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Quando in tivù, oltre le gambe c’è di più.

C’è un fantomatico “piano casa” dimenticato dal governo ed assai malamente rilanciato dalle Regioni, anche “di sinistra”. C’è un Bondi poeta e cortigiano che mentre privatizza i Beni Culturali ed Ambientali spera che il Mausoleo di Arcore venga riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio, anche dell’Umanità. C’è una pletora di norme edilizio-urbanistiche che blocca una semplice ristrutturazione interna, ma non gli abusi, le speculazioni e gli scempi, anche territoriali. C’è la solita burocrazia che frena sia la realizzazione d’urgenti opere pubbliche sia la demolizione o l’acquisizione comunale d’opere, anche abusive. C’è la Conferenza dei servizi per snellire le procedure di valutazione d’impatto ambientale e di rispetto normativo utili nella progettazione e valutazione delle nuove opere ma che viene utilizzata per accelerale l’iter di pratiche spesso, anche discutibili. C’è l’esempio dei “Laboratori di Urbanistica Partecipata” di Bologna, dove a progettare il futuro sono gli stessi abitanti dei quartieri, anche se non esperti.
 
Questo in tivù in una domenica sera senza moviola e senza Luciana Littizzetto, ma con un solo tabù.
 
Non c’è ragione d’ora, di giorno o di canale: non c’è più la facoltà di parlare del perché d’ogni male.
 
Quello che fanno in Germania, nell’inchiesta di Bernardo Iovine da noi diventa quasi manicomiale.
 
Non c’è più una legge urbanistica adeguata a gestire un drogato sviluppo territoriale grazie al tapu.
 
In Italia abbiamo un doppio regime dei suoli, pubblico e privato: pubblico nel senso che la collettività, attraverso gli strumenti urbanistici può preordinare determinati condizionamenti nell’uso del suolo, privato perché ai singoli proprietari la legge riconosce ancora il diritto di utilizzare le aree edificabili più o meno come credono e prevalentemente a loro esclusivo beneficio. Come nella Roma dei Cesari, lo jus aedificandi (la prerogativa assoluta e illimitata, dagli inferi alle stelle) è ancora connesso allo jus possidendi del terreno.
 
Mentre l’urbanesimo ha ovunque determinato la possibilità d’un superamento delle condizioni più retrive di privatizzazione dei suoli, cioè del vecchio concetto di proprietà fondiaria privata, da noi questa si è estesa, articolata, organizzata più che mai, creando una contraddizione sanabile solo con soluzioni radicali, già praticate fin dai tempi della socialdemocrazia al potere e poi mantenute e sviluppate anche in Germania.
 
Invece, dopo la legge n° 1150/’42 che già indicava i modi per attuare anche in Italia una pianificazione razionalista, nel primo dopo guerra sono state cercate tutte le strade possibili per far convivere il più esasperato interesse privato con un minimo d’interesse pubblico varando provvedimenti legislativi che, senza abrogarla, hanno assai mitigato gli effetti della Legge Urbanistica generale introdotta nel 1942 dallo Stato dei Fasci e delle Corporazioni. Ed ecco i Regolamenti edilizi, i piani di risanamento e di ampliamento, i vincoli di non edificabilità di alcune aree, l’obbligo della licenza di costruzione, gli indici e gli standard, ovvero un irrisorio affievolimento del diritto di costruzione di pochi e nessuna limitazioni del diritto di proprietà di tutti. Tuttavia, molti contrasti sociali e politici. Memorabili attacchi anche al ministro democristiano (Sullo calunniato come ora Boffo).

Poi, nel 1977, la soluzione risolutiva introdotta dalla legge sull’edificabilità dei suoli. Separando, almeno nominalmente, il diritto d’edificare da quello di proprietà, la legge Bucalossi (medico, repubblicano, ministro dei lavori pubblici) determinando un nuovo regime concessorio dei suoli edificabili separò, almeno nominalmente, il potere di costruire (proprio della comunità, ma concesso ai privati costruttori) dal diritto di proprietà dei suoli e delle costruzioni realizzate. Fu un onorevole compromesso per chiudere il lungo periodo di urbanistica incostituzionale successivo alla sentenza n° 55/’68 della Corte costituzionale. [vedi l’articolo precedente] Seguirono importanti provvedimenti sulla casa, ma poi tornò il malgoverno locale ed a chiudere la stagione delle “riforme” sociali arrivò un tal Berlusconi. Prima cancellò i Programmi Pluriennali d’Attuazione che, se ben fatti, erano essenziali per una pianificazione graduale delle aree urbane di sviluppo garantendo la contemporaneità nella realizzazione delle opere private e dei servizi posti a carico della pubblica amministrazione. Poi eliminò la Concessione onerosa ed introdusse il Permesso ad edificare e la DIA. Formalmente per tutti, sostanzialmente per i suoi C.A.S.E..
 
Tanto ieri in Abruzzo quanto oggi in Sicilia e domani in tutt’Italia, poiché nel PD fan come lo struzzo.
 
San Guido Bertolaso è premiato da Chiamparino e Lombardo sollecita il Ponte. Così, per puro caso.

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