esperienze, novità e voci.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares